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Perugia: Una realtà in cui tutto è identico

Fonte:
CulturaCattolica.it
L’omicidio Kercher a Perugia

Non so quasi niente riguardo all’omicidio della studentessa Meredith Kercher a Perugia. So quello che ho letto sui giornali, e, devo dire, non mi sono impegnato a ricercare i particolari della questione... troverei irrispettoso ricercare una dovizia di particolari: ciò non avrebbe altro scopo fuori dal soddisfacimento di una curiosità morbosa. Altra cosa è il lavoro degli investigatori, che i particolari devono analizzare minuziosamente, ma con uno scopo ben preciso. Pur facendo la tara sulla mia ignoranza, mi azzardo a dare un giudizio.
Ho letto le deposizioni, riportate sui giornali, dei sospettati... Amanda, compagna di appartamento della vittima, Raffaele, il “suo tipo” (non mi azzardo a darne una definizione più precisa), Patrick, il presunto colpevole... Forse mi sono applicato a leggere questa cronaca nera perché fino all’altro ieri ero anch’io studente, e ho un’idea di certe atmosfere, di certi ambienti, soprattutto nelle città universitarie; forse perché tuttora lavoro in università; forse perché l’anno scorso ho conosciuto proprio degli studenti di Perugia...
Ho trovato agghiacciante il panorama umano, l’atmosfera che emerge da quelle righe. Mi ha ricordato il film Alpha Dog, tratto da una storia vera: vicende del tutto differenti ma, a mio parere, clima “culturale” similissimo. Ciò che mi ha lasciato basito è la totale vacuità della vita condotta dai fermati. Essi appaiono non avere uno scopo. Tutti senza alcuna preoccupazione fuor che quella di divertirsi, di di-strarsi. Il tono è piatto, tutto è identico: trovarsi con gli amici, studiare, giocare al computer, ascoltare della musica, andare a una festa, andare a letto con una ragazza, conoscere delle persone, drogarsi... tutto identico, tutto la stessa cosa. Emerge una superficialità impressionante in questo continuo di-vertirsi, di-vergere, cioè vertere gli occhi “da qualche altra parte”, per non andare a fondo di nulla, per non affrontare l’impegno di dare un giudizio, di andare a fondo delle cose, di capire per che cosa fare che cosa, per quale scopo, assumendosi, conseguentemente, delle responsabilità. In tale prospettiva, i rapporti umani non sono altro che “funzionali”, servono per ammazzare il tempo, ma l’uno vale l’altro. Cioè sono tutti uguali. Allora i contorni delle cose si fanno indistinti, e bene e male smettono di essere categorie precise e definite. Molto peggio: il panorama risulta talmente piatto che dal mio orizzonte scompare il problema stesso del bene e del male. Una domanda che non ha neanche senso porsi, come se mi dovessi preoccupare di che tempo farà domani su Giove. Certo, se i coinvolti avessero avuto delle reali preoccupazioni (per esempio economiche) sarebbero stati costretti dalle circostanze a sbattere contro la serietà, la durezza della vita, e a giocarvisi, a giudicarla, a impegnarsi, soprattutto a stabilire una gerarchia, una scala di importanza (preferisco non usare la logoratissima parola “valore”) tra le mille cose che la realtà pone innanzi. Invece abbiamo gente dedita a null’altro che al disimpegno... e quel che è peggio un disimpegno dal... nulla!
Ritengo che, se i fatti si sono svolti come sembra, i protagonisti della vicenda non siano cattivi nel senso che abitualmente si intende. Costoro sono sguazzanti nella mentalità del nostro tempo, sono gente abituata a vivere la realtà come una massa informe, una pianura scialba, una superficie piana, come una sequenza di occasioni da cui trarre qualche istante di “sballo” o “godimento” o, almeno di “non noia”. Senza cercare di capire, di afferrare, di individuare un motivo, uno scopo, senza neppure porsi questo problema. Una realtà piatta e morbida, ai miei piedi, pronta a piegarsi al mio volere proprio perché inconsistente. Solo che alla lunga questo atteggiamento non regge, non rimane privo di conseguenze, la realtà presenta il conto. Questa volta ne ha subito le conseguenze, in maniera purtroppo irreparabile, una giovane donna.

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