Buon grano e zizzania: una parabola attuale
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Caro don Gabriele,
la recensione di Tornielli mette in evidenza il pericoloso vezzo di estrapolare dal contesto alcune frasi di Benedetto XVI e piegarle alla propria idea, tradendone il significato originario. Per dimostrarlo basta leggere tutto il discorso del Papa al Bundestag, (https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2011/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20110922_reichstag-berlin.html ) che così si conclude: “La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa. Nella consapevolezza della responsabilità dell’uomo davanti a Dio e nel riconoscimento della dignità inviolabile dell’uomo, di ogni uomo, questo incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è nostro compito in questo momento storico. Al giovane re Salomone, nell’ora dell’assunzione del potere, è stata concessa una sua richiesta. Che cosa sarebbe se a noi, legislatori di oggi, venisse concesso di avanzare una richiesta? Che cosa chiederemmo? Penso che anche oggi, in ultima analisi, non potremmo desiderare altro che un cuore docile – la capacità di distinguere il bene dal male e di stabilire così un vero diritto, di servire la giustizia e la pace. Vi ringrazio per la vostra attenzione”.
Altra questione: la citazione della parabola della zizzania. Scrive Carrón, citato da Tornielli:
«Come nella nota parabola - scrive l'autore nel libro - si vorrebbe togliere la zizzania dal campo, perché essa è pericolosa per la libertà. Il padrone del campo ha invece un pensiero ben diverso. Egli lascia crescere tutto, perché sa che il positivo sarà vincitore. È la certezza di Gesù: la potenza del seme sarà più grande».
Ma la parabola non ha niente a che fare con la libertà, ma con la custodia del buon grano dalla falsa chiesa e soprattutto con il Giudizio di Dio. Rileggiamola, con la spiegazione di Gesù (Matteo 13,24-30):
24 Egli propose loro un'altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che aveva seminato buon seme nel suo campo. 25 Ma mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico e seminò le zizzanie in mezzo al grano e se ne andò. 26 Quando l'erba germogliò ed ebbe fatto frutto, allora apparvero anche le zizzanie. 27 E i servi del padrone di casa vennero a dirgli: "Signore, non avevi seminato buon seme nel tuo campo? Come mai, dunque, c'è della zizzania?" 28 Egli disse loro: "Un nemico ha fatto questo". I servi gli dissero: "Vuoi che andiamo a coglierla?" 29 Ma egli rispose: "No, affinché, cogliendo le zizzanie, non sradichiate insieme con esse il grano. 30 Lasciate che tutti e due crescano insieme fino alla mietitura; e, al tempo della mietitura, dirò ai mietitori: 'Cogliete prima le zizzanie, e legatele in fasci per bruciarle; ma il grano, raccoglietelo nel mio granaio'"».
Spiegazione della parabola delle zizzanie
36 Allora Gesù, lasciate le folle, tornò a casa; e i suoi discepoli gli si avvicinarono, dicendo: «Spiegaci la parabola delle zizzanie nel campo». 37 Egli rispose loro: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo; 38 il campo è il mondo; il buon seme sono i figli del regno; le zizzanie sono i figli del maligno; 39 il nemico che le ha seminate, è il diavolo; la mietitura è la fine dell'età presente; i mietitori sono angeli. 40 Come dunque si raccolgono le zizzanie e si bruciano con il fuoco, così avverrà alla fine dell'età presente. 41 Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli che raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono l'iniquità, 42 e li getteranno nella fornace ardente. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti. 43 Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi oda.
Cos’è la zizzania dal punto di vista botanico? Il Lolium temulentum (L.) (o loglio ubriacante, più conosciuto come zizzania), è una specie botanica annua del genere Lolium, spontanea e infestante fra le messi, con fiori a spiga rossa. La pericolosità di questa pianta infestante è ben nota fin dai tempi antichi, soprattutto per l'alto potere intossicante. Infatti, il termine temulentum (ubriacante) è riferito agli effetti derivanti dall'ingestione di farine contaminate da funghi del genere Claviceps, produttori di alcaloidi tossici, che possono provocare forti emicranie, vertigini, vomito ed oscuramento della vista. L'eliminazione della zizzania dai campi di cereali è resa difficoltosa dal fatto che le sue cariossidi, ossia i suoi frutti, sono simili a quelle del frumento. Inoltre, le radici del loglio sono molto estese e sradicando la pianta si danneggia anche il frumento. La preoccupazione di Gesù è di non danneggiare il grano buono con azioni impulsive e maldestre.
Il Beato Paolo VI spiega nell’omelia alla PARABOLA DEL FRUMENTO E DELLA ZIZZANIA (Domenica, 8 novembre 1964): “Sorge, allora, un altro quesito: quale contegno tenere? Dobbiamo combattere il male, fare una crociata, per sradicarlo da questo mondo, sino ad usare anche le forze esteriori materiali, il potere della spada? Leggiamo il Vangelo e troveremo una immensa luce. Dio stesso è il protagonista della parabola oggi rievocata. È lui, il padrone del campo, a dirci: No; non strappate ora la zizzania poiché c’è il rischio che sradichiate anche il grano; non agite in questa maniera, perché altrimenti ne andrebbe di mezzo anche il bene; non dovete combattere il male in modo violento, perché sarebbe proprio rendere male per male. Invece la sapiente regola è che bisogna vincere il male col bene, e allora ecco un aspetto del vasto, modernissimo problema: l’atteggiamento degli uomini, definito, a seconda dei diversi casi, degli individui, delle ideologie: tolleranza, convivenza, transigenza, indifferenza, pluralismo. Insomma, come ci si deve comportare dinanzi all’irrompere e alla molteplicità, alla aggressività del male? Si deve rimanere impassibili, lasciar che le cose vadano per la loro china, od opporsi in qualche maniera? si deve forse attenuare la fede nella giustizia, sottostare, a proposito del mondo, allo scetticismo che sembra ormai guadagnare i magni intelletti del nostro tempo, secondo cui bisogna essere indifferenti, perché la morale è un’entità sui generis, anch’essa mobile come tutte le altre cose, e perciò occorre adattarsi? Ecco spiegazioni, che equivalgono a transigere, a ripiegare su compromessi. Si tratta di adattamenti, vili in fondo, poiché si rimane sconfitti dalla incapacità di spiegare e di vincere il male”. |
Le zizzanie sono i figli del maligno. I più pericolosi dei quali sono apostrofati come “I falsi profeti” (Matteo 7, 15-20): 15 «Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci. 16 Li riconoscerete dai loro frutti. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? 17 Così, ogni albero buono fa frutti buoni, ma l'albero cattivo fa frutti cattivi. 18 Un albero buono non può fare frutti cattivi, né un albero cattivo fare frutti buoni. 19 Ogni albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco. 20 Li riconoscerete dunque dai loro frutti.
Si parla dunque chiaramente di cristiani veri (la Chiesa Universale) e di finti cristiani che, per le forme, assomigliano a quelli veri (i frutti della zizzania sono simili a quelle del frumento, ma tossici). I primi saranno raccolti andranno in Paradiso, i secondi andranno all’inferno.
Prosegue Paolo VI: “La parabola offre un’ulteriore alta lezione. La giustizia esiste: se adesso non ha il suo trionfo e la sua piena applicazione, l’avrà in un giorno tremendo, e nulla passerà senza subire il giudizio. Verrà il giorno della messe e allora la separazione tra il bene e il male sarà visibile, tangibile e storica. Il male avrà la sua punizione; il bene il suo premio. […] Ecco una mirabile lezione di questo Vangelo. Qualunque sia l’esperienza, il quadro che abbiamo davanti agli occhi, delle condizioni morali del nostro tempo, della società, degli esempi che ci si offrono, giammai dobbiamo perdere il senso del bene e del male; né devono esistere confusioni nella nostra anima; il nostro giudizio sia sempre preciso, nettissimo: sì, si; no, no. Il bene è una cosa, il male è un’altra. Non si possono mescolare; anche se la realtà li mostra come in convivenza, frammisti l’uno all’altro. Il giudizio morale, per un cristiano, ha da essere severo, rettilineo, costante, limpido e, in un certo senso, intransigente. Bisogna dare alle cose il loro proprio nome: questo si chiama bene, quello si chiama male. E cioè: la coscienza non dev’essere mai indebolita e alterata, o resa indifferente, impassibile, poiché non è lecito applicare indistintamente i criteri del bene e del male alla realtà sociale che ci circonda. […] Accresciamo in ogni momento la sostanza e il vigore del bene. Tutte le storture che vediamo intorno a noi e che lamentiamo, dipendono, in realtà, a guardarle bene, da una certa viltà dei buoni, dalla loro debolezza. Il Pontefice Pio XII di v.m. asseriva che la fiacchezza dei buoni è la grande causa o almeno la grande occasione delle cose cattive che sono nella nostra società, nel nostro tempo. Con questa inefficienza il giusto può tramutarsi in individuo imbelle, inerte, codardo, egoista, incapace di agire: in tal modo lascia trionfare il male nel mondo”. |
Se non abbiamo ben chiare queste cose, non saremo di aiuto ma di ostacolo alla salvezza dei nostri fratelli e sorelle: giocheremmo con il fuoco della geenna…
Maria, Virgo prudentissima, ora pro nobis