Associazione Cultura Cattolica

Il Sinodo dei Vescovi del Medio Oriente 2010 - 1 - Un problema drammatico

IL SINODO DEI VESCOVI DEL MEDIO ORIENTE E GLI AMICI DI TERRA SANTA

22° CONGRESSO ANNUALE DEL MOVIMENTO AMICI DI TERRA SANTA PRESSO IL CONVENTO DELLA CHIESA VOTIVA DI TREVISO, SEDE DEL COMMISSARIATO TRIVENETO DELLA CUSTODIA FRANCESCANA DI GERUSALEMME. 5 GIUGNO 2011
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Prima di iniziare la relazione ritengo opportuno ricordare che ci troviamo nella parrocchia la cui chiesa è dedicata alla Madonna Ausiliatrice e che la memoria liturgica è stata festeggiata il 24 maggio scorso.

Non a caso cito questo riferimento liturgico, perché c’è un legame logico tra il tema trattato durante il 21° congresso degli Amici di Terra Santa l’anno scorso, e il tema di quest’anno.
L’anno scorso abbiamo centrato la nostra attenzione sul ruolo di Francesco nell’incontro col sultano Malik al Kamil durante le vicissitudini belliche legate alla quinta crociata, abbiamo approfondito il carisma missionario, specifico verso i musulmani,voluto da Francesco; abbiamo visto come nella regola, approvata dal papa Onorio III, Francesco avesse dato disposizioni precise sul comportamento che i frati dovevano osservare quando si recavano tra i “saraceni”. e come sappiamo bene il titolo della Madonna “Auxilium Christianorum” lo portò nelle litanie lauretane il papa san Pio V, in occasione della vittoria di Lepanto, 7 ottobre 1571. il papa aveva invitato tutta la cristianità a pregare la Madonna col rosario per impedire che gli eserciti turchi conquistassero l’Europa cristiana.

Oggi, invece, analizziamo i risultati del recente sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica dei paesi medio orientali, tenutosi a Roma, in vaticano, dal 10 al 24 ottobre 2010.
Sinodo che è stato voluto dal papa Benedetto XVI dopo il suo pellegrinaggio in Terra Santa e in Giordania durante il mese di maggio del 2009.
in quella circostanza il papa ha avuto modo di vivere dal di dentro le condizioni dei fedeli e delle chiese cattoliche di quelle terre, ne ha conosciuto le sofferenze, le angosce ma anche le enormi potenzialità. Così, dopo aver definito con i suoi collaboratori l’instrumentum laboris (la pista di lavoro del sinodo) contenente tutti gli argomenti da trattare, dopo un anno di lavoro nei singoli episcopati, ecco la sessione plenaria romana, della quale oggi vedremo alcuni risultati emblematici.

Intanto vediamo il significato del termine sinodo.
Deriva dal greco “syn odos”, che vuol dire “camminare insieme”. Già questa espressione mette in evidenza la potenzialità dell’evento. Se le parole hanno in loro stesse la forza di evocare sentimenti e passioni, non c’è dubbio che sinodo dà la direzione di marcia dentro al quale interagiscono gli attori che devono muoversi sulle indicazioni del papa per andare insieme nel mondo a testimoniare la parola di Cristo.
A questa assemblea hanno partecipato le sette chiese cattoliche del medio oriente: rito latino, rito maronita, rito siriaco-malabarese, rito armeno, rito copto, rito caldeo, rito greco-melkita.
Già questo elenco di chiese ci fa capire quale sia la ricchezza della presenza cattolica in quei territori, chiesa radicata nelle origini della predicazione apostolica dei discepoli di Gesù: in Israele, in Egitto, in Libano, in Siria, in Turchia, in Iraq, in Iran, nella penisola Arabica.
È indispensabile fare questo riferimento storico: i cattolici sono presenti in quelle terre dai tempi degli apostoli, 2000 anni fa.
E allora, è sempre più urgente e necessario che almeno i cattolici delle nostre terre conoscano la storia della Chiesa dalle origini.
Ricordiamolo che la storia dell’uomo da 2000 anni a questa parte ruota attorno alle guerre e alle persecuzioni contro la Chiesa cattolica: hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi.
Al sinodo hanno partecipato come uditori David Rosen, rabbino di Gerusalemme, Muhammad al-Sammak consigliere politico e religioso del gran muftì della Repubblica libanese, un ayatollah iraniano, Seyed Mostafa Mohaghegh Ahmadabadi, professore della facoltà di diritto dell’università “Shahid Beheshti” di Teheran e membro dell’accademia iraniana delle scienze.
Anche questo è lo stile della Chiesa di Roma: apertura e trasparenza per evitare manipolazioni giornalistiche delle agenzie che tentano sempre di mettere in cattiva luce l’operato del papa e dei suoi collaboratori.
Come abbiamo visto nel congresso precedente, il problema che risalta in modo drammatico è la convivenza degli abitanti cattolici e cristiani in generale e quelli musulmani o ebrei.
Le vicissitudini dei nostri fratelli nella fede in Gesù in quelle terre dove le chiese vengono bruciate, i fedeli uccisi e perseguitati solo perché cristiani, non scuote più di tanto le comunità cristiane europee.
Tra le gerarchie cattoliche, oltre al papa, a qualche vescovo e a qualche cardinale, sono troppo pochi quelli che si spendono nella difesa della presenza cristiana in Medio Oriente.
Il risultato è che, per esempio, nelle nostre comunità non si può parlare di Islam e della necessità della conoscenza di questa religione, perché esiste un complesso di inferiorità da parte delle gerarchie che non riescono neanche a smuovere le comunità sulla urgenza della conoscenza dell’antropologia culturale islamica.
I nostri vescovi e i nostri parroci sembrano molto interessati al tema del dialogo con l’Islam, ma lo concepiscono come rapporto nella vita sociale, nella vita di relazione quotidiana non come dialogo tra due religioni che hanno ovvie implicazioni nella vita sociale.
Anzi, hanno forse capito che è meglio non intrigarsi su questioni religiose, meglio non far capire o far sapere cosa dice Cristo e il suo vangelo.
I risultati sono a volte drammatici, basti pensare ai matrimoni misti e alla vita che devono fare le nostre donne sposate ai musulmani.
Ancora, basta leggere i giornali per rendersi conto come anche la famosa magistratura italiana ormai non condanni più le violenze che vengono attuate sulle mogli e sulle figlie nelle famiglie islamiche, perché fanno parte della loro cultura, e se la loro legge consente quelle violenze non è il caso di condannarle.
Si sta introducendo nella nostra patria del diritto la legislazione shaaritica e noi osserviamo sgomenti queste situazioni, sia come credenti che come cittadini.
La capacità di comprensione del fenomeno dell’immigrazione islamica è molto ridotta e sottovalutata, sempre dai nostri vescovi e dai nostri parroci. Basti pensare al tema della costruzione delle moschee, banalmente e stupidamente paragonate a luoghi di culto, per cui è giusto e doveroso concedere ai musulmani la costruzione dei loro luoghi di aggregazione sociale, salvo rendersi conto, dopo estenuanti indagini delle forze dell’ordine, che sono luoghi di indottrinamento politico e a volte con finalità eversive, come è stato ampiamente dimostrato dalle indagini e dai processi.
Perché ho fatto questo excursus sulle nostre difficoltà di relazione con l’Islam?
Perché proprio con l’Islam il rapporto è difficile e problematico, perché per l’Islam non esiste separazione tra la vita civile e la vita religiosa, non esiste la libertà di religione, non esiste la libertà di coscienza. Anzi, chi cambia religione deve essere ucciso senza appello.
Ecco perché è indispensabile conoscere il modo di pensare dei musulmani e di come concepiscano la vita civile, le relazioni sociali, la legislazione dello stato.
Chi non conosce questi fenomeni è bene che si documenti,e fintantoché non li ha assimilati che stia zitto e umilmente si metta in ricerca.