Venti anni di Gulag
Venti anni di Gulag e di esilio non hanno cancellato la gioia- Autore:
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Intervista al Vescovo di Kolomya-Chernivtsi degli Ucraini Pavlo Vasylyk
Pavlo Vasylyk, Vescovo di Kolomyia-Chernivtsi degli Ucraini, è nato nel 1926. Arrestato per la prima volta nel 1947, ha vissuto 20 anni tra lager ed esilio con l'"accusa" di essere voluto restare sacerdote cattolico e di non aver tradito Cristo, la Chiesa, il Papa. Fino al 1991 ha svolto la sua missione nella clandestinità. Il 1° maggio 1974 aveva ricevuto l'ordinazione episcopale, sempre nella clandestinità. Eletto Vescovo titolare di Plotinopoli il 16 gennaio 1991 e al contempo Ausiliare di Ivano-Frankivsk degli Ucraini, il 20 aprile 1993 è stato nominato Vescovo di Kolomyia-Chernivtsi degli Ucraini. Le sue parole oggi sono una testimonianza di gioia. Non c'è rancore per i suoi persecutori, non c'è amarezza. Racconta quegli anni durissimi, tra il 1947 e il 1991, persino con ironia. "Se Cristo è risorto - dice - di che cosa avrei dovuto aver paura? Forse dei comunisti? E perché? Che cosa avrebbero potuto farmi? Mi hanno imprigionato, minacciato. Ma Cristo è più forte di loro. Potevano uccidere il mio corpo, ma non la mia anima e non la mia fede"
Eccellenza, può raccontare la sua storia?
Ho sentito la vocazione dopo aver partecipato ad una Divina Liturgia. Avevo 10 anni. Sono entrato in Seminario nel 1943. Ma nel 1945 il Seminario è stato chiuso. Non mi sono scoraggiato. Ho iniziato a studiare clandestinamente presso alcuni sacerdoti. Nel 1946 sono arrivato a Lviv. L'unica chiesa cattolica aperta era la Cattedrale latina. Così andavo lì. Nel 1947 mi hanno arrestato con l'accusa di aver aiutato i partigiani feriti procurando medicine. Sono stato per 10 anni nel lager.
La mia ordinazione diaconale è avvenuta il 1° gennaio 1950 nel lager di Geskazan, in Kazakhstan, per le mani di un Vescovo clandestino. Si chiamava Viktor. Lo aveva ordinato Vescovo nel 1943 il Metropolita Septyckyj. Usava diversi cognomi per non essere scoperto dal Kgb. Sono stato liberato, nell'agosto 1956. Sono riuscito a fare per 6 anni il lavoro pastorale come diacono nel lager. Sono stato sorpreso dagli agenti e punito molte volte.
Uscito dal lager ha subito ripreso l'attività pastorale?
Certo! Sono stato ordinato sacerdote dal Vescovo Mykola Carneckyj il 18 novembre 1956 a Lviv, nella sua abitazione. Era una domenica mattina, intorno alle ore 6. Dopo l'ordinazione ho cominciato a svolgere la mia missione pastorale nella provincia di Ternopil e di Ivano-Frankivsk, nei Carpazi, a Lviv e in Transcarpazia. Giravo di giorno e di notte. Il 22 gennaio 1959 mi hanno arrestato a Ivano-Frankivsk. Mi hanno offerto la libertà: in cambio sarei dovuto diventare ortodosso. Se avessi accettato, mi avrebbero destinato alla Cattedrale ortodossa. Ho risposto che non avrei mai potuto accettare. Dissi loro che ero cattolico convinto. Affermai che cercavo di vivere la fede che predicavo e che avrei seguito la mia coscienza. Non avevo scelte. Loro mi hanno minacciato. Del resto, dicevano, "tu già conosci il lager...". Risposi che lo sapevo bene che cosa fosse il lager, ma non avrei mai e poi mai potuto accettare la loro offerta. Erano sconvolti dalla mia reazione. Si aspettavano che cedessi.
Ma io non potevo tradire la fede cattolica e il Papa! "Marcirai nel lager!" mi urlò in faccia un agente del Kgb. In realtà me lo ripetevano dal 1947. Dio non lo ha permesso! Mi ripetevano: "Vuoi il lager o la libertà?". Risposi che avrei accettato il carcere per amore della fede e che la loro non era libertà. Questo agente era molto arrabbiato con me. Sosteneva che il governo dell'Urss era molto, ma molto umano e comprensivo. Però, aggiungeva, "se dovremo linciarla lo faremo!". Iniziò così il mio secondo periodo di prigionia.
Mi condannarono a 5 anni di lager e a 5 di esilio. Complessivamente ho vissuto, dunque, 14 anni di carcere e 6 di esilio. Sono vent'anni della mia vita.
Nel mio secondo periodo di prigionia, in Mordovia, ho avuto la grazia di incontrare e di conoscere personalmente il Metropolita Josyf Slipyj. Siamo stati nello stesso lager dal 1960 al 1962. Eravamo, come dire, "pluri-condannati" e quindi il regime di vita era più severo rispetto agli altri. Nel dicembre 1962 Slipyj venne portato via e nel gennaio 1963, grazie al Cielo, venne liberato. Io rimasi in Mordovia fino al 1964. Poi cominciò la pena dell'esilio.
Com'è stata l'esperienza dell'esilio?
Non sapevo dove andare. Non mi era permesso tornare in Ucraina occidentale. Così viaggiavo sempre perché nessuna autorità locale accettava di iscrivermi, una condizione necessaria.
Ovviamente questi continui trasferimenti erano per me occasione di pastorale. Sono stato ovunque, anche in Crimea. Avevo contatti pastorali con Lituania, Lettonia ed Estonia. Il Cardinale Janis Pujats è diventato in quel periodo un mio grande amico. Avevo conosciuto nei lager alcuni sacerdoti dei Baltici.
Lei ha incontrato nel lager il Cardinale Slipyj. Può offrirci un suo ricordo?
Un giorno ho sentito dire che Slipyj era arrivato nel lager. Era la fine del 1960. Quando l'ho visto, mi sono commosso. Non lo conoscevo personalmente, era la prima volta che lo incontravo. Camminava a testa alta. Aveva l'aria austera, non era per nulla scoraggiato. Portava con sé una piccola borsa, con gli oggetti personali. Mi sono avvicinato. In tanti abbiamo baciato la sua mano. Lo abbiamo fatto apertamente, davanti alle guardie. Mi chiese chi fossi e come mai mi trovassi nel lager. Gli risposi che ormai ero abituato al lager visto che era la seconda volta che mi ci mandavano. Slipyj sorrise e disse che aveva sentito parlare della mia attività pastorale. Mi ha benedetto. Ci siamo incontrati ogni giorno. Lui radunava i sacerdoti e faceva le meditazioni. Aveva buoni contatti anche con gli ortodossi. Era un uomo forte che i lunghi anni di lager non avevano piegato. Mi commuove ricordare di averlo incontrato.
Che cosa significa essere sacerdoti clandestini?
Non ho mai smesso neppure un attimo di svolgere la mia missione di sacerdote. Ho fatto pastorale anche dove non potevo, persino nei lager. Terminato l'esilio, ho iniziato l'attività di fornitore di erbe medicinali alle farmacie. Ho svolto questa attività per 20 anni. Avrò consegnato più di 4 tonnellate di erbe medicinali! Durante il giorno facevo questo lavoro. Di notte andavo nelle case dei cristiani per celebrare la Divina Liturgia e amministrare i Sacramenti. In realtà quel lavoro di fornitore di erbe non lo avrei potuto svolgere perché non mi avevano dato il permesso. Però io l'ho fatto lo stesso!
Che cosa è cambiato quando nel 1974 è stato ordinato Vescovo?
Nel 1974 ho ricevuto l'ordinazione episcopale dal Vescovo Fedorak. È iniziata così una nuova fase della mia vita. Ho cominciato a preparare i giovani per il sacerdozio. Continuavo il mio lavoro pastorale ovunque mi chiamassero. Una volta, nel 1958, i comunisti mi hanno sorpreso a celebrare la Divina Liturgia. Sono scappato via vestito da donna e sono andato a celebrare in un altro villaggio.
Un'altra volta ho celebrato un matrimonio. Qualcuno mi ha avvertito che fuori dalla casa si erano appostati gli agenti pronti a catturare il sacerdote. Allora sono uscito tenendo a braccetto la sposa, come se fossi il padre. E sono riuscito ad allontanarmi. Lo stesso ho fatto in molti Battesimi: uscivo di casa tenendo tra le braccia il bambino come se fossi il padre o il nonno. Sono trucchi che riuscivano sempre. Non avevamo paura di nulla. Nemmeno delle distanze. Facevamo anche 40 km al giorno, a piedi, per celebrare la Liturgia.
C'era paura del Kgb?
Il Kgb mi interrogava spesso. Mi facevano sempre la proposta di passare all'ortodossia. Credo che noi cattolici non abbiamo perso nulla. Noi abbiamo guadagnato perché comunque abbiamo continuato a vivere la nostra fede e a educare la gente nella fede. Ogni casa è stata la nostra parrocchia. Così quando ci fermavano e ci minacciavano noi non avevamo paura. Ci dicevano: chi vi ha dato il permesso di propagare la fede cattolica? Io rispondevo che il permesso me lo aveva dato il Signore Gesù. Mi pare che sia sufficiente...
Come si svolgeva l'attività pastorale?
Innanzitutto era importante la predicazione legata alla Liturgia. Si celebrava la Divina Liturgia a qualsiasi ora del giorno o della notte. Si celebrava dovunque. I credenti si radunavano nei villaggi. Praticamente in ogni villaggio c'era un uomo di riferimento. I sacerdoti informavano che quel giorno sarebbero arrivati. E i credenti si facevano trovare riuniti. Il sacerdote confessava poi celebrava la Liturgia durante la quale teneva la predica. Poi tutti facevano la Comunione. Al massimo era possibile radunare, in un bosco, un centinaio di persone. Di solito c'erano 10-20 persone. Eravamo organizzatissimi, quasi un "piccolo Kgb"! Avevamo alcune persone fidate che controllavano gli agenti locali del Kgb e quindi ci informavano dei loro spostamenti.
Quali erano i metodi di evangelizzazione?
La predica era un momento fondamentale: catechesi e fedeltà al Papa. Mettevamo in guardia dal pericolo del tradimento della fede e della Chiesa. Non predicavamo solo con le emozioni. Cercavano di dare convinzioni, di rendere salda la fede. Era stupendo quando i giovani si avvicinavano e dicevano di voler diventare sacerdoti. Devo dire che la nostra vita nella clandestinità era gioiosa.
Quando si parla di "Chiesa del silenzio" io non sono completamente d'accordo. Noi parlavamo, noi vivevano, noi lavoravamo. Noi abbiamo pregato e abbiamo lottato contro l'ateismo militante. Così non sono d'accordo quando si dice che la Chiesa è "risorta". Ci hanno oppressi ma non ci hanno mai uccisi. Ovviamente tutto è cambiato con il 1991. Posso dire che la nostra Chiesa ha vissuto con Cristo, ha portato la Croce fino sul Golgota.
Che cosa significa per lei la visita del Papa nella sua terra?
Considero la visita del Papa un grande dono. È una ricompensa per la nostra fedeltà e per le nostre sofferenze. Dio manda Pietro in mezzo a noi. Oggi la nostra gioia è più grande. Sotto il comunismo la gioia scaturiva dalla fede. Il lottare strenuamente contro l'ateismo ci dava gioia. In quasi 40 anni di clandestinità io non ho mai saltato un solo giorno la Divina Liturgia. Mai, neppure nei lager. Anche se la casa dove celebravo era circondata dal Kgb io non ho mai interrotto la celebrazione. Po sono scappato dalla finestra! Eravamo felici perché sicuri che avremmo vinto. Così andavamo di villaggio in villaggio.
Le beatificazioni saranno un momento storico. Una gioia indescrivibile. Noi molti di questi martiri li abbiamo conosciuti personalmente. Il loro messaggio è chiaro: bisogna avere una fede solida e bisogna perseverare nella fede. La nostra Chiesa ha salvaguardato l'unità con il Papa. Questo legame è stato decisivo per noi. Abbiamo mantenuto l'unità. Ecco ciò che abbiamo fatto e che oggi diciamo al mondo. La persecuzione è stata il trionfo della nostra Chiesa.