Associazione Cultura Cattolica

2025 03 12 Non c'è posto dove i cristiani possano vivere in pace: i volti del martirio

NIGERIA- Ucciso padre Sylvester Okechukwu, a poche ore dal suo rapimento
SIRIA -I cristiani tra le vittime del massacro nella ‘nuova Siria’ di al-Sharaa
MYANMAR - Bombardato un Centro pastorale cattolico nello stato Kachin CINA - ‘Illegale’ la Messa di inizio Giubileo: nuovo arresto per mons. Shao
TESTIMONIANZA CONGO
«La mia vita in Congo, tra le milizie jihadiste che per voi sono sigle»
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NIGERIA- Ucciso il mercoledì delle Ceneri padre Sylvester Okechukwu, a poche ore dal suo rapimento

Rapito e poi ucciso un sacerdote cattolico nella Nigeria settentrionale. Si tratta di padre Sylvester Okechukwu, parroco della chiesa di St Mary Tachira, Kaura Local Government Area dello Stato di Kaduna.
Secondo quanto comunicato dalla diocesi di Kafanchan, padre Okechukwu, è stato rapito nella sua residenza a Tachira il 4 marzo 2025, tra le 21.15 e le 21.40. Il suo corpo è stato ritrovato ieri, 5 marzo.
“Dopo essere stato rapito dai suoi rapitori don Sylvester è stato crudelmente ucciso nelle prime ore del 5 marzo, mercoledì delle Ceneri. Resta ancora da stabilire il motivo per cui è stato ucciso” afferma il comunicato firmato da don Jacob Shanet, Cancelliere della diocesi di Kafanchan.
“Questa perdita prematura e brutale ci ha lasciato con il cuore spezzato e devastato. Padre Sylvester era un devoto servitore di Dio, che ha lavorato disinteressatamente nella vigna del Signore, diffondendo il messaggio di pace, amore e speranza. Era sempre disponibile e cordiale con i suoi parrocchiani. La sua morte prematura ha lasciato un vuoto indelebile nella nostra famiglia diocesana e condividiamo il dolore della sua scomparsa con la sua famiglia, i suoi amici e tutti coloro che lo conoscevano e lo amavano” prosegue il comunicato.
“Uniamoci come una sola famiglia in preghiera per il riposo della sua anima. Invitiamo tutti i sacerdoti, i religiosi e i fedeli a offrire Sante Messe, Rosari e Preghiere per il riposo eterno di Padre Sylvester, che ha dato la sua vita al servizio di Dio e dell’umanità.
Vogliamo invitare i nostri giovani e i membri della comunità a rimanere calmi e saldi nella preghiera” conclude.
(L.M.) (Agenzia Fides 6/3/2025)

NIGERIA - L’uccisione di padre Okechukwu è solo l’ultimo atto di una catena di delitti derivanti dall’insicurezza che minaccia tutti i cittadini

In una dichiarazione intitolata “La giusta indignazione per l’orribile omicidio di mio figlio”, Mons. Kundi afferma: “Con profondo dolore e giusta indignazione, condanno, nei termini più forti, l’incessante e tragica ondata di rapimenti che ha preso di mira sacerdoti, agenti pastorali e fedeli. La diocesi è sommersa dall’angoscia e la terra è carica di rabbia. Per quanto tempo i nostri pastori e fratelli saranno braccati come prede? Per quanto tempo i nostri luoghi di culto diventeranno motivo di paura invece che santuari di speranza?”
Il Vescovo di Kafanchan ricorda inoltre che l’assassinio di padre Okechukwu è solo l’ultimo di una lunga lista di agenti pastorali rapiti e uccisi nella diocesi. “Questa non è una tragedia isolata. Ricordiamo con dolore l’omicidio del catechista Raymond Ya’u il 21 luglio 2021 a Matyei, padre Johnmark Cheitnum, rapito e assassinato il 14 luglio 2022 a Yadin Garu, Consiglio di Lere (vedi Fides 20/7/2022), il seminarista di 25 anni Naaman Stephen Ngofe, assassinato a Fadan Kamantan, Consiglio di Zangon Kataf, il 7 settembre 2023 e il catechista Istifanus Katunku, rapito il 4 luglio 2024 a Kagal, Consiglio di Zangon Kataf, la cui sorte rimane sconosciuta. Queste atrocità accrescono il nostro dolore e rafforzano la nostra richiesta di giustizia”.
Mons. Kundi sottolinea infine come diverse comunità locali nella sua diocesi vivono nell’angoscia a causa dei continui rapimenti di comuni abitanti da parte di bande criminali che rimangono impunite.
Padre Sylvester Okechukwu, 44 anni, era stato catturato da uomini armati che avevano assalito la canonica della chiesa di St Mary Tachira, della quale era il parroco, nella tarda sera del 4 marzo. La mattina del 5 marzo una squadra delle forze di sicurezza che stava conducendo un’operazione di ricerca ha ritrovato il corpo di padre Okechukwu recante segni di violenza.
“Questo crimine atroce evidenzia ancora una volta l’insicurezza allarmante nella nostra nazione, in particolare nella Nigeria settentrionale, dove cittadini innocenti, compresi membri del clero, vengono ripetutamente presi di mira, rapiti e uccisi impunemente. Non si deve permettere che gli attacchi incessanti alla Chiesa e alla società in generale da parte di elementi criminali continuino senza controllo”. (L.M.) (Agenzia Fides 7/3/2025)

SIRIA -I cristiani tra le vittime del massacro nella ‘nuova Siria’ di al-Sharaa
Sacerdoti, madri, minori: sono decine i cristiani travolti dalle violenze innescate della rivolta divampata nell’ex feudo di Assad. In un messaggio i patriarchi siriani parlano di “pericolosa escalation di violenza, torture e omicidi” contro “civili innocenti, tra cui donne e bambini”. Il tardivo appello dell’ex leader islamista all’unità. P. Jihad: “Digiuno e preghiera” comune per la pace.

Un sacerdote della Chiesa greco-ortodossa ucciso a sangue freddo; una famiglia intera - nonni, genitori, figli - massacrata all’interno della propria abitazione; decine di uomini, anziani, donne e persino minori vittime di vere e proprie esecuzioni per il solo fatto di essere cristiani. Dalla Siria giungono testimonianze drammatiche - rilanciate da gruppi attivisti - di una deriva sanguinosa degli scontri, iniziati la scorsa settimana, fra fazioni fedeli all’ex presidente di Bashar al-Assad e la nuova leadership al potere a Damasco che hanno già causato oltre 800 morti. Epicentro delle violenze quelli che, un tempo, erano i feudi del regime in un’area a maggioranza alawita le città costiere di Tartus e Latakia. L’intervento delle milizie di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) del presidente ad interim Ahmad al-Sharaa in reazione alla rivolta di formazioni lealiste del vecchio regime hanno causato durissimi scontri, sfociati in omicidi sommari e massacri di civili innocenti, compresi i cristiani.

La spirale di morte e terrore che ha investito i cristiani, di cui si erano già visti i primi accenni nel dicembre scorso in seguito all’ascesa dei miliziani e della cacciata di Assad, con croci divelte e un orrendo omicidio, preoccupa i vertici della Chiesa locale. In una dichiarazione congiunta i patriarchi Giovanni X (greco-ortodosso), Ignace Afrem II (siro-ortodosso) e Youssef Al-Absi (greco-melchita), parlano di “pericolosa escalation di violenza, torture e omicidi” contro “civili innocenti, tra cui donne e bambini”.

Da qui la “ferma condanna” dei massacri e la richiesta di “condizioni adeguate” per la ripresa del cammino di “riconciliazione nazionale” da più parti invocato e sottolineato ad AsiaNews anche dalla sola rappresentante cristiana nel Comitato dei sette Hind Kabawat. Stigmatizzando ogni forma di “vendetta ed esclusione”, i patriarchi concludono il messaggio invitando a difendere “l’unità del territorio siriano” e “cercare soluzioni pacifiche che preservino la dignità umana”.

Secondo il sito cristiano Assyro-chaldéens, l’histoire continue, che rilancia fonti locali, fra le vittime vi sarebbe un sacerdote della Chiesa greco-ortodossa di sant’Elia a Tartous, identificato come p. Yohann Youssef Boutros. Il sacerdote sarebbe stato freddato da fazioni affiliate al nuovo governo siriano di Abou Mohammed al-Jolani. Con un colpo alla testa è stato ucciso un altro “martire cristiano” di nome Fares Bassam Kawi; l’uccisione è avvenuta nel quartiere di al-Datour a Latakia, in precedenza l’uomo era stato “costretto a camminare a quattro zampe come un cane”. E ancora, un’intera famiglia è stata massacrata nella cittadina di Banias.

Un altro cristiano è stato ammazzato nel villaggio siriano maronita di Dahr Safra, con la vittima Tony Khoury centrato da un proiettile al volto. E ancora, il sindaco del villaggio cristiano di al-Mazra’a Wadi al-Nasara ucciso da fazioni vicine ad Hts, così come due cristiani - padre e figlio - di origine armena anche in questo caso a Latakia. Fra le decine di vittime cristiane coinvolte nell’escalation fra Hts ed ex fedelissimi di Assad, nel quadro di una rivolta sferrata da ex alti ufficiali dell’esercito lealista, vi sarebbe anche il padre del sacerdote Gregorius Bechara, della parrocchia di Notre-Dame dell’Annunciation, colpito a Banias.

A tre mesi dalla rapida ascesa delle milizie di Hts, un tempo affiliate alla galassia jihadista e guidate dal presidente ad interim al-Sharaa, che ha portato in poche settimane al crollo del vecchio regime, la Siria sembra tornare alle fasi più sanguinose e cruente della guerra civile. Una pericolosa escalation in una nazione ancora profondamente divisa al suo interno, che deve fronteggiare gravissimi problemi economici e una difficile difesa dell’integrità territoriale: a partire dalle mire indipendentiste curde nel nord-est, fino agli interessi incrociati di potenze regionali dalla Turchia nel nord-ovest fino al Golan, dove si fa sempre più massiccia l’occupazione israeliana. Elementi che rendono sempre più delicato - e difficile - il lavoro dell’Assemblea costituente che, almeno sulla carta, vorrebbe garantire massima rappresentanza a tutte le componenti etniche e religiose del Paese, ivi compresi gli alawiti, l’etnia di appartenenza degli Assad.

In queste ore è intervenuto lo stesso al-Sharaa, che durante le preghiere del mattino per il Ramadan a Damasco ha rilanciato l’obiettivo dell’unità nazionale di fronte alle violenze e alle esecuzioni sommarie, peraltro perpetrate da gruppi affiliati alla sua fazione. “Quello che sta succedendo in Siria ora - ha sottolineato - è una delle sfide attese”. Egli ha poi accusato i lealisti di Assad e potenze straniere (non specificate) colpevoli di “incitare nuovi conflitti e trascinare la nazione in una guerra civile, con l’obiettivo di dividerlo e distruggerne l’unità e la stabilità”.

Fra gli appelli contro la violenza vi è quello lanciato in queste ore da p. Jihad Youssef, del monastero di Mar Musa, che oltre a rivolgere le condoglianze alle famiglie delle vittime, ai “civili indifesi” vittima di “martirio”, chiede di “non tornare alle battaglie e vendette di un tempo”. Perché, avverte, la logica della vendetta non garantisce “giustizia”. “Sto parlando qui - sottolinea in un messaggio rilanciato sui social - come cittadino siriano, come uomo cristiano, come uno di voi, come alawita, come sunnita, come druso, come curdo, come arabo, sunnita, assiro, armeno, turkmeno orientale, tutti coloro che vivono sulla terra siriana, tutti coloro che avvertono dolore e compassione l’uno per l’altro”. Esortando i siriani ad archiviare le ingiustizie del passato, il religioso chiede di promuovere “pace e perdono”, guardando al futuro e ricordando il passato per “imparare da esso e non ripetere gli errori”. Da qui, l’invito finale a una comune veglia di digiuno e preghiera di cristiani e musulmani “per la pace e la riconciliazione sulla costa e in tutto il Paese”.
(Asia News 10/03/2025)

MYANMAR - Bombardato un Centro pastorale cattolico nello stato Kachin

Il centro pastorale nel complesso della chiesa cattolica di San Michele, a Nan Hlaing, in un’area rurale della diocesi di Banmaw (Myanmar settentrionale), è stato colpito e distrutto da un bombardamento dell’esercito birmano. “5 proiettili e 2 bombe aeree sparate contro il complesso della nostra chiesa hanno colpito la struttura ma non hanno ferito nessuno”, riferisce il gesuita Wilbert Mireh, che aiuta il parroco in una chiesa che ha oltre cento anni di storia.

Testimonianza: come vivono 65.000 persone
Il gesuita informa che, per raccontare dell’incidente, avvenuto il 3 marzo, ha dovuto spingersi in una località distante, verso il confine con la Cina, per trovare un luogo con elettricità, una connessione internet e poter comunicare con il mondo esterno. “Luce, telefono e servizi sono stati tagliati del tutto nella nostra zona da luglio 2024”, dice. Banmaw, località nello Stato Kachin, si trova 186 km a sud del capoluogo dello Stato, Myitkyina, e ha una popolazione di circa 65.000 abitanti, soprattutto Kachin, ma anche di etnia Bamar, Shan e Han. “Il bombardamento ha provocato danni alla struttura ma nessuna vittima. Ringraziamo Dio di essere salvi, sebbene qui la gente stenti a sopravvivere, non vi sono scuole, cliniche ne commercio”, prosegue p. Mireh. “Dopo l’ennesimo attacco, i fedeli si affidano e pregano perché l’arcangelo Michele ci protegga. Anche i ragazzi e i bambini cantano e invocano San Michele perché sia nostro scudo e difesa”, racconta.
La messa solitamente la celebriamo sotto gli alberi perché restare in chiesa è troppo pericoloso e l’edificio è già stato colpito e danneggiato. Ma devo dire che, nonostante la sofferenza e le condizioni precarie, la fede e lo spirito è forte, i fedeli pregano ogni giorno affinché il Signore, tramite l’Arcangelo Michele, continui a donare la sua protezione e vegliare su di noi”.
Padre Mireh è il primo Gesuita birmano, ordinato sacerdote nel 2013, ed oggi è tra i circa 30 gesuiti birmani. Dopo il servizio pastorale a Loikaw, è stato inviato a Banmaw dove, oltre alla cura spirituale dei fedeli si è sempre dedicato all’apostolato sociale e all’istruzione. “Ora sono i bambini che non hanno scuola, una grave conseguenza del conflitto civile “, nota. Conclude padre Mireh: “Nonostante la paura e il disagio, saldi nella nostra fede, continueremo a vivere per il bene, la verità e la giustizia.”
Il contesto in cui la comunità cattolica locale si trova oggi è quello dello stato Kachin, nel Myanmar settentrionale, dove è in corso un duro scontro tra l’esercito regolare e quello della minoranza etnica Kachin, che ha conquistato posizioni nei pressi della città di Banmaw. L’Esercito per l’indipendenza Kachin (KIA), che lotta per l’autodeterminazione nello stato, è tra le milizie etniche meglio organizzate, attive da decenni, che si sono unite alla resistenza contro l’attuale giunta militare al potere. Nello stato Kachin l’esercito birmano ha dovuto ritirarsi da gran parte del territorio e continua soltanto a martellare con bombardamenti di artiglierie e aerei. Secondo fonti locali, data la battaglia in corso per il controllo di Banmaw, la maggior parte degli abitanti della città è fuggita, e solo circa 20.000 residenti restano in città. Gli sfollati si sono rifugiati nelle foreste e nei villaggi circostanti, con scarse risorse per il sostentamento.
La diocesi di Banmaw è situata nella parte sudorientale dello Stato Kachin, nella zona di confine con la Cina. Negli ultimi anni, anche prima del colpo di stato del 2021 il conflitto tra l’esercito regolare del Myanmar e il KIA aveva creato oltre 120mila sfollati. La guerra si è intensificata e negli ultimi due anni ha interessato nove parrocchie sulle 13 esistenti nella diocesi, ingrossando il numero dei profughi.
(PA) (Agenzia Fides 5/3/2024)

CINA - ‘Illegale’ la Messa di inizio Giubileo: nuovo arresto per mons. Shao
Il vescovo sotterraneo di Wenzhou, nella provincia dello Zhejiang, fermato questa mattina dagli agenti dell’Ufficio della Sicurezza Nazionale. Si era rifiutato di pagare l’esorbitante multa da 200mila yuan impostagli per la celebrazione, tenuta il 27 dicembre alla presenza di 200 persone. La settimana scorsa aveva scritto ai fedeli intensificare la presenza alla Messa e pregare il Rosario per la salute di papa Francesco.

Mons. Pietro Shao Zhumin, vescovo sotterraneo di Wenzhou, nella provincia dello Zhejiang, è stato arrestato oggi a mezzogiorno dalle autorità dell’Ufficio della Sicurezza Nazionale. L’arresto è legato alla Messa di apertura dell’Anno Santo che il presule ha celebrato pubblicamente il 27 dicembre scorso, a cui hanno partecipato 200 fedeli.
Come AsiaNews aveva già raccontato qualche settimana fa, le autorità sostengono che questa Messa fosse “illegale”, in violazione dell’articolo 71 delle Norme sugli Affari Religiosi, e rappresenti “un crimine grave”.
Le autorità avevano imposto per questo una multa da 200mila yuan (equivalente a oltre 26mila euro ndr). Un provvedimento che mons. Shao ha contestato, spiegando che le attività della Chiesa non violano la legge. Di qui l’arresto di oggi che secondo l’Ufficio della Sicurezza nazionale servirebbe a garantire la “sicurezza” del vescovo. Non si sa dove sia stato portato e non è chiaro quanto durerà questa misura restrittiva o la sua sorveglianza. I fedeli sono molto preoccupati per la sua sicurezza e la sua salute.

Inoltre, è stato riportato anche che recentemente l’Ufficio della Sicurezza Nazionale e il Dipartimento per gli Affari Religiosi hanno interferito con un pellegrinaggio di alcune centinaia di persone organizzato dalla parrocchia di Cangnan, sotto la giurisdizione della Chiesa sotterranea di Wenzhou, vietandone la partenza.
Negli ultimi anni, ogni domenica, agenti in abiti civili sono entrati nelle chiese della diocesi sotterranea di Wenzhou, impedendo l’ingresso a qualsiasi bambino o adolescente. Negli ultimi mesi, l’Ufficio della Sicurezza Nazionale è passato a un nuovo metodo, delegando la sorveglianza alle autorità locali dei quartieri. I funzionari di solito sorvegliano le chiese dalle 7 del mattino fino a mezzogiorno, impedendo non solo l’ingresso di bambini e adolescenti, ma anche impedendo ai sacerdoti di celebrare la Messa.

Il vescovo Shao ha rifiutato di aderire agli organismi cattolici ufficiali controllati dal Partito comunista cinese e per questo non è riconosciuto dalle autorità. Come riportato più volte da AsiaNews, il presule oggi 61enne fu nominato nel 2007 da Benedetto XVI come vescovo coadiutore per succedere a mons. Vincenzo Zhu Wei-Fang, che è poi morto nel settembre 2016. Per il suo rifiuto di aderire all’Associazione patriottica le autorità che considerano la sede “vacante” e sostengono come guida della locale comunità cattolica p. Ma Xianshi, un sacerdote “patriottico”. Mons. Shao è stato arrestato più volte negli ultimi anni e oggi la Chiesa sotterranea di Wenzhou ha lanciato una campagna di preghiera per sostenerlo.
Va anche aggiunto che il 25 febbraio, il vescovo Shao aveva inviato una lettera a tutta la diocesi invitando i fedeli a pregare per papa Francesco, accompagnandolo con la Messa e la recita del Rosario, chiedendo a Dio di sostenerlo nella malattia con la Sua grazia. Milano
(AsiaNews 07/03/2025)

TESTIMONIANZA CONGO
«La mia vita in Congo, tra le milizie jihadiste che per voi sono sigle»

Gloire Kambale ha 25 anni e ha già vissuto quasi tutto il peggio che un uomo può sperimentare. Nato in Nord-Kivu, ha avuto famiglia e amicizie decimate dalle atrocità più inimmaginabili. Che racconta

Si chiama Gloire Kambale, ha 25 anni, è cattolico e ha già vissuto quasi tutto il peggio che un uomo può sperimentare. È nato nella regione di Beni, in Nord-Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, e le notizie che escono sui giornali (e più spesso non escono) sulla RDC sono il suo quotidiano. M23, MaiMai, ADF/NALU: i nomi dei gruppi armati che devastano il Paese praticamente da sempre non sono per lui una faccenda geopolitica da interpretare e inquadrare: sono sua sorella uccisa, i parenti massacrati, i compagni di studio e amici d’infanzia fatti a pezzi. Oggi è un giornalista. È impiegato in un monastero di suore trappiste dell’ordine cistercense a Kikwit (nella parte ovest della RDC), dove si sente al sicuro. Dove può raccontare.

Avevo 15 anni: i corpi dei miei amici accatastati su una jeep
«Sono nato a Lubero, una regione dove le milizie fanno la legge. Sono cresciuto e ho fatto la maggior parte dei miei studi a Beni, dove i terroristi islamici ADF/NALU agivano selvaggiamente: nel nome delle loro ideologie, sventravano donne incinte, sgozzavano i bambini, bruciavano uomini nelle loro case. Con i loro machete, molte persone hanno perso la vita. A causa della persistenza dei conflitti armati, in questa zona, ognuno di noi porta con sé terribili esperienze della guerra. Consegnarvi questa testimonianza è per me doloroso. Ma se la mia voce può unirsi alle voci di coloro che denunciano, forse queste parole serviranno a qualcosa».

Aveva 15 anni quando ha assistito alle prime atrocità. «Ero a Beni. Era aprile. Una notte, in un quartiere vicino al nostro, Rwangoma, avevamo sentito colpi di proiettile e detonazioni di armi pesanti, un tumulto spaventoso. Mio padre ci disse di nasconderci sotto i letti. Le armi hanno smesso di crepitare solo la mattina dopo. Le cose si sono calmate, e le jeep delle forze lealiste (FARDC) hanno attraversano il nostro quartiere per andare a raccogliere i cadaveri. Le macchine erano piene dei corpi di queste persone: accatastati, letteralmente a pezzi, tagliati con machete. Il sangue ha riempito le strade. Tra i cadaveri ho riconosciuto Norbert e Junior, i miei compagni di scuola: erano in cima al mucchio».

Ezechiele, la mia interrogazione di geografia e tutto quel sangue
Dopo quell’episodio, racconta Gloire, la gente, terrorizzata, cominciò a ridurre gli spostamenti. Le autorità militari dissero che i terroristi si stavano nascondendo nei campi, e che erano pericolosi. “Non avevamo più accesso ai nostri terreni. La gente cominciava ad avere fame. Gli islamisti moltiplicarono gli attacchi contro i civili: bruciavano gli ospedali, e anche le scuole. La mia era aperta, ma solo per poche ore: dalle 7 alle 10. A dire la verità, non eravamo molto concentrati a causa della situazione. Nel maggio 2016, mentre eravamo in classe, il mio amico Ezechiele mi disse che sua madre si era ammalata, e che a casa loro mancava il cibo. Il padre non c’era. Ezechiele voleva andare ai campi per raccogliere delle banane e dei fagioli: due ore a piedi. Mi chiese di accompagnarlo: avevo paura, ma accettai. Uscendo dalla classe, l’insegnante di geografia mi chiamò per una verifica andata male. Dissi al mio amico di aspettarmi un attimo. Alla fine dell’interrogazione, corsi per ritrovarlo, ma era già partito. Ho aspettato con ansia il suo ritorno, avevo un brutto presentimento. Il mattino dopo, suo zio, sua sorella, i suoi due cugini e io siamo partiti per andare a cercarlo. Sulla strada abbiamo incontrato tante persone in lacrime che camminavano verso Kadohu: i terroristi dell’ADF avevano massacrato gli agricoltori. Arrivato a destinazione, in una veranda comunitaria, c’erano cinque corpi decapitati con i machete, le teste erano state buttate lontano, nei campi. Ezechiele l’ho trovato lì: sgozzato, le mani e i piedi legati, il suo sangue scorreva sui caschi di banane che aveva raccolto».

Mia sorella, mio cognato, il loro bambino appena nato
In quel periodo, una ventina di amici di Gloire fecero la stessa fine. Poi toccò a sua sorella. «E’ successo quando una notte i ribelli hanno fatto un’incursione a Beni. Hanno circondato una parte del nostro quartiere, e hanno cominciato a uccidere, a rubare il bestiame, a bruciare le persone nelle loro abitazioni. Mia sorella si era chiusa in casa. Suo marito era fuori con il loro bambino appena nato: si è nascosto con lui dietro una siepe. Quando gli assalitori sono arrivati, il piccolino ha gridato. Gli islamisti hanno trovato il nascondiglio, e hanno sgozzato mio cognato. Il bambino l’hanno preso per il piede e l’hanno picchiato contro il muro: è stato ucciso così. Poi hanno lanciato una bomba sulla casa dove c’era mia sorella: è morta tra le fiamme».

Gli incubi che non mi danno pace. La comunità internazionale agisca
Negli anni, Gloire ha seppellito decine di amici e parenti. E ha deciso di raccontare. «Nel 2020, sono stato assunto come giornalista e reporter da una radio cattolica e diocesana. Ho fatto gli studi di comunicazione-giornalismo in un’università cattolica dei padri assunzionisti. Ho scritto reportage da Oicha, Isale, Kalunguta, Mutwanga. Ho visto l’inimmaginabile in questi villaggi: ho dovuto documentare livelli di atrocità che non sono qui riferibili. Orrori che rivivo negli incubi che non mi danno pace. È orribile ciò che succede a Beni. È orribile quello che succede in questo Paese. È troppo. Bisogna che la comunità internazionale agisca. Che Dio accolga le anime di tutti questi innocenti massacrati e che da là dove si trovano, intercedano per la conversione dei loro carnefici e dei miliziani che rendono insicuro tutto il Nord-Kivu.
(Avvenire Redazione Esteri venerdì 7 marzo 2025)