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2025 03 19 NIGERIA - Assassinato il seminarista sequestrato il 3 marzo

NIGERIA - Assassinato il seminarista sequestrato il 3 marzo
APPROFONDIMENTO NIGERIA - In 10 anni rapiti 145 sacerdoti, dei quali 11 poi uccisi
MYANMAR - Banmaw, incendiata la Cattedrale di San Patrizio
IRAN - Teheran: 40 anni di carcere a tre cristiani convertiti. Fra loro una donna incinta
INDIA - Orissa: cristiani privati del diritto alla sepoltura, costretti a convertirsi all'induismo
Fonte:
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NIGERIA - Assassinato il seminarista sequestrato il 3 marzo
Assassinato il seminarista catturato insieme a un sacerdote il 3 marzo, nel sud della Nigeria, mentre quest’ultimo ha ritrovato la libertà.

Secondo quanto comunicato dalla diocesi di Auchi “p. Philip Ekweli è stato rilasciato dai rapitori, intorno alle 16 di giovedì 13 marzo, nei pressi del villaggio di Amughe, a pochi chilometri dalla città di Okpekpe, North Ibie nell’Etsako East LGA dello Stato di Edo, ponendo fine a dieci giorni di prigionia nelle mani dei suoi rapitori”.
“Purtroppo il seminarista maggiore di 21 anni, Andrew Peter, che era stato rapito insieme a Padre Ekweli, è stato assassinato dai rapitori” afferma il comunicato firmato da Padre Peter Egielewa direttore delle comunicazioni sociali della diocesi.
Padre Ekweli e il seminarista Andrew sono stati rapiti il 3 marzo, intorno alle 21.30, dalla canonica della chiesa cattolica di San Pietro a Iviukhua-Agenebode, nella contea di Etsako East, nello Stato di Edo, quando uomini armati hanno attaccato sia la canonica che la chiesa. I due sono stati condotti nelle foreste vicine.
La diocesi chiede alle forze di sicurezza di proteggere la popolazione dello Stato di Edo dai continui rapimenti: “Il vescovo di Auchi, Gabriel Dunia, esprime “gratitudine a tutti per le preghiere e il sostegno morale ricevuto mentre padre Ekweli e il seminarista erano tenuti prigionieri. Chiede al governo a tutti i livelli e alle agenzie di sicurezza di fermare il deterioramento delle condizioni di sicurezza Stato di Edo, che è diventato un rifugio sicuro per i rapitori, che possono operare impunemente, mentre la popolazione si sente impotente e abbandonata”.
“Le persone non sono al sicuro sulle strade, nelle loro fattorie e persino nelle loro case” afferma il comunicato della diocesi. “Ciò è inaccettabile quando ci sono funzionari eletti il cui dovere è proteggere la gente. Il Vescovo è grato al governo dello Stato di Edo per i suoi sinceri sforzi nel recuperare le persone rapite, ma esprime insoddisfazione per la risposta della polizia in particolare negli sforzi di salvataggio, esortandoli a mettere in atto misure migliori misure per salvare i sequestrati, anziché lasciare l’intero sforzo di salvataggio esclusivamente nelle mani dei familiari, degli amici e dei conoscenti dei rapiti”.
Padre Egielewa ricorda che “negli ultimi dieci anni, nelle nostra diocesi sei dei suoi sacerdoti sono stati rapiti, torturati e rilasciati, tre sono stati aggrediti ma sono riusciti a fuggire e uno (padre Christopher Odia, vedi Fides 27/06/2022) è stato brutalmente assassinato; ora è stato assassinato anche il seminarista Andrew Peter”.
“Possano per la misericordia di Dio riposando in pace le anime del seminarista Andrew Peter, di Padre Christopher Odia e di tutti coloro che sono stati uccisi dai rapitori in Nigeria.” concludere. (LM) (Agenzia Fides 17/3/2025)


APPROFONDIMENTO NIGERIA - In 10 anni rapiti 145 sacerdoti, dei quali 11 poi uccisi

Sono 145 i sacerdoti rapiti in Nigeria in 10 anni. È quanto emerge dall’analisi effettuata dal Catholic Secretariat of Nigeria (CSN) che ha raccolto i dati sui sequestri di preti nigeriani relativi al periodo 2015-2025. Su 145 sacerdoti rapiti, 11 sono stati poi uccisi.
Il rapporto, inviato all’Agenzia Fides è suddiviso per province ecclesiastiche.
Lo pubblichiamo integralmente.

A. Province più colpite per numero di rapiti

1. Provincia di Owerri (47 casi)
- Ha il numero più elevato di rapimenti, indice di regione ad alto rischio per il clero.
- Nonostante l’elevato numero, tutti i preti tranne due sono stati rilasciati sani e salvi, il che suggerisce sforzi efficaci di liberazione o pagamenti di riscatto.

2. Provincia di Onitsha (30 casi)
È al secondo posto per numero di rapimenti ma con un tasso di mortalità significativamente più basso (un prete ucciso).

3. Provincia di Kaduna (24 casi, 7 decessi)
- Il più alto numero di morti tra tutte le province, indicando un modello di rapimenti più violento.
- Ciò potrebbe essere dovuto ad attività terroristiche, influenza degli insorti o accresciute tensioni religiose nella Nigeria settentrionale.

B. Province con il più alto numero di vittime

1. Provincia di Kaduna (7 sacerdoti uccisi)
- Rappresenta la provincia più pericolosa, dove i rapimenti spesso finiscono con vittime.
- Suggerisce che i rapitori in questa regione sono più aggressivi, motivati politicamente o meno interessati alle trattative di riscatto.

2. Provincia di Abuja (2 sacerdoti uccisi)
- Anche la regione della capitale federale è interessata, dimostrando che anche le aree presumibilmente sicure non sono immuni.

3. Provincia di Benin (1 sacerdote ucciso) e provincia di Onitsha (1 sacerdote ucciso)
- Inferiore rispetto a Kaduna ma comunque preoccupante, indicando casi isolati di rapimenti violenti.

C. Province con sacerdoti ancora dispersi

1. Provincia di Kaduna (1 sacerdote disperso)
- Dato l’alto numero di vittime, il sacerdote scomparso potrebbe essere in grave pericolo o già deceduto.

2. Provincia del Benin (1 sacerdote disperso)
- Non è chiaro se ciò sia dovuto alla mancanza di sforzi di soccorso o al rifiuto dei rapitori di negoziare.

3. Provincia di Owerri (2 sacerdoti dispersi)
- Nonostante l’alto tasso di rilascio, due casi rimangono irrisolti, il che suggerisce che alcuni rapitori potrebbero cambiare strategia.

D. Province meno colpite (basso rischio)

1. Provincia di Ibadan (2 casi, tutti rilasciati)
2. Provincia di Calabar (4 casi, tutti rilasciati)
3. Provincia di Lagos (0 casi segnalati)
- Lagos, essendo il fulcro economico della Nigeria, sembra essere la provincia più sicura per il clero cattolico.
- Ciò potrebbe essere dovuto a una migliore sorveglianza, a migliori misure di sicurezza urbana o a una minore militanza religiosa nella regione.

Punti chiave

- I rapimenti sono diffusi, con alcune province che sperimentano tendenze più violente (Kaduna, Abuja). - La maggior parte dei rapimenti avviene a scopo di estorsione, ma le regioni settentrionali (Kaduna) mostrano una maggiore tendenza alle esecuzioni di sacerdoti.
- Lagos rimane la provincia più sicura, probabilmente a causa di una migliore presenza delle forze dell’ordine.
- I preti scomparsi rimangono una preoccupazione, poiché il loro destino è incerto in alcune province. (L.M.)
LINK Tabella rapimenti sacerdoti rapiti (2015-2025) > http://www.fides.org/it/attachments/view/file/IMG-20250311-WA0006.jpg
(Agenzia Fides 12/3/2025)



MYANMAR - Banmaw, incendiata la Cattedrale di San Patrizio
I soldati della giunta militare golpista al potere in Myanmar (Sac, State Administration Council) hanno incendiato e distrutto la cattedrale di san Patrizio a Bhamo, nello Stato settentrionale Kachin. La casa del sacerdote, l’edificio a tre piani che ospita gli uffici diocesani e la scuola superiore erano già stati incendiati il 26 febbraio scorso.

La Cattedrale di Banmaw, cittadina dello stato di Kachin, in Myanmar, è andata distrutta a causa di un incendio domenica 16 marzo, alla vigilia della festa di San Patrizio, Santo a cui è dedicata.
La Cattedrale è stata incendiata da soldati del SAC (State Administration Council), la giunta militare che al momento ferma il potere in Myanmar.
Il rogo, secondo testimonianze pervenute all’Agenzia Fides, è divampato alle 4 del pomeriggio di domenica 16 marzo. La casa del sacerdote, l’edificio a tre piani che ospita gli uffici diocesani e la scuola superiore erano già stati incendiati il 26 febbraio scorso.

La diocesi di Banmaw, eretta nel 2006 e guidata dal Vescovo Raymond Sumlut Gam, confina a est con la Cina e copre un’area in gran parte montuosa di 10.741 chilometri quadrati. Prima della situazione di conflitto in atto era abitata da una popolazione civile di più di 407mila abitanti (con più di 27mila battezzati cattolici), appartenenti a diverse etnie. (PA/FB) (Agenzia Fides 17/3/2025)




IRAN - Teheran: 40 anni di carcere a tre cristiani convertiti. Fra loro una donna incinta
Abbas Soori, Mehran Shamloui e Narges Nasri, circa a metà della gravidanza, condannati senza attenuanti. Fra le accuse “attività contraria alla legge islamica”, appartenenza a “gruppi di opposizione” e “propaganda contro lo Stato”. In aggiunta pene accessorie fra cui multe, privazione dei diritti civili e divieto di espatrio.


Dalla Repubblica islamica nuovi casi di persecuzione a sfondo confessionale contro la minoranza cristiana: secondo quanto riferisce Article18, sito specializzato nel documentare abusi e limiti in tema di culto in Iran, tre convertiti dall’islam fra i quali una donna incinta del suo primo figlio sono stati condannati a oltre 40 anni di carcere per accuse legate al loro credo religioso e alle riunioni di culto. Inoltre, la condanna della futura mamma è stata comminata dai giudici del tribunale proprio l’8 marzo scorso, in concomitanza con la Giornata internazionale della donna.

A finire dietro le sbarre sono Abbas Soori, Mehran Shamloui e Narges Nasri, che è circa a metà della sua gravidanza, condannati senza alcuna attenuante dal giudice Iman Afshari del Tribunale rivoluzionario islamico, noto anche come Tribunale rivoluzionario. Il magistrato è famoso per la durezza delle sentenze e i molti verdetti comminati ai danni di minoranze e attivisti.

Narges, 37 anni, ha ricevuto la condanna più severa a 10 anni di prigione per “attività di propaganda contraria alla legge islamica”, più altri cinque per appartenenza a un “gruppo di opposizione” (come vengono considerate le House Church) e un ulteriore anno per “propaganda contro lo Stato”. In questo caso, alla base della sentenza - e come “prova” del crimine - vi sarebbero post e messaggi pubblicati sui social media a favore del movimento “Donne, Vita, Libertà” fondato in risposta all’uccisione di Mahsa Amini per non aver indossato correttamente l’hijab, il velo islamico.
Abbas, 48 anni, ha ricevuto un totale di 15 anni di carcere, di cui 10 per “attività di propaganda” e cinque per appartenenza a un “gruppo di opposizione”.
Infine Mehran, 37 anni, ha ricevuto una condanna a otto anni per la prima accusa e a due anni e otto mesi per la seconda.

Tutti e tre sono stati inoltre privati per anni dei diritti sociali come salute, lavoro o istruzione: in particolare, il giudice ha affibbiato 15 anni ciascuno per Narges e Abbas, e un totale di 11 anni per Mehran. Inoltre, Narges e Abbas sono stati multati per 330 milioni di tomans (3.500 dollari) ciascuno, e Mehran per 250 milioni (2.750 dollari). Ai primi due imputati è stato inoltre vietato di far parte di qualsiasi gruppo, di risiedere nella loro provincia natale di Teheran o di lasciare la Repubblica islamica per ulteriori due anni dopo il loro rilascio.

I tre cristiani sono stati arrestati nell’autunno del 2024 nel corso di incursioni concomitanti da parte di agenti dei servizi segreti nelle loro case a Teheran, durante le quali sono stati confiscati effetti personali tra cui Bibbie, croci e strumenti musicali. Fra l’altro Mehran è un musicista e l’attrezzatura che gli uomini dell’intelligence gli hanno confiscato aveva un valore di circa 5.500 dollari. I cristiani sono stati poi trasferiti nella Sezione 209 della prigione di Evin, che è sotto il controllo proprio del ministero dell’Intelligence.

Un mese più tardi, in seguito a una serie di lunghi e intensi interrogatori, sono stati rilasciati su cauzione per un valore di oltre 20mila dollari ciascuno. Il 15 febbraio scorso si è svolta l’udienza presso la sezione 26 del Tribunale rivoluzionario di Teheran; agli imputati sono stati contestati i reati di “appartenenza a gruppi di opposizione”, “propaganda contro il sistema” e “attività di propaganda contraria alla legge islamica attraverso relazioni con l’estero”, rispettivamente ai sensi degli articoli 499, 500 e 500 bis del Codice penale.

Almeno altri 10 cristiani sono stati arrestati nello stesso giorno durante raid coordinati in case e abitazioni private in tutto il Paese, comprese le città di Karaj (vicino a Teheran), Mashhad nel nord-est e Shiraz e Bandar Abbas nel sud. Abbas era già stato arrestato nel 2020 e successivamente condannato insieme a un’altra cristiana convertita, Maryam Mohammadi, e al loro pastore, un iraniano-armeno, Anooshavan Avedian. Abbas e Maryam hanno ricevuto pene non detentive, tra cui il divieto di viaggiare, l’esilio dalla provincia di Teheran e il divieto di far parte di qualsiasi gruppo politico o sociale, mentre al 60enne Anooshavan è stata inflitta una pena detentiva di 10 anni. Nel settembre scorso è stato assolto, dopo aver scontato poco più di un anno della sua condanna.

I casi di persecuzioni contro i cristiani rappresentano una ulteriore conferma del fatto che in Iran vi sia una “netta regressione” della libertà religiosa, in linea con la crescente repressione delle autorità legata alle proteste divampate in seguito alla morte di Mahsa Amini per mano della polizia della morale. Un dato emerso anche nei rapporti della US Commission on International Religious Freedom, che invitano a riclassificare la Repubblica islamica come “nazione di particolare preoccupazione (Cpc)” per le sue “violazioni sistematiche ed eclatanti” (…).
(Asia News 13/03/2025)

INDIA - Orissa: cristiani privati del diritto alla sepoltura, costretti a convertirsi all’induismo
A Siunaguda, nello Stato dell’Orissa, una famiglia cristiana si è vista negare il diritto di seppellire un proprio caro finché non avesse accettato di riconvertirlo all’induismo. L’episodio, che rientra in un più ampio contesto di discriminazione religiosa, ha sollevato preoccupazione tra attivisti e leader religiosi, che denunciano una crescente pressione sulle minoranze cristiane negli Stati tribali in India.

Ad alcuni cristiani dello Stato indiano orientale dell’Orissa è stato negato il diritto di seppellire i propri cari finché non si fossero convertiti all’induismo. L’episodio più recente risale al 3 marzo, quando a Siunaguda, un villaggio a 20 km da Umerkote, nel distretto di Nabarangpur, la famiglia di un uomo di 70 anni si è vista rifiutare il permesso di sepoltura.

“Come si legge nel preambolo della Costituzione indiana, l’India è una repubblica sovrana, socialista, laica e democratica che garantisce giustizia, libertà, uguaglianza e fraternità. Il diritto alla libertà di religione è garantito dagli articoli 25-28, che comprendono la libertà di professare, praticare e propagare la religione”, ha affermato Turpu Santa, il figlio maggiore dell’uomo deceduto. “Per cui abbiamo tutti i diritti, in quanto cittadini indiani, di seppellire i nostri cari nella nostra terra”, ha aggiunto.

“E invece non ci è permesso nemmeno di seppellire il nostro caro padre nella nostra terra in quanto cristiani”, ha denunciato Turpu Santa, in seguito alla richiesta, da parte degli abitanti del villaggio di convertirsi all’induismo. Siunaguda è un villaggio a maggioranza indù in cui solo tre famiglie sono cristiane. “Abbiamo accettato l’induismo per paura”, ha aggiunto il figlio maggiore, spiegando che il padre aveva abbracciato il cristianesimo cinque anni prima, ma è stato costretto a una riconversione postuma all’induismo.

Ajay Suna, missionario della Blessings Youth Mission (BYM) a Siunaguda, ha espresso solidarietà alla famiglia in lutto.
L’episodio si inserisce in un quadro più ampio di discriminazioni nei confronti delle minoranze religiose. “A causa di alcune persone irrispettose, insensibili e prive di empatia, l’India, nota per la sua tolleranza, il rispetto, l’ospitalità, la pace, la fraternità e la fratellanza, perde la sua immagine di Paese laico”, ha sottolineato Benjamin Upasi, responsabile di Brothers In Assembly a Umerkote

Secondo Ajaya Singh, sacerdote cattolico e attivista per i diritti umani, la negazione della sepoltura è una grave violazione dei diritti fondamentali: “Si tratta di una violazione costituzionale dei diritti umani e di una mancanza di rispetto per la dignità della persona anche dopo la morte”.

Singh ha ricordato che la recente sentenza della Corte Suprema indiana, che ha vietato la sepoltura di un cristiano nel proprio terreno in Chhattisgarh, sta diventando un pretesto per ulteriori atti discriminatori: “La negazione della sepoltura dei morti ha aperto il vaso di Pandora; un alibi per i fanatici per intimidire i cristiani e indurli ad abbandonare con la forza la fede cristiana. Questo non è in linea con la nostra fede secolare e con il nostro tessuto sociale”.
(Asia News di Purushottam Nayak 15/03/2025)