Turchia: Religione e politica
Le religioni non cerchino di esercitare direttamente un potere politico, poiché a questo non sono chiamate ma ad impegnarsi insieme in favore della dignità di ogni essere umano...- Autore:
«La Turchia, che da sempre si trova in una situazione di ponte fra l’Oriente e l’Occidente, fra il Continente asiatico e quello europeo, di incrocio di culture e di religioni, si è dotata nel secolo scorso dei mezzi per divenire un grande Paese moderno, in particolare facendo la scelta di un regime di laicità, distinguendo chiaramente la società civile e la religione, così da permettere a ciascuna di essere autonoma nel proprio ambito, sempre rispettando la sfera dell’altra. Il fatto che la maggioranza della popolazione di questo Paese sia mussulmana costituisce un elemento significativo nella vita della società di cui lo Stato non può che tenerne conto, la Costituzione turca riconosce ad ogni cittadino i diritti alla libertà di culto e alla libertà di coscienza. E’ compito delle Autorità civili in ogni Paese democratico garantire la libertà effettiva di tutti i credenti e permettere loro di organizzare liberamente la vita della propria comunità religiosa. Ovviamente, mi auguro che i credenti, a qualsiasi comunità religiosa appartengano, continuino a beneficiare di tali diritti, nella certezza che la libertà religiosa è una espressione fondamentale della libertà umana e che la presenza attiva delle religioni nella società è un fattore di progresso e di arricchimento per tutti. Ciò implica, certo, che le religioni per parte loro non cerchino di esercitare direttamente un potere politico, poiché a questo non sono chiamate e, in particolare, che rinuncino assolutamente a giustificare il ricorso alla violenza come espressione legittima della pratica religiosa» [Benedetto XVI nell’incontro con il Corpo Diplomatico presso la Repubblica di Turchia, 28 novembre 2006].
Il regime di vera laicità in Italia e in Turchia
E’ analogo il discorso di Benedetto XVI nella visita del Presidente della Repubblica italiana a quello del Corpo Diplomatico poiché l’uomo, ogni uomo si presenta di fronte allo Stato anche con la dimensione religiosa, che “consiste anzitutto in atti interni volontari e liberi, con i quali l’essere umano si dirige immediatamente verso Dio” (Dignitatis humanae, 3). Tali atti “non possono essere né comandati, né proibiti” dall’autorità umana, la quale, al contrario è tenuta a rispettare e promuovere questa dimensione: come ha autorevolmente insegnato il Concilio Vaticano II a proposito del diritto alla libertà religiosa, nessuno può essere costretto “ad agire contro la sua coscienza” né si può impedirgli di agire in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso (Ibid.). Sarebbe però riduttivo ritenere che sia sufficientemente garantito il diritto di libertà religiosa, quando non si fa violenza o non si interviene sulle convinzioni personali o ci si limita a rispettare la manifestazione della fede che avviene nell’ambito del luogo di culto. Non si può infatti dimenticare che “la stessa natura sociale dell’essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa e professi la propria religione in modo comunitario” (ibid.). La libertà religiosa è pertanto un diritto non solo del singolo, ma altresì della famiglia, dei gruppi religiosi e della stessa Chiesa (Dignitatis humanae, 4-5.13) e l’esercizio di questo diritto ha un influsso sui molteplici ambiti e situazioni in cui il credente viene a trovarsi e ad operare. La libertà che la Chiesa e ogni Soggetto comunitario religioso rivendica non può mirare ad una supremazia autoritaria su altri soggetti, ma la condizione per offrire ad ogni paese in cui è presente un servizio alla società. Un adeguato rispetto del diritto alla libertà religiosa implica, dunque, l’impegno del potere civile a “creare condizioni propizie allo sviluppo della vita religiosa, cosicché i cittadini siano realmente in grado di esercitare i loro diritti attinenti la religione e adempiere i rispettivi doveri, e la società goda dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua santa volontà” (Dignitatis humanae, 6).
Questi principi, proclamati dal Concilio Vaticano II, sono patrimonio di molte società civili, compresa l’Italia e la Turchia dove la Costituzione oltre a distinguere la società civile dalla religione, così da permettere a ciascuna di essere autonoma nel proprio ambito, sempre rispettando la sfera dell’altra, riconosce ad ogni cittadino i diritti di libertà di culto e alla libertà di coscienza. E c’è un riconoscimento alla dimensione sociale e pubblica del fatto religioso, di ogni religione che dà risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi di tutti i turchi. La Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, non sono e non intendono essere agenti politici, pur con un interesse profondo per il bene della comunità politica rifacendosi alle radici cristiane di quell’Europa verso la cui Unione si augurano lo Stato turco possa giungere.
Urge un dialogo autentico tra fedi e religioni
Abbiamo assolutamente bisogno d’un dialogo autentico tra le religioni e tra le culture. Tale dialogo deve permettere alle diverse religioni di conoscersi meglio e di rispettarsi reciprocamente nella loro identità al fine di agire sempre più al servizio delle aspirazioni più nobili dell’uomo, di ogni uomo alla ricerca di Dio e della felicità. “Desidero - sempre al Corpo Diplomatico -, per parte mia, di poter dire nuovamente durante questo viaggio in Turchia tutta la mia stima per i musulmani, inviandoli a continuare ad impegnarsi insieme, grazie al rispetto reciproco, in favore della dignità di ogni essere umano e per la crescita di una società dove la libertà personale e l’attenzione nei confronti dell’altro permettano a ciascuno di vivere nella pace e nella serenità. E’ così che le religioni potranno fare la loro parte nell’affrontare le numerose sfide con le quali le nostre società attualmente si confrontano. Sicuramente, il riconoscimento del ruolo positivo che svolgono le religioni in seno al corpo sociale può e deve spingere le nostre società ad approfondire sempre più la conoscenza dell’uomo e a rispettarne sempre meglio al dignità, ponendolo al centro dell’azione politica economica, culturale e sociale. Il nostro mondo deve prendere coscienza sempre più del fatto che tutti gli uomini sono profondamente solidali ed invitarli a porre in risalto le loro differenze storiche e culturali non per scontrarsi ma per rispettarsi reciprocamente”.