Cosa si propone di portare al mondo Benedetto XVI...
«L’umanità - noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità, porta noi stessi - Egli è il buon pastore, che offre la sua vita per le pecore. Il Pallio dice innanzitutto che tutti noi siamo portati da Cristo. Ma allo stesso tempo ci invita a portarci l’un l’altro. Così il Pallio diventa simbolo della missione di pastore (…) La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza» [Benedetto XVI, Omelia per l’inizio del Ministero Petrino con l’imposizione del Pallio e dell’Anello del pescatore, 24 aprile 2005].- Autore:
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Il 21 gennaio, festa di sant’Agnese, ho visto il Papa benedire due agnelli con la cui lana si intessono i Palli che i Vescovi di Roma indossano fin dal IV secolo, “un’immagine - il Papa nell’Omelia del 24 aprile 2005 - del giogo di Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle”. Il vescovo di Roma e come tale Vescovo di tutta la Chiesa cattolica è il servo di una tradizione cioè di una continuità fin dagli apostoli nella quale Cristo risorto ha condotto sacramentalmente la Sua Chiesa come Buon Pastore attraverso il servizio pastorale del successore di Pietro. Pertanto, “il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in quest’ora della nostra storia”.
Come rendere sacramentalmente visibile Lui Buon Pastore
E qui Benedetto XVI ha fatto una argomentazione biblica e teologica che può essere un’esame di coscienza per ogni pastore con il sacramento dell’ordine e del matrimonio nel rendere sacramentalmente visibile Lui buon Pastore. L’immagine del Pallio del pastore e della pecora rimanda a due agnelli e anche a quello che Giovanni Battista aveva chiamato “l’Agnello di Dio” (Gv 1,29): “Nell’Antico Oriente era usanza che i re designassero se stessi come pastori del loro popolo. Questa era un’immagine del loro potere, un’immagine cinica: i popoli erano per loro come pecore, delle quali il pastore poteva disporre a suo piacimento. Mentre il pastore di tutti gli uomini, il Dio vivente, è divenuto lui stesso agnello, si è messo dalla parte degli agnelli, di coloro che sono calpestati e uccisi. Proprio così Egli si rivela come il vero pastore: ‘Io sono il buon pastore… Io offro la mia vita per le pecore, dice Gesù di se stesso (Gv 10,14s). Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male, e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini”.
Noi sacerdoti e genitori con il nostro vescovo e con tutti i vescovi uniti al Papa ma anche le nostre pecore siamo tutti, in qualche modo tentati di esser continuamente impazienti agli occhi del Buon pastore. Così, il Pallio raduna il popolo della Chiesa e i suoi pastori in una preghiera sincera per non essere impazienti: “Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore stesso ci porti e noi impariamo a portarci gli altri”.
L’Anello del Pescatore
Congiunto al Pallio c’è poi il segno dell’Anello del Pescatore che nelle udienze tutti vorrebbero baciare: esso ricorda come, all’inizio e verso la fine del suo ministero pubblico, Gesù disse ai suoi discepoli di andare a pescare al largo, in modo da fare una pesca miracolosa e così attualizza Benedetto XVI: oggi è di nuovo tempo “di prendere il largo del mare della storia e di gettare le reti, per conquistare gli uomini al Vangelo - a Dio, a Cristo, alla vera vita”. Nell’ultimo secolo si è parlato molto di alienazione. Ma la vera alienazione, dice Benedetto, è “nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce”. Incontrare la Persona di Gesù Cristo risorto, seguirlo nella sua Presenza condividendo la missione del suo corpo che è la Chiesa significa “portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio”. E questo senza mai dimenticare che il cammino al vero è un’esperienza per cui “noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini”.
Il mondo moderno secolarizzato si considera come una specie di accidente cosmico, qualcosa che è accaduto casualmente. E ‘ la forma più terribile di alienazione generale: “Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno di noi è amato, ciascuno di noi è necessario”. Non è facile oggi fare una notizia chiara e pulita di questa lieta notizia o Vangelo perché la rete, miracolosamente intatta dopo la grande pesca nel Mare di Galilea, si è lacerata tra il polmone orientale e occidentale prima e nello stesso occidente dal XVI secolo. Ed ecco perché il vescovo di Roma non può non pregare e chiedere a tutti i cristiani cattolici, ortodossi, protestanti di pregare: “Signore, ricordati di quanto hai promesso. Fa’ che siamo un solo pastore ed un solo gregge! Non permettere che la tua rete si strappi ed aiutaci ad essere servitori dell’unità!” perché il mondo possa credere ragionevolmente.
Ci vuole coraggio per avventurarsi ad evangelizzare nelle acque profonde del mondo tardo moderno, post - illuminista ed aprire le porte alla presenza di Cristo risorto nella sua Chiesa e sembra che anche i battezzati oggi abbiano paura, soprattutto negli incontri interreligiosi, intercultruali: “No! Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla - assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! Solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in questa amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in questa amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera” dalla paura anche di diventare Papa a 78 anni e con la sua gioiosa esperienza ci garantisce che “Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a Lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo”, solo così troveremo la vera vita e la vera libertà e un centuplo di paternità, come ha testimoniato Giovanni Paolo II e sta vivendo Benedetto XVI.
Ci sono due punti cruciali, nello stile di catechesi essenziale e di analisi di Benedetto XVI sulla situazione del mondo all’inizio del XXI secolo propri della sfida cattolica all’attuale cultura occidentale secolarizzata:
- senza verità comuni che guidino il dibattito pubblico sul bene comune, ciò che noi definiamo “società” diventa impossibile. Nel deserto del relativismo e dello scetticismo radicale, la vita non è realmente una vita umana, perché lo scetticismo sulla verità di ogni cosa, incluse le verità su come dovremmo vivere, non può né promuovere né sostenere buone comunità umane;
- né tanto meno considerando gli esseri umani come semplici casualità, suscettibili di essere trattati come gli altri animali senz’anima. E una umanità senz’anima o verrà condotta ai modelli di comportamento autodistruttivo che hanno colpito il secolo XX o a reinventarsi, forse non più attraverso la politica - che è stata sperimentata ed è fallita - ma ora, nel XXI scolo, tramite la scienza svincolata dalla fede e dalla razionalità.
A monte di questo magistero c’è un cammino al vero “a partire dall’esperienza di una lunga vita personale” che oggi propone al mondo, come pastore supremo della Chiesa cattolica.