Il Gesù dei Vangeli: una figura storicamente sensata e convincente
«In Gesù si è compiuta la promessa del nuovo profeta. In Lui si è ora realizzato pienamente quanto in Mosé era solo imperfetto: Egli vive al cospetto di Dio, non solo come amico ma come Figlio; vive in profonda unità con il Padre.Solo partendo da qui si può davvero capire la figura di Gesù quale ci viene incontro nel Nuovo Testamento; tutto quello che ci viene raccontato - le parole, i fatti, le sofferenze e la gloria di Gesù - ha qui il suo fondamento. Se si lascia da parte questo centro autentico, non si coglie le specifico della figura di Gesù, che diventa contraddittoria e in definitiva incomprensibile. La domanda che ogni lettore del Nuovo Testamento deve porsi, e cioè dove Gesù abbia attinto la sua dottrina, dove sia la chiave per la spiegazione del suo comportamento, trova la sua vera risposta soltanto a partire da qui. (…) L’insegnamento di Gesù non proviene da un apprendimento umano, qualunque possa essere. Viene dall’immediato contatto con il Padre, dal dialogo “faccia a faccia”, dalla visione di Colui che è “nel seno del Padre”. E’ parola del Figlio. Senza questo fondamento interiore sarebbe temerarietà. Così la giudicarono i sapienti al tempo di Gesù, proprio perché non vollero accoglierne il fondamento interiore: il vedere e conoscere faccia a faccia» [Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, pp. 26-27].
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L’incontro con la Congregazione per la dottrina della fede ha permesso ai 15 Pastori delle diocesi del Triveneto non solo di soffermarsi sull’attività del dicastero in merito ai movimenti e ai gruppi ecclesiali, ma anche - come ha affermato Padre Flavio Roberto Carraro, Vescovo di Verona in una intervista del settimanale diocesano Verona Fedele del 6 maggio 2007 - “sulla sterminata produzione letteraria a livello mondiale circa la persona di Gesù Cristo. Testi che tuttavia prescindono spesso dal considerarne la natura divina. E questo preoccupa la Santa Sede per l’influsso che tali opere possono esercitare sulle persone, indotte ad accogliere acriticamente quanto questi testi affermano o ciò che i mass media presentano. In questo senso occorre essere molto attenti e pronti ad intervenire, come pure in merito ai movimenti religiosi alternativi che vanno facendosi strada anche nel nostro Paese. In particolare veniva indicata la necessità di avere come riferimento essenziale il Catechismo della Chiesa cattolica”.
La seconda deellenizzazione della teologia liberale del XIX e XX secolo, che ha come rappresentante eminente Adolf von Harnach, ha come pensiero centrale il ritorno al semplice uomo Gesù, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni della Chiesa, anche prima delle ellenizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituisce il vero culmine dello sviluppo religioso dell’umanità. Si svuota di contenuto ontologico la filiazione divina di Gesù; si nega che nei Vangeli si affermi la preesistenza trinitaria del figlio; e si considera che Gesù non ha vissuto la sua passione e morte come missione redentrice, ma come fallimento. Questi errori sono fonte di grave confusione e inducono in non pochi cristiani a concludere, equivocando, che gli insegnamenti della Chiesa su Gesù Cristo non si fondano sulla sacra Scrittura oppure che devono essere radicalmente reinterpretati. La famosa affermazione di Adolf von Harnach secondo la quale l’annuncio di Gesù sarebbe un annuncio sul Padre, di cui il Figlio non farebbe parte - e dunque la cristologia delle due nature, divina e umana, nell’unica Persona del Verbo trinitario, non apparterrebbe all’annuncio di Gesù - è una tesi che si smentisce da sola. “Gesù - in Gesù di Nazaret p. 28 - può parlare con il Padre, così come fa, solo perché è il Figlio e vive in comunione filiale con il Padre. La dimensione cristologia, cioè il mistero del Figlio come rivelatore del Padre, la “cristologia”, è presente in tutti i discorsi e in tutte le azioni di Gesù. Qui si evidenzia un altro punto importante. Abbiamo detto che nella comunione filiale di Gesù con il Padre viene coinvolta l’anima umana di Gesù nell’atto della preghiera. Chi vede Gesù vede il Padre (Gv 14,9). Il discepolo che cammina con Gesù viene in questo modo coinvolto insieme con Lui nella comunione con Dio. Ed è questo che davvero salva: il trascendere i limiti dell’essere uomo - un passo che, in Lui, per la sua somiglianza con Dio è già predisposto, come attesa e possibilità, fin dalla creazione”.
Israele può sperare in un nuovo Mosé, che non è ancora apparso, ma che emergerà al tempo opportuno
“E la vera caratteristica di questo “profeta” - in Gesù di Nazaret pp. 25-26 - sarà che parlerà con Dio faccia a faccia, come un amico tratta con l’amico. Il suo tratto distintivo sarà l’accesso immediato a Dio, così da poter comunicare la volontà e la Parola di Dio di prima mano, senza falsificarle. Ed è questo che salva, che Israele e l’umanità stanno aspettando.
A questo punto, però, dobbiamo richiamare alla memoria un’altra storia singolare sul rapporto di Mosé con Dio, narrata nel Libro dell’Esodo. Vi si racconta della preghiera che Mosé rivolge a Dio: “Mostrami la tua Gloria” (Es 33,18). La preghiera non viene accolta: “Tu non potrai vedere il mio volto” (33,20). A Mosé viene indicato un luogo nelle vicinanze di Dio, nella cavità di una rupe, dove Dio passerà con la sua Gloria. Mentre passa, Dio lo copre con la sua stessa mano che solo alla fine ritrae: “Vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere” (33,23). (…) L’accesso immediato di Mosé a Dio - che fa di lui il grande mediatore della rivelazione, il mediatore dell’Alleanza - ha dei limiti. Egli non vede il volto di Dio anche se gli è permesso di immergersi nella nube della sua vicinanza e parlare con Lui come un amico. La promessa di un “profeta pari a me” contiene dunque un’aspettativa inespressa ancora più grande: all’ultimo profeta, al nuovo Mosé, sarà concesso in dono quello che è negato al primo - vedere davvero e immediatamente il volto di Dio e poter così parlare in base alla piena visione di Dio e non soltanto dopo averne visto le spalle. A questo fatto è di per sé collegata l’aspettativa che il nuovo Mosé diventerà il mediatore di un’Alleanza superiore a quella che Mosé poteva portare dal Sinai (Eb 9,11-14)”.
Per comprendere Gesù sono fondamentali gli accenni ricorrenti al fatto che Egli si ritirava “sul monte” e lì pregava per notti intere,”da solo” con il Padre. Questi brevi accenni diradano un po’ il velo del mistero, ci permettono di gettare uno sguardo dentro l’esistenza filiale di Gesù, di scorgere la fonte sorgiva delle sue azioni, del suo insegnamento e della sua sofferenza. Questo “pregare” di Gesù è il parlare del Figlio con il Padre in cui vengono coinvolte la coscienza e la volontà umane, l’anima umana di Gesù, di modo che la “preghiera” dell’uomo possa divenire partecipazione alla comunione del Figlio con il Padre. Nella continua attualità ecclesiale della Scrittura, della rivelazione nella tradizione della Chiesa sono maturate le nozioni fondamentali della professione di fede nel mistero di Cristo come il Catechismo della Chiesa cattolica e il suo Compendio le propone cioè la sua preesistenza eterna con il Padre e lo Spirito Santo, la filiazione divina in un volto umano rivelando chi è Dio e chi ogni uomo, la coscienza divino-umana di sé, della sua morte e della sua missione redentrice, della risurrezione o presenza in ogni temo e in ogni luogo, dell’ascensione, dell’invio di ciò che è più intimo del risorto cioè il suo Spirito che rende figli nel Figlio.
Joseph Ratzinger Benedetto XVI, nell’orizzonte di quanto il Concilio e la moderna esegesi dicono sui generi letterari, sull’intenzionalità delle affermazioni, sul contesto comunitario dei Vangeli e il loro parlare in questo contesto vivo ha voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il “Gesù storico” in senso vero e proprio, come il Gesù della Chiesa. “Io sono convinto - Gesù di Nazaret p. 18 -, e spero che se ne possa rendere conto anche il lettore, che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare da decenni”. E ciò corrisponde alla preoccupazione della Santa Sede per l’influsso della sterminata produzione letteraria e mediatica a livello mondiale circa la persona di Gesù Cristo nel pretendere di leggere la Sacra Scrittura a margine della tradizione ecclesiale e con criteri unicamente storico-critici, senza spiegar i presupposti di tali criteri ed indicarne i limiti. “Io ritengo che proprio questo Gesù - quello dei Vangeli - sia una figura storicamente sensata e convincente” a livello oggettivo che unita all’avvenimento soggettivo dell’incontro con Lui risorto è a fondamento dell’essere cristiani.