La Chiesa è una sola, quella fondata su Pietro

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
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«Distingue tra Chiesa visibile, gerarchica, e Chiesa invisibile, mistica, ma afferma con forza che la Chiesa è una sola, fondata su Pietro. Non si stanca di ripetere che ”chi abbandona la cattedra di Pietro, su cui è fondata la Chiesa, si illude di restare nella Chiesa” (L’unità della Chiesa cattolica, 4). Cipriano sa bene, e lo ha formulato con parole forti, che ”fuori della Chiesa non c’è salvezza” (Epistola 4,4 e 73,21), e che ”non può avere Dio come padre chi non ha la Chiesa come madre” (L’unità della Chiesa cattolica, 4). Caratteristica irrinunciabile della Chiesa è l’unità, simboleggiata dalla tunica di Cristo senza cuciture (ibid., 7): unità della quale dice che trova il suo fondamento in Pietro (ibid., 4) e la sua perfetta realizzazione nell’Eucaristia (Epistola 63,13). ”Vi è un solo Dio, un solo Cristo”, ammonisce Cipriano, ”una sola è la sua Chiesa, una sola fede, un solo popolo cristiano, stretto in salda unità dal cemento della concordia: non si può separare ciò che è uno per natura” (L’unità della Chiesa cattolica)» [Udienza Generale, 6 giugno 2007].

San Cipriano, che ”fu il primo vescovo che in Africa conseguì la corona del martirio” nel III secolo fu poco incline alla speculazione teologica, ma scriveva per l’edificazione della comunità e per il buon comportamento dei fedeli divisi fra lassisti e rigoristi di fronte ai cosiddetti lapsi - cioè i ’caduti’ - che desideravano ardentemente rientrare nella comunità. Fu al centro anche della controversia con il Vescovo di Roma, Stefano, circa la validità del battesimo amministrato ai pagani da cristiani eretici.
E in queste circostanze difficili Cipriano rivelò elette doti di governo: fu severo, ma non inflessibile con i lapsi, accordando loro la possibilità del perdono dopo una penitenza esemplare; davanti a Roma fu fermo nel difendere le sane tradizioni della Chiesa africana; fu umanissimo e pervaso dal più autentico spirito evangelico nell’esortare i cristiani all’aiuto fraterno dei pagani durante la pestilenza; seppe tenere la giusta misura nel ricordare ai fedeli - troppo timorosi di perdere la vita e i beni terreni - che per loro la vera vita e i veri beni buoni non sono quelli di questo mondo; fu irremovibile nel combattere i costumi corrotti e i peccati che devastavano la vita morale, soprattutto l’avarizia. Affrontò coraggiosamente il martirio in mezzo al suo popolo.
Ma Benedetto XVI, oltre all’insegnamento riguardante la Chiesa, guarda a Cipriano per quanto riguarda la preghiera: ”Io amo particolarmente il suo libro sul ”Padre nostro” - afferma il Papa -, che mi ha aiutato a capire meglio e a recitare meglio la ”preghiera del Signore”: Cipriano insegna come proprio nel ”Padre nostro” è donato al cristiano il retto modo di pregare; e sottolinea che tale preghiera è al plurale, ”affinché colui che prega non preghi unicamente per sé. La nostra preghiera - scrive - è pubblica e comunitaria e, quando noi preghiamo, non preghiamo per uno solo, ma per tutto il popolo, perché con tutto il popolo noi siamo una cosa sola” (L’orazione del Signore, 8). Così preghiera personale e liturgica appaiono robustamente legate tra loro. La loro unità proviene dal fatto che esse rispondono alla medesima Parola di Dio. Il cristiano non dice ”Padre mio”, ma ”Padre nostro”, fin nel segreto della camera chiusa, perché sa che in ogni luogo, in ogni circostanza, egli è membro di uno stesso Corpo”. Solo Gesù poteva dire ”Padre mio” a pieno diritto, perché solo Lui è davvero il Figlio unigenito di Dio, della stessa sostanza del Padre. Noi tutti dobbiamo invece dire: ”Padre nostro”. Solo nel ”noi” dei discepoli possiamo dire ”Padre” a Dio, perché solo mediante la comunione con Gesù Cristo diventiamo veramente Figli di Dio. Così questa parola ”nostro” ci dona il noi e ci impegna: ci chiede di uscire dal recinto chiuso del nostro ”io”: Io, ma non più io è la formula dell’esistenza cristiana fondata sul Battesimo, la formula della risurrezione dentro il tempo, la formula della ”novità” cristiana chiamata a trasformare il mondo. Ci chiede di entrare totalmente nella comunità dei figli di Dio. Ci chiede di abbandonare ciò che è soltanto nostro, ciò che separa. Ci chiede di accogliere l’altro, gli altri - di aprire a loro il nostro orecchio, il nostro cuore. Con questa parola ”nostro” diciamo sì alla Chiesa vivente, la forma visibile e storica che prende il Risorto dentro alla vita dell’uomo, la Sua nuova famiglia. Così il Padre nostro è una preghiera molto personale e insieme pienamente ecclesiale. Nel recitare il Padre nostro noi preghiamo totalmente con il nostro cuore, ma preghiamo allo stesso tempo in comunione con l’intera famiglia di Dio, con i vivi e i defunti. Con gli uomini di ogni estrazione sociale, di ogni cultura, di ogni razza. Il Padre nostro fa di noi una famiglia al di là di ogni confine.
E Benedetto XVI ama ricordare anche il modo di pregare suggerito da Cipriano: ”Quando si prega, inoltre, si abbia un modo di parlare e di pregare che, con disciplina, mantenga calma e riservatezza. Pensiamo che siamo davanti allo sguardo di Dio. Bisogna essere graditi agli occhi divini sia con l’atteggiamento del corpo che col tono della voce… E quando ci riuniamo insieme con i fratelli e celebriamo i sacrifici divini con il sacerdote di Dio, dobbiamo ricordarci del timore reverenziale e della disciplina, non dare al vento qua e là le nostre preghiere con voci scomposte, né scagliare con tumultuosa verbosità una richiesta che va raccomandata a Dio con moderazione, perché Dio è ascoltatore non della voce, ma del cuore”(3-4). E per il Papa si tratta di parole che restano valide anche oggi poiché è nel ”cuore” il luogo privilegiato della preghiera e così ci aiutano a celebrare bene la Santa Liturgia.