S. Francesco e la conversione
Parlare di conversione significa andare al cuore del messaggio cristiano ed insieme alle radici dell’esistenza umana- Autore:
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«Da quanto i biografi (di san Francesco) narrano dei suoi anni giovanili (25), nulla fa pensare a cadute così gravi come quella imputata all’antico re d’Israele (Davide). Ma lo stesso Francesco, nel Testamento redatto negli ultimi mesi della sua esistenza, guarda ai suoi primi venticinque anni come ad un tempo in cui “era nei peccati” (2 Test 1: FF 110). Al di là delle singole manifestazioni, peccato era il suo concepire e organizzarsi una vita tutta centrata su di sé, inseguendo vani sogni di gloria terrena. Non gli mancava, quando era il “re delle feste” tra i giovani di Assisi, una naturale generosità d’animo. Ma questa era ancora ben lontana dall’amore cristiano che si dona senza riserve. Com’egli ricorda, gli sembrava amaro vedere i lebbrosi. Il peccato gli impediva di dominare la ripugnanza fisica per riconoscere in loro altrettanti fratelli da amare. La conversione lo portò ad esercitare misericordia e gli ottenne insieme misericordia. Servire i lebbrosi, fino a baciarli, non fu solo un gesto di filantropia, una conversione, per così dire, “sociale”, ma una vera esperienza religiosa, comandata dall’iniziativa della grazia e dall’amore di Dio: “Il Signore - egli dice - mi condusse tra di loro” (2 Test 2:FF 110). Fu allora che l’amarezza si mutò in “dolcezza di anima e di corpo” (2 Test 3: FF 110). Sì, miei cari fratelli e sorelle, convertirci all’amore è passare dalla amarezza alla “dolcezza”, dalla tristezza alla gioia vera. L’uomo è veramente se stesso, e si realizza pienamente, nella misura in cui vive con Dio e di Dio, riconoscendolo e amandolo nei fratelli» [Omelia di Benedetto XVI ad Assisi, 17 giugno 2007].
Da quando i lebbrosi, amati per amore di Dio, fecero intuire a Francesco, in qualche modo, il mistero della “kenosi” (Fil 2,7), l’abbassamento di Dio nella carne del Figlio dell’uomo, da quando poi la voce del Crocefisso di San Damiano gli mise in cuore il programma della sua vita: “Va, Francesco, ripara la mia casa” (2 Cel I,6,10:FF: 593), il suo cammino non fu che lo sforzo quotidiano di immedesimarsi con Cristo. Egli si innamorò di Cristo. Le piaghe del Crocifisso ferirono il suo cuore, prima di segnare il suo corpo sulla Verna. Egli poteva veramente dire con Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”.
La misericordia di Gesù non si esprime mettendo tra parentesi la legge morale. Per Gesù, il bene è bene, il male è male. La misericordia non cambia i connotati del peccato, ma lo brucia in un fuoco di amore. Questo effetto purificante e sanante si realizza se c’è nell’uomo una corrispondenza di amore, che implica il riconoscimento della legge di Dio, il pentimento sincero, il proposito di una vita nuova.
“Che cosa è stata - si è chiesto Benedetto XVI - la vita di Francesco convertito se non un grande atto di amore? Lo rivelano le sue preghiere infuocate, ricche di contemplazione e di lode, il suo tenero abbraccio del Bimbo divino a Greccio, la sua contemplazione della passione alla Verna, il suo “vivere secondo la forma del santo Vangelo”, la sua scelta della povertà e il suo cercare Cristo nel volto dei poveri”.
E’ questa sua conversione a Cristo, fino al desiderio di “trasformarsi” in Lui, diventandone un’immagine compiuta, che spiega quel suo tipico vissuto, in virtù del quale ci appare così attuale anche rispetto ai grandi temi del nostro tempo, quali la ricerca ella pace, la salvaguardia della natura, la promozione del dialogo tra tutti gli uomini. Francesco è un vero maestro in queste cose. Ma lo è a partire da Cristo. E’ Cristo, infatti,”la nostra pace” (Ef 2,14). E’ Cristo il principio stesso del cosmo, giacché in Lui tutto è stato fatto (Gv 1,3). E’ Cristo la verità divina, l’eterno “Logos”, in cui ogni “dia-logos” nel tempo trova il suo ultimo fondamento. Francesco incarna profondamente questa verità “cristologia” che è alle radici dell’esistenza umana, del cosmo, della storia.
“Non posso dimenticare, nell’odierno contesto, - ha concluso Benedetto XVI - l’iniziativa del mio Predecessore di santa memoria, Giovanni Paolo II, il quale volle riunire qui, nel 1986, i rappresentanti delle confessioni cristiane e delle diverse religioni del mondo, per un incontro di preghiera per la pace”. Benedetto XVI qualifica un’intuizione profetica e un momento di grazia quell’evento, quell’incontro ad Assisi sulla testimonianza di Francesco come uomo di pace, al quale tanti guardano con simpatia anche da altre posizioni culturali e religiose. Ma questo a condizione di autenticità cristiana, giacché la sua vita e il suo messaggio poggiano così visibilmente sulla scelta di Cristo e quindi da respingere qualunque tentazione di indifferentismo religioso, che nulla avrebbe a che vedere con l’autentico dialogo interreligioso.
E occorre convertirsi continuamente allo “spirito di Assisi” che si diffonde nel mondo e che si oppone allo spirito di violenza, all’abuso della religione come pretesto per la violenza.
“Assisi ci dice che la fedeltà alla propria convinzione religiosa, la fedeltà soprattutto a Cristo crocifisso e risorto non si esprime in violenza e intolleranza, ma nel sincero rispetto dell’altro, nel dialogo, in un annuncio che fa appello alla libertà e alla regione, nell’impegno per la pace e per la riconciliazione. Non potrebbe essere atteggiamento evangelico, né francescano, il non riuscire a coniugare l’accoglienza, il dialogo e il rispetto per tutti con la certezza di fede che ogni cristiano, al pari del Santo di Assisi, è tenuto a coltivare, annunciando Cristo come via, verità e vita dell’uomo (Gv 14,6), unico Salvatore del mondo”.