Post-Concilio?

«Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni… Ma il Concilio ci ha dato un grande indicatore di strada, possiamo andare avanti gioiosamente e pieni di speranza» [Benedetto XVI]

«Io ho l’ultima domanda e sarei molto tentato di metterla via, perché si tratta di una domanda piccola e dopo nove volte che vostra Santità ha saputo trovare la strada per parlarci di Dio e portarci molto in alto, mi pare quasi banale e povero quello che sto per chiederle, ma ormai lo faccio. Si tratta di una parola per quelli della mia generazione, per noi che ci siamo preparati durante gli anni del Concilio, poi siamo partiti con entusiasmo e forse anche con la pretesa di cambiare il mondo, abbiamo anche lavorato tanto ed oggi siamo un po’ in difficoltà, perché stanchi, perché non si sono realizzati molti sogni ed anche perché ci sentiamo un po’ isolati. I più anziani ci dicono “Vedete che avevamo ragione noi ad essere più prudenti” ed i giovani qualche volta ci trattano da “nostalgici del Concilio”. La nostra domanda è questa: “Possiamo ancora portare un dono alla nostra Chiesa, specialmente con quell’attaccamento alla gente che ci sembra ci abbia contraddistinto? Ci aiuti a riprendere speranza e serenità…» [Incontro di Benedetto XVI con il clero delle Diocesi di Belluno Feltre e di Treviso ad Auronzo di Cadore, 24 luglio 2007].
«Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa» [Lettera di Benedetto XVI ai Vescovi sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970, 7 luglio 2007].

Storicamente i tempi del dopo Concilio sono stati quasi sempre molto difficili
“Anch’io ho vissuto i tempi del Concilio - ha risposto il Papa -, essendo nella Basilica di San Pietro con grande entusiasmo e vedendo come si aprivano nuove porte e pareva realmente essere la nuova Pentecoste, dove la Chiesa poteva nuovamente convincere l’umanità, dopo l’allontanamento del mondo dalla Chiesa nell’Ottocento e nel Novecento, sembrava si rincontrassero di nuovo Chiesa e mondo e che rinascesse nuovamente un mondo cristiano ed una Chiesa del mondo e veramente aperta al mondo. Abbiamo tanto sperato, ma le cose in realtà si sono rivelate più difficili. Tuttavia rimane la grande eredità del Concilio, che ha aperto una strada nuova, è sempre una magna charta del cammino della Chiesa, molto essenziale e fondamentale. Ma perché è andata così?”.
Storicamente i tempi di un dopo Concilio sono quasi sempre molto difficili. Dopo il grande Concilio di Nicea - che per noi è realmente il fondamento della nostra fede trinitaria, di fatto noi confessiamo la fede formulata a Nicea - non è nata una situazione di riconciliazione e di unità come aveva sperato Costantino, promotore di tale grande Concilio, ma una situazione realmente caotica di lite di tutti e contro tutti.
Altrettanto in preparazione del primo Concilio di Costantinopoli nel 381. L’imperatore invita San Gregorio Nazianzeno a partecipare e questi risponde: No, non vengo, perché io conosco queste cose, so che da tutti i Concili nasce solo confusione e battaglia, quindi non vengo. E non è andato. Quindi non è da adesso, da dopo il Vaticano II che sorgono difficoltà. Per tutti è sempre difficile digerire un grande messaggio del Concilio e immetterlo nella vita della Chiesa: accoglierlo, assimilarlo nelle diverse realtà della Chiesa. E’ una sofferenza e solo attraverso di essa si realizza anche la crescita comunionale, condivisa sotto la preminente e sempre decisiva azione guida dello Spirito Santo di fronte ai rischi del libero arbitrio.

La cesura storica del ’68 con l’inizio e l’esplosione della grande crisi culturale dell’Occidente
Ma in concreto dopo il Concilio Vaticano II ci sono state due grandi cesure storiche. Quella, innanzitutto, del ’68 con l’inizio o l’esplosione della grande crisi culturale dell’Occidente. Era finita la generazione del dopoguerra, una generazione che dopo tutte le distruzioni e vedendo l’orrore della guerra, del combattersi e constatando il dramma di aver ceduto alla tentazione di lasciare il Cristianesimo per le “ideologie” di questo mondo, pensando di trovarle più “avanzate” o più efficaci, in realtà si era resa conto che non si era andati avanti, ma tornati indietro, sperimentando forme di barbarie sconosciute agli stessi antichi pagani. Dopo la guerra culturalmente si era puntato, credenti e laici, a ritrovare le antiche sorgenti comuni, affinché la consapevolezza della comune ricchezza, diventata su strade diverse patrimonio delle singole società del Continente europeo aiutasse le generazioni contemporanee a perseverare nel reciproco rispetto dei giusti diritti di ogni Nazione e nella pace, non cessando, attraverso l’ONU, di rendere i servizi necessari al bene comune di tutta l’umanità e al futuro dell’uomo sulla terra. Si tratta di un equilibrio che è proprio della Dottrina sociale cattolica senza scivolare nell’ideologia di interpretare il cristianesimo e le altre religioni come una ricetta per il progresso, sapendo che nessun regno di questo mondo è il regno di Dio, la condizione di salvezza dell’umanità in assoluto cioè senz’altro la pace nel mondo, l’equa distribuzione dei beni, un mondo migliore. Ma finita questa generazione post-bellica emergevano anche tutti i fallimenti con guerre continue, le lacune di questa ricostruzione, di questo progresso senza un’equa distribuzione dei beni, la grande miseria perdurante nel mondo e così esplode la crisi della cultura occidentale, con una rivoluzione culturale che vuole cambiare radicalmente. Dice: non abbiamo creato, in duemila anni di cristianesimo, il mondo migliore. Dobbiamo ricominciare da zero in modo assolutamente nuovo e l’analisi marxista distinta dall’ideologia atea da cui proveniva, poteva sostituire in efficacia maggiore la Dottrina sociale, sembrava la ricetta scientifica per creare finalmente il nuovo mondo. E qui scoppia il primo grande scontro tra la nuova, la sana modernità, la rinnovata Dottrina sociale voluta dal Concilio e la crisi generale della modernità. Tutto diventa difficile come dopo il primo Concilio di Nicea. Una parte sempre crescente era del parere che questa rivoluzione culturale era addirittura quanto aveva voluto il Concilio e identificava questa nuova rivoluzione culturale marxista con la volontà profonda del Concilio dicendo: questo è il Concilio. Sì nella lettera i testi sono ancora un po’ antiquati, ma dietro le parole scritte sta questo spirito, questa è la volontà del Concilio, questo dobbiamo fare. Si sviluppa l’ermeneutica o interpretazione della discontinuità o rottura tra Chiesa pre-conciliare e Chiesa post-conciliare, interpretazione della discontinuità che si è avvalsa non di rado della simpatia dei mass-media e anche di una parte considerevole della teologia moderna, provocando la reazione contro il Concilio, soprattutto di Lefebvre: voi volete distruggere la Chiesa! Si sviluppa una reazione crescente, assoluta contro il Concilio, una anti - conciliarità. Timida, umile c’è stata la ricerca di realizzare il vero spirito del Concilio con l’“ermeneutica della riforma”: rinnovamento nella continuità dinamica dell’unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. Se il magistero ordinario è la garanzia del declinarsi della comunità in quanto vive, lo strumento più grande della comunicazione del vero nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità. Si chiama Tradizione. La Tradizione è la coscienza della comunità che vive ora, ricca della memoria di tutta la vicenda storica e della speranza principale nella presenza continua del Cristo risorto nella Sua Chiesa per tutti e per tutto.
Ma intanto l’ermeneutica della discontinuità asseriva che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l’unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità ad essi bisognerebbe andare avanti.
Ma all’ermeneutica della discontinuità si oppone l’ermeneutica della riforma come l’hanno presentata dapprima il beato Giovanni XXIII nel suo discorso d’apertura del Concilio l’11 ottobre 1962 e poi Paolo VI nel discorso di conclusione il 7 dicembre 1965. Questa ermeneutica viene espressa da Giovanni XXIII quando dice che il Concilio “vuole trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti”, e continua: “Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera, che la nostra età esige… E’ necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Una cosa è infatti è il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa il modo con il quale esse sono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata”. Un programma di sintesi e di fedeltà dinamica. E ovunque questa interpretazione è stata l’orientamento che ha guidato la ricezione del Concilio, è cresciuta una nuova vita e sono maturati frutti nuovi. “Quarant’anni dopo il Concilio - Benedetto XVI, Curia Romana per il Natale, 22 dicembre 2005 - possiamo rilevare che il positivo è più grande e più vivo di quanto non potesse apparire nell’agitazione degli anni intorno al 1968 (Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni). Oggi vediamo che il seme buono, pur sviluppandosi lentamente, tuttavia cresce, e cresce così anche la nostra profonda gratitudine per l’opera svolta dal Concilio”.

La seconda cesura dell’89, la caduta nel nichilismo
Questa è stata la prima cesura del ’68 che ha condizionato il dopo concilio. Ma poi è venuta la seconda cesura nell’89. C’è stato il crollo dei regimi comunisti, ma la risposta non fu il ritorno alla fede, come si poteva forse aspettare, non fu la riscoperta che proprio la Chiesa con il Concilio autentico aveva dato la risposta. La risposta fu invece lo scetticismo totale, la cosiddetta post-modernità. Niente è vero, ognuno deve vedere come vivere, si afferma un materialismo, uno scetticismo pseudo - razionalista cieco che finisce nella droga, finisce in tutti questi problemi che conosciamo e di nuovo chiude le strade alla fede, perché è così semplice, così evidente. No, non c’è nulla di vero. La verità è intollerante, non possiamo prendere questa strada. Ecco: in questi contesti di due rotture culturali, la prima rivoluzione culturale del ’68, la seconda, la caduta potremmo dire nel nichilismo dopo l’89, la Chiesa con umiltà, tra le passioni del mondo e la gloria del Signore, prende la sua strada. Su questa strada dobbiamo crescere con pazienza e dobbiamo adesso in un mondo nuovo imparare che cosa vuol dire rinunciare al trionfalismo. Il Concilio aveva richiamato di rinunciare al trionfalismo e aveva pensato al barocco come a tutte quelle grandi culture entrate stroicamente nella Chiesa. Si disse: cominciamo in modo moderno, semplice, nuovo, come agli inizi. Ma intanto emergeva la prima tentazione di Gesù in forma di un altro trionfalismo, quello di pensare: noi, del dopo concilio, agiamo concretamente, abbiamo finalmente trovato la strada e su di essa la certezza di un mondo nuovo. Ma l’umiltà perenne della Croce, del Crocefisso esclude proprio ogni forma di trionfalismo ed ecco perché dobbiamo rinunciare al trionfalismo secondo cui adesso, nel dopo concilio dovrebbe nascere realmente la grande Chiesa del futuro. È naturale chiedersi perché Dio non abbia creato un mondo in cui la sua presenza fosse più manifesta; perché Cristo risorto non abbia lasciato dietro di sé un ben altro splendore della sua presenza, che colpisse chiunque in modo irresistibile. Ma questo è il mistero di Dio e dell’uomo, anche di Dio dal volto umano, del Risorto nella Sua Chiesa, mistero che non possiamo penetrare. Noi viviamo in questo mondo che, oggi soprattutto, punta allo spettacolare e nel quale appunto Dio non ha l’evidenza di una cosa che si possa toccare con mano, che sia empiricamente verificabile, ma può essere cercato e trovato solo attraverso lo slancio del cuore, l’“esodo” dall’“Egitto”.
Come è tipico dell’azione di Dio nel mondo, anche del volto umano di Dio in Cristo crocefisso e risorto, la Sua Chiesa è sempre umile e proprio così è grande e gioiosa. Importante, con quest’occhio puro, vedere quanto è cresciuto di positivo nel dopo Concilio: nel rinnovamento nella liturgia dove c’è crescita, ma nessuna rottura con la precedente lex orandi e quindi lex credendi perché ciò che per le generazioni anteriori era santo non può improvvisamente essere del tutto proibito o addirittura dannoso, come è richiamato nel recente Motu proprio; nei Sinodi, nei Sinodi romani, Sinodi universali, Sinodi diocesani; nel vissuto fraterno di comunione delle strutture parrocchiali; nella collaborazione e nella nuova responsabilità dei laici; nella grande corresponsabilità interculturale e intercontinentale; in una nuova esperienza di cattolicità della Chiesa; dell’unanimità liberamente condivisa che cresce in umiltà e tuttavia è la vera speranza del mondo. E così dobbiamo riscoprire la grande eredità del Concilio non creata dal supposto spirito dietro i testi, ma sono proprio i grandi testi conciliari riletti adesso con le esperienze che abbiamo avuto e che stanno portando frutto in tanti movimenti,in tante nuove comunità religiose. “In Brasile - ha ricordato il Papa - sono arrivato sapendo come si espandono le sette e come sembra un po’ sclerotizzata la Chiesa cattolica; ma una volta arrivato ho visto che quasi ogni giorno in Brasile nasce una nuova comunità religiosa, nasce un nuovo movimento e non solo crescono le sette. Cresce la Chiesa con nuove realtà piene di vitalità, non così da riempire le statistiche - questa è una speranza falsa, la statistica non è la nostra divinità - ma crescono negli animi e creano la gioia della fede, creano presenza del Vangelo, creano così anche vero sviluppo del mondo e della società. Quindi mi sembra che dobbiamo combinare la grande umiltà del Crocifisso, di una Chiesa che è sempre umile e contrastata dai grandi poteri economici, militari, ecc., ma dobbiamo imparare insieme con questa umiltà anche il vero trionfalismo della cattolicità che cresce in tutti i secoli. Cresce anche oggi la presenza del Crocefisso risorto, che ha e conserva le sue ferite; è ferito, ma proprio così rinnova il mondo, dà il suo soffio che rinnova anche la Chiesa nonostante tutta la nostra povertà. E direi, in questo insieme di umiltà della Croce e di gioia del Signore risorto, che nel Concilio ci ha dato un grande indicatore di strada, possiamo andare avanti gioiosamente e pieni di speranza”.

L’attuale fase: la dittatura del secolarismo dove vale solo il consumo, l’egoismo, il divertimento
“Anche oggi - ha detto il Papa nell’Omelia dell’Assunta a Castelgandolfo il 15 agosto 2007 - esiste il dragone in modi nuovi, diversi. Esiste nella forma delle ideologie materialiste che ci dicono: è assurdo pensare a Dio; è assurdo osservare i comandamenti di Dio: è cosa di un tempo passato. Prendere in questo breve momento della vita tutto quanto ci è possibile prendere. Vale solo il consumo, l’egoismo, il divertimento. Questa è la vita. Così dobbiamo vivere. E di nuovo sembra assurdo, impossibile, opporsi a questa mentalità dominante, con tutta la sua forza mediatica, propagandistica. Sembra impossibile oggi ancora pensare a un Dio che ha creato l’uomo e che si è fatto bambino e che sarebbe il vero dominatore del mondo. Anche adesso questo dragone appare invincibile, ma anche adesso resta vero che Dio è più forte del dragone, che vince l’amore e non l’egoismo”. Si tratta di superare quella che è l’anima di ogni peccato che dissolve l’umano cioè l’autarchia, l’autosufficienza e mettersi a disposizione, come Maria, del Signore e di ogni essere umano che Egli ama. Questo è il Vangelo vissuto: andare sulla sua strada; dare la nostra vita e non prendere la vita. E proprio così siamo sul cammino dell’amore che è un perdersi che in realtà è l’unico cammino per trovarsi veramente, per trovare la vera vita. “Guardiamo Maria, l’Assunta - ha concluso il Papa nell’omelia - Lasciamoci incoraggiare alla fede, e alla festa della gioia: Dio vince. La fede apparentemente debole è la vera forza del mondo. L’amore è più forte dell’odio”.