Associazione Cultura Cattolica

Le radici cristiane dell'Europa e la nuova Costituzione Europea - 2

Nessun osservatore attento potrebbe negare che, con modalità storicamente mutevoli a seconda dei popoli e delle nazioni, l'elemento religioso appartenga al Dna di quell'universo che oggi tutti chiamiamo Europa.
Don Pierre Laurent Cabantous - Parroco di Piangipane - Ravenna
Autore:
Negri, S. Ecc. Mons. Luigi
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Vorrei fare soltanto alcune osservazioni di conferma ed, eventualmente, di documentazione a quello che Rocco Buttiglione ha già detto. Una prima osservazione: la tradizione cristiana, la tradizione cattolica è inscritta profondamente nella struttura culturale ed antropologica dell’Europa. Lui ha già usato la parola più sintetica, il valore più sintetico ed espressivo: la persona. Questa realtà irriducibile a qualsiasi altra, perché sta sola di fronte al Mistero di Dio e, quindi, non è riducibile né alle condizioni fisiche in cui vive, né alle condizioni politiche. Ma questa “persona” dotata della straordinaria capacità che si chiama libertà: quella di scegliere, di affermare il positivo, di affermare il negativo e, quindi, una libertà che costruisce. Una libertà che costruisce società, costruisce famiglia, dialogo fra le famiglie, stanziamento delle famiglie in un territorio, creazione di istituzioni e strutture. Fino all’ultima struttura: quella della conduzione politica che deve garantire che la polis, la società, non sia semplicemente una regolamentazione dall’esterno, ma sia una guida attiva del bene comune, nel rispetto delle differenze, delle persone, delle famiglie, dei gruppi. L’Europa ha questa tradizione: una tradizione di personalismo libero, responsabile che ha avuto sempre una profonda pietas, una profonda consapevolezza dei propri limiti e del cammino faticoso con cui si è creata l’Europa. L’Europa non si è creata dalla sera alla mattina, come per un progetto ideologico, ma è stato un lungo cammino di inculturazione della fede e, in questa inculturazione della fede, i limiti ancestrali delle razze, dei popoli che per qualche secolo sono venuti rovinosamente l’uno contro l’altro ha trovato una possibilità di reale educazione. Per questo, se la parola “persona” sintetizza la tradizione cristiana dell’Europa, c’è un’altra parola che è come il riverbero di questa prima ed è la sua espressione più significativa: libertà. L’Europa è stata il luogo della libertà. Della libertà positiva, della libertà di costruire. Un grande storico francese - René Grousset - in un grande volume - “Bilancio della Storia” - ha detto: “sempre l’Europa ha messo la libertà contro l’assolutismo”. Dal tempo dello scontro fra i Greci e i Persiani, nel momento della straordinaria e, per certi aspetti, inconcepibile impresa di Alessandro Magno di portare la persona e la libertà fino agli estremi confini dell’Asia, nel confronto duro con gli Arabi, con i Turchi e, forse, anche nel contrasto non meno duro con i popoli delle steppe eurasiatiche, l’Europa ha difeso la libertà. Questi sono i valori della tradizione. Togliere ogni riferimento alla tradizione cristiana vuol dire dare dell’Europa un’immagine monca, in ciò che è così essenziale non per un determinato momento della storia, ma per l’uomo in ogni momento della storia. Perché se l’uomo non è persona, e se non è persona libera non è più uomo nella radicale e definitiva rivelazione che il Cristianesimo ha fatto di una profonda esigenza della natura - che la filosofia greca aveva siglato nella grande filosofia platonico-aristotelica.
Seconda osservazione. Vorrei chiamare in causa del Magistero dei Papi - che hanno sempre parlato dell’Europa nei termini che abbiamo formulato anche noi, questa sera - quello che mi sembra lo specifico dell’insegnamento di Giovanni Paolo II. E non soltanto di Giovanni Paolo II, perché c’è un predecessore di Giovanni Paolo II che ha avuto, per molti aspetti, una vibrazione estremamente simile a quella di Giovanni Paolo II: Leone XIII.
L’insegnamento di questi due Papi, ovviamente riconosce che i valori della tradizione cristiana fanno parte della tradizione europea, ma il Papa cerca di chiarirci in che modo sono nati questi valori e perché sono nati. Sono nati perché la Chiesa non è stata un progetto ideologico, ma è stata un movimento di vita. Questi valori sono stati creati, perché il popolo cristiano - quello che Paolo VI definiva una “entità etnica sui generis”- un popolo che non nasce dalla carne e dal sangue, per dirla con San Giovanni, ma che da Dio è generato - ha creato la cultura e la civiltà europea, non prefiggendosi di creare una cultura, ma vivendo. Vivendo, mangiando, bevendo, vegliando e dormendo, vivendo e morendo, non più per se stessi, ma per il Signore. La Chiesa ha creato cultura, perché è stata un movimento di vita. La grande alternativa, nella storia, è sempre fra l’ideologia e la vita. O, per dirla con più radicale chiarezza, - come ha detto Rocco Buttiglione - fra ideologia e cultura. Perché la cultura è l’espressione di un popolo, è la coscienza critica e sistematica di un popolo. È la coscienza che un popolo ha di sé, della propria identità, dei propri valori e che li testimonia, prima ancora che parlandone, perché li vive. La cultura viene sempre un istante dopo la vita. La Chiesa Cattolica è stata in Occidente matrice di cultura, potremmo dire, paradossalmente. Ma un paradosso abbracciato da uno dei più grandi storici dell’Europa moderna che non era cristiano: Arnold Toynbee. La Chiesa ha costruito l’Europa senza volerlo, quasi senza volerlo, dando espressione e spessore, non ad un progetto ideologico, ma ad una esperienza di vita. Quando, a Subiaco, S. Benedetto e i primi monaci hanno deciso di vivere sine glossa il Cristianesimo, nessuno di loro poteva pensare che da quell’impegno di essere veri con Cristo nella loro comunione sarebbe nato un movimento di civilizzazione. Un movimento di civilizzazione, per cui la persona era ovviamente al centro, ma era al centro della società perché era al centro della Chiesa. La libertà diventava caratteristica della persona anche a livello civile, perché era caratteristica della persona nella communio ecclesiale. Un movimento di vita che ha creato questi valori che, ormai, fanno parte del DNA dell’Europa. Tanto è vero che sono costretti, vorrei dire, ad affermarli anche quelli che non sono professanti cattolici, perché sono stati creati non da un progetto ma da una esperienza di vita. Un movimento di vita, cioè una vita di un uomo cosciente della propria identità, della propria origine, cosciente del proprio destino: una cultura. Come ce lo ha insegnato il Papa: “una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”. Un uomo con un cuore nuovo, a cui la fede dona un cuore nuovo, cioè una capacità di affermare e condividere l’altro nella sua diversità, senza ridurlo a sé, che è, invece, la caratteristica tipica dell’ideologia. Perché l’ideologia riduce tutto al proprio schema, mentre la fede e la carità aprono il nostro schema allo schema di Dio. E lo schema di Dio comprende tutte le diversità, perché Dio è uno ed è padre di tutte le diversità, avendo lasciato gli uomini liberi di affermare o di negare la sua stessa presenza. Questa è la grande riscoperta della parola Europa, nel magistero di questo Papa. La Chiesa ha creato l’Europa, perché è stata Chiesa, non perché ha avuto il progetto di creare l’Europa.

L’Europa è stata come l’opera di cultura e civilizzazione di un popolo che ha vissuto la fede.
Terza osservazione. È indubbio che questo movimento di vita, per difficoltà interne che non si devono sottovalutare - crisi interne ideali e culturali, certamente più gravi di quelle morali - ma, soprattutto, per un movimento ideologico che si è creato contro la Chiesa, l’Europa ha visto sorgere nel suo seno, l’ideologia: il tentativo di creare, a freddo, astrattamente, una immagine di uomo e di società senza Dio. Un uomo ed una società senza riferimenti religiosi. Una politica che risponde solo a se stessa, cioè al rigore delle procedure che l’hanno fatta nascere. La secolarizzazione che, certamente, - non possiamo negarlo - appartiene anch’essa alla tradizione europea, ha avuto il volto della scristianizzazione. E la scristianizzazione ha avuto due facce che, ora, sono chiaramente visibili: la prima, - la più radicale e rovinosa - quella di annientare il popolo cristiano, annientare la Chiesa come movimento di vita. L’enorme tributo di martirio che ha caratterizzato la vita della Chiesa in Europa negli ultimi secoli, e segnatamente nell’ultimo secolo, il XX, - riscoperto da grandi giornalisti, ma soprattutto per l’iniziativa del Papa - di oltre quaranta milioni di cristiani martirizzati da sistemi ideologici che, ancora oggi, segnano di martirio la presenza cristiana.
La seconda, non meno grave, e, per certi aspetti più pervasiva, è quella di ridurre il movimento di vita della fede a qualche cosa che può essere ideologizzato: la Chiesa come agenzia di valori pedagogici. Questo riconoscevano i rivoluzionari francesi nella costituzione civile del Clero: i preti educassero alla moralità il popolo, perché lo Stato non aveva questa forza. Questo riconosceva il fascismo italiano nella sua riforma gentiliana della scuola, quando metteva la Religione come propedeutica e premessa all’appartenenza fascista. Ridurre la Chiesa a parte di sé, condizionarla in tutti i modi nell’esercizio della sua libertà. La Chiesa se tende ad avere una sua espressione culturale e sociale dipende dalla Stato. Libera Chiesa, in libero Stato. Se la Chiesa vuole essere un popolo deve fare i conti con lo Stato e deve accettare le regole dello Stato. Se la Chiesa accetta di essere un fattore sostanzialmente ideologizzabile, cioè ricondotto ad un uso ideologico, allora la Chiesa può esistere come opzione individuale, come spiritualità individuale, come esegesi, come impegno etico a servizio delle classi povere, come uno sforzo che non ha la forza del popolo, ma che copre certi interessi e certi bisogni, che risponde a certe necessità senza mettere in crisi la cultura e l’ideologia di una società. Rocco Buttiglione ci ha insegnato, anni fa, a leggere la storia della Dottrina sociale della Chiesa - dal 1848 fino al 1991 con l’enciclica “Centesimus annus”- come una grande lotta che il supremo magistero della Chiesa ha fatto, non per contrapporre ai contenuti ideologici del laicismo i contenuti ideologici della tradizione cristiana, ma per contrapporre al movimento ideologico che strozzava l’Europa - e al di là di essa, strozzava il mondo, perché l’Europa era diventata la capitale del mondo nel 19° e nel 20° secolo - un’altra cultura, la cultura di un popolo che chiedeva la centralità della persona; la cultura che chiedeva la superiorità della società sullo Stato e lo Stato a servizio della società; che chiedeva quella rigorosa distinzione fra struttura politica e realtà ecclesiale che è stato il vanto del Magistero cattolico dai tempi di Papa Gelasio fino al Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa, dunque, non può accettare di essere ridotta ad un fattore ideologico o ideologizzabile e la crisi che serpeggia, a mio parere, in tante espressioni del mondo cattolico di oggi è la tendenza a pensarsi e a farsi considerare come “agenzia”, come un particolare che la cultura ideologica può utilizzare, anziché come una cultura autonoma che ha una sua originalità, che ha una sua identità, che ha una sua antropologia, che ha una sua concezione della società e, quindi, che ha una sua concezione della politica. Per questo - e concludo - il Papa non difende una tradizione del passato, difende il presente di questa tradizione. E il presente di questa tradizione è la vita, oggi, del popolo cristiano. E oggi il popolo cristiano è una realtà viva, non che difende contenuti del passato, ma che li ripropone continuamente secondo la formalità e le esigenze del presente. Il Papa che difende così attivamente la tradizione è anche il Papa che ha chiesto alle Chiese, in particolare alle Chiese europee, di riprendere la propria soggettività evangelizzatrice. È il Papa che alla sua prima visita in Francia, proprio all’aeroporto, guardando l’impressionante fenomeno della folla che era concorsa a salutarlo disse una frase terribile, semplicissima e profondamente paterna: “Francia, decidi. Chi ami tu? Di chi ti fidi?” E alla Chiesa italiana, radunata non lontano da qui, al Congresso di Loreto, nel 1995, disse: “Oggi la tradizione cattolica del vostro Paese rischia di essere completamente superata”; e aggiunse - quasi gridando - “è necessaria nel vostro Paese una nuova implantatio evangelica”. Il Papa difende la nostra tradizione, ma il Papa ci interpella nel nostro presente. Potremo seguirlo in questa difesa appassionata di un passato che diventa presente se risponderemo alla sua interpellanza; e la sua interpellanza è a noi cristiani: chi amate voi cristiani? Di chi vi fidate? Il movimento della fede è il movimento della vita. La fede è un principio di vita e, quindi, di conoscenza e di azione, o la fede è un particolare totalmente inseribile nella ideologia mondana?
Il Papa certamente difende la Chiesa di fronte al mondo e la difende da par suo, ma insieme il Papa interpella la nostra coscienza e la nostra libertà cristiana. Non si può mai sentire parlare il Papa di nessuna cosa, ma particolarmente dell’Europa, senza rendersi conto che ciascuno di noi deve rispondere positivamente a questa sua interpellanza: chi amiamo? Che cosa vogliamo nel mondo? La semplice radicalità con cui Benedetto ha voluto la fede e ha contribuito alla nascita dell’Europa. Se saremo uomini di fede daremo il nostro contributo all’Europa del terzo millennio, altrimenti il passato finirà per essere una cosa che, non essendo la passione del nostro presente, difficilmente potrà essere la passione di quelli che ci circondano e ai quali non saremo più neanche in grado di proporci. Difendere l’Europa cristiana vuol dire rinnovare l’impeto della fede e della missione cattolica oggi, all’inizio del tertio millennio ineunte.