Generazione di orfani

Autore:
Berlicche
Vai a "Ultime news"

Ieri, parlando con mia sorella e mia madre, ho citato Gustavo.
Bisogna avere i miei anni per ricordarselo. Era un tristissimo cartone animato che arrivava dal socialismo reale, che la Rai ci propinava un trentacinque anni fa, e di cui ho ancora in testa la musichetta. Eh sì, allora c’erano due reti e dieci minuti di cartoni al giorno, prendere o lasciare.
Mia sorella infatti non se lo ricordava. In compenso aveva ben presenti le serie giapponesi che seguirono a distanza di qualche anno lo sfigatissimo ungherese, e che ancora adesso ci vengono propinate.
A questo punto ha fatto un’osservazione che mi ha colpito: “Erano tutti orfani”.

Già. Facendo mente locale, è vero. Tutti orfani. Orfana Candy Candy. Orfano Remi. Orfana Peline, orfana Pollyanna, orfana Heidi… orfani per parte di madre la stragrande maggioranza dei conduttori di robot giganti, e i più fortunati anche di padre.
Una strage. Facendo mente locale, i non-orfani si contano sulla punte delle dita: il perverso padre di Lady Oscar, i genitori di Amuro (Peter) Rei del Gundam, lei distante e abbandonata e lui creduto morto e poi trovato rimbecillito…

Insomma, la nostra generazione è cresciuta avendo come esempi, come eroi, ragazzi senza famiglia.
Ma non è che la colpa si può dare tutta ai giapponesi. Moltissime di quelle serie erano versioni di romanzi occidentali.
Heidi della Von Speer. Anna dai capelli rossi, di Lucy Maud Montgomery. Remi e Peline, da Hector Malot… per non citare David Copperfield, Tom Sawyer, Giardini segreti e Piccoli Lord.
I romanzieri di fine ‘800 hanno esaltato la morte del padre e della madre; i loro epigoni contemporanei li hanno ripresi e diffusi.

Io ho una teoria. I romanzi dell’orfano hanno avuto tanta fortuna perchè colpivano un tasto dolente, vale a dire l’abbandono delle certezze.
All’uomo di fine ’800 è morta la Madre e il Padre, ha ucciso la Chiesa ed ha ucciso Dio; e cerca la sua vita altrove. L’uomo del 2000 soffre della medesima schizofrenia: da un lato il desiderio di affrancamento, della dimostrazione che può cavarsela anche da solo; dall’altro lo struggente desiderio di una figura paterna, una figura materna in sostituzione di quelle perdute.
Il bisogno insomma di una madre che ti culli e rassicuri, di un padre che ti rimproveri quando sbagli e ti insegni la vita.
Il bisogno, insomma, di una famiglia. Di stabilità, di verità, di amore.
Di queste cose si può anche tentare di dare dei surrogati. Ma nessun surrogato potrà mai colmare il desiderio, il vuoto lasciato dalla cosa vera.