Continuare la battaglia culturale - Lettera di Fabio Cavallari

Laici non laicisti e credenti non clericali: cresce il dialogo con chi ha a cuore il bene dell'uomo. Ed è bello riscoprire tali amici. Grazie Fabio!
Autore:
Cavallari, Fabio
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Cari amici di CulturaCattolica.it,

Vi scrivo oggi, dopo qualche settimana di silenzio, per riflettere assieme a tutti voi sullo stato delle cose presenti (così come la vecchia dialettica marxista amava sottolineare). Ho avuto la fortuna in questo periodo di girare in alcune città d’Italia (Milano, Novara, Monza, Bologna, Modena, Pavia, etc.) assieme agli amici di Medicina&Persona e ai tanti centri culturali che ci hanno ospitati, per dare voce a quella “battaglia culturale” che più volte ho evidenziato come imprescindibile. Eugenetica, eutanasia, accanimento terapeutico, testamento biologico. Tutte definizioni, che subdolamente stanno entrando nel gergo comune, banalizzate nel significato e protese ad un unico scopo: la ridefinizione del concetto stesso di uomo. Considero da sempre fondamentale il contatto umano, l’incontro e il confronto, ed è per questo che con entusiasmo non mi sono mai sottratto agli inviti che mi sono giunti in queste settimane. Dalla teoria alla prassi, è un’altra definizione marxista che uso volentieri per spiegare questo mio impeto. Ho incontrato uomini e donne genuinamente impegnate a difendere il “bene comune”. Persone come il Dott. Mario Melazzini, immerso totalmente in una battaglia personale con la malattia e in una battaglia pubblica per la vita. La sua è una sfida forte che ci costringe a confrontarci, a riflettere, soffermarci. Con voi oggi voglio soffermarmi su quello che con molto disinvoltura viene chiamato “testamento biologico”. Ci sono molte ragioni per rigettare le facili ed entusiastiche tesi che individuano nel medesimo un semplice ed innocuo strumento di libertà. Esiste un aspetto medico e un altro propriamente culturale. Sul primo, faccio mie le parole del Dott. Marco Maltoni (Medico oncologo Dirigente Unità Cure palliative Forlì) conosciuto in questo giro di incontri. Con il testamento biologico si preclude in partenza per il medico un processo di alleanza con il paziente. Il Dott. Marco Maltoni ha proposto diversamente un’ipotesi di “Atto di Fiducia nel Medico”. Egli afferma che: “L’atto medico è oggettivamente (se si può ancora usare questa parola…) una relazione fra due uomini, e l’eliminare la possibilità che uno dei due attori possa esprimere la propria ricchezza umana e professionale ne mina le radici costitutive. Non esiste più rapporto di cura se non è presente un rapporto di fiducia che permetta di non azzerare mai uno dei due uomini protagonisti del rapporto”. Ora, quanto io intendo aggiungere fonda le radici nel processo mentale che conduce a ritenere il “testamento biologico” un atto necessario ed in fondo inoffensivo. Ho più volte sottolineato quanto questo pensiero nasca da una forzatura che i mass-media hanno operato sul concetto di dolore. Concetto che hanno avuto la pretesa di rappresentare (caso Welby) inducendo all’interno di esso una soluzione già preconfezionata. Razionalmente ci tocca l’obbligo di precisare quanto sia fuorviante seguire questo ordine dialettico. Il dolore è un sentimento intimo e personale, sul quale non possiamo pretendere di ragionare attraverso “ipotesi”. Il testamento biologico regge il suo principio sul “se fossi”. Pensare ad una legislazione che segua tale principio è davvero bizzarro, ma è ancora più inumano produrre una disquisizione concettuale da un punto di vista “soggettivo”. L’individuo non può, per ragioni razionali e non confessionali, immaginarsi “come se fosse”, tale logica di pensiero non è nelle sue facoltà intellettive. Anche quando ognuno di noi assiste al dolore del più caro degli amici, non ha la possibilità di “condividere” tale dolore, può tutt’al più, come dice Monsignor Lorenzo Albacete, condividere la domanda. Ho personalmente vissuto accanto al mio più caro amico nella sua fase di vita terminale. Aveva ventitré anni ed era ammalato di tumore. Come il sottoscritto non credente, ma riuscì a condurre la sua malattia attraverso un percorso che io definii allora, e definisco tutt’oggi, “religioso”. Un prisma costante davanti ai suoi occhi: la vita. Faceva cucinare la madre, anche quando non poteva più mangiare, per sentire gli odori del cibo. Chiedeva di tenere le finestre aperte per cogliere quell’aria che non avrebbe mai più avuto tra i capelli. Voleva che gli narrassi delle mie battaglie politiche anche quando era chiaro che la sua battaglia per la vita era la vera rivoluzione. Bene, io che gli fui fraternamente vicino, ad un certo punto iniziai a pensare “ma se fossi io”, e cercai di ragionare in quei termini. Chiesi, basandomi sul mio temperamento e osservando quella che definii un’ingiustizia, ribellione. M’immaginai io in quel letto e sollecitai quelle stesse imprecazioni che “da sano” pensavo avrei potuto pronunciare nella condizione di ammalato. Il mio amico mi assecondò, ma in quel preciso istante capii esattamente che la sua era solo benevolenza nei miei confronti, nella realtà non sentiva alcun bisogno di imprecare. La sua lotta aveva già preso altra forma ed io non potevo essere in grado di ragionare “come se fossi nelle sue condizioni”. Ho potuto capire tutto ciò, grazie ad un aspetto fondamentale: il pensiero affettivo che ci legava. Senza di esso sarebbe rimasta solo l’emozione e l’emozione per quanto umana e legittima, da sola non può produrre comprensione. Ecco perché oggi dico che il testamento biologico, non è solo un controsenso medico ma è anche e soprattutto un errore razionale del nostro pensiero.

Con affetto.
Fabio Cavallari