Oltre il nichilismo: amare

Autore:
Lusso, Matteo
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Una fredda mattina invernale. Le luci al neon in classe sono tutte accese, c’è un brusio ovattato e poca voglia di cominciare le lezioni. Il sonno della notte pesa ancora sugli occhi. Mi accorgo però che in fondo alla classe una ragazza è sveglia, riflessiva, indaffarata, malinconica... Le chiedo: “Tutto bene? C’è qualcosa che non va?”. La sua risposta è una domanda ed è di quelle che alle otto del mattino non avresti mai voglia di affrontare: “Profe, perché ci innamoriamo?”
Vorrei evadere la questione oppure farci sopra dell’ironia ma poi penso che sono proprio questi atteggiamenti che, giorno dopo giorno, vanificano il vissuto dei ragazzi, consapevolmente e colpevolmente. Ho pensato: “Chissà cosa cerca al fondo del suo cuore così sensibile e dentro quella testa e quegli occhi così profondi... chissà, cos’è veramente la felicità, la soddisfazione per lei... chissà cosa cerca davvero... cosa cerchiamo davvero tutti”. Ognuno di noi desidera profondamente la felicità ma non ne identifica mai con chiarezza la forma, che rimane sempre avvolta in una nube ineffabile. Così ho provato a rispondere, non subito, ma ho risposto e la riflessione che segue riassume un dialogo, nel quale sono confluite altre domande, che hanno costretto la mia intelligenza ad approfondire la comprensione delle tante sfumature implicate nella richiesta iniziale.

Io so che quando si è innamorati un po’ si è felici e un po’ si soffre. Felici perché ci si sente vivi, attratti, si prova piacere a stare con la persona amata, il mondo sembra fatto solo per noi. La nostra natura è fatta come rapporto con altro e l’innamoramento ci fa uscire dalla nostra solitudine. Noi siamo fatti per l’amicizia, per la comunione profonda con altri esseri.
Eppure, e qui inizia la sofferenza, la persona amata non ci basta mai, non ci sentiamo mai completamente amati, non ci sentiamo mai completamente saziati nella nostra esigenza affettiva dalla persona che amiamo e dalla quale siamo amati. Perché?
Nessun essere umano basta mai veramente a noi stessi e noi non bastiamo mai veramente a lui. Per questo la lealtà con sé spinge ad implicare Dio nei rapporti: Lui è la profondità di tutte le cose, è la misura adeguata, è l’acqua che disseta, è l’attrattiva di tutto ciò che ci attrae. Significa che diminuisce o perde importanza la persona che amiamo? No, anzi, amiamo di più, perché Lui ha fatto le cose belle della vita perché noi ne cominciassimo a sperimentare la natura, cominciassimo a partecipare della Sua vita dentro le cose di questo mondo. L’uomo che ama Dio è sempre innamorato, sempre si innamora, perché ogni persona è tutto, perché è fatta come bisogno infinito, bisogno di Dio.
Non puoi stringere e possedere l’attrattiva che provi, perché non è tua: ultimamente essa è l’attrattiva di Dio, che in tutto si manifesta (l’azzurra sete di cose di infinito, dice A. Merini).
Io credo che ci innamoriamo perché questo ci ricorda - molto spesso lo dimentichiamo - che la nostra vita è fatta per la felicità, che la felicità esiste e non è solo un desiderio vano tra le mille brutte possibilità del mondo. Sono felice perché l’essere amato esiste e per tutte le sfumature attraverso le quali sa dimostrarmi il suo affetto. Sapere che mi vuol bene, che vuol volermi bene mi rende felice... e forse ci si innamora perché qualcuno ha voluto ricordare paternamente e maternamente che il desiderio di felicità, tra i tanti dolori della vita, è come una promessa, il cui compimento non è in un futuro lontano ma nel volto e nel cuore presente di un essere amato. Noi ci innamoriamo per ricordarci che la vita ci è data perché possiamo essere felici.
E’ impossibile pensare che davvero esista la strada che ci rende veramente partecipi uno della vita dell’altro? Perché, quando i rapporti diventano impegnativi, ci si tira indietro, quasi si avesse paura? Paura di cosa? Amare significa vincere l’estraneità che ci rende sempre e solo definiti in noi stessi, uscire dalla propria solitudine, guardare con adorazione, incontrare e aspettarsi sempre qualcosa dall’altro, arricchirlo ed esserne arricchito. Desiderare di dare la vita, perché possa accadere che, offrendo essa per le persone amate, Dio possa dar loro quella felicità che l’uomo non può dare, perché non gli appartiene, ma che l’amore spinge a voler dare.
D’altra parte qual è l’alternativa? Lentamente ci si inquadra, ci si annulla nelle cose da fare, si dimentica la propria giovinezza e anzi la si rinnega: occorre combattere, anche con sofferenza, per non accettare questa prospettiva. “Ama chi dice all’amico: tu puoi non morire” (Gabriel Marcel, Il mistero dell'essere). Il vero amante capisce che solo Dio può rendere felice la persona e ama e prega Dio per questo, a costo del proprio sacrificio.

Dice Leopardi in una poesia misteriosa e affascinante (Amore e Morte):
...
Quando novellamente
nasce nel cor profondo
un amoroso affetto,
languido e stanco insiem con esso in petto
un desiderio di morir si sente:
come, non so: ma tale
d’amor vero e possente è il primo effetto.

La nascita nel cuore di un affetto potente (amore) ha come primo effetto il desiderio di morire: tutto è piccolo rispetto alla capacità del cuore.

Parla e dì a lei e al suo cuore: la tua salvezza sono io (Sal. 34,3). Diglielo perché lo senta, ispiraglielo perché lo percepisca, daglielo perché lo abbia, perché tutto quello che è dentro di lei Ti benedica”[Guglielmo di Saint-Thierry]: il desiderio ultimo che anima l’uomo che ama davvero una donna è darle Dio. La dedizione è guardare la persona amata così profondamente da soffrire perché sia felice, desiderare solo che sia felice. Si amano a tal punto tutti i dettagli e l’insieme della persona da dimenticarsi completamente di sé. Esisti solo tu, abiti il mio cuore e ne hai preso possesso. Amandoti si diventa migliori, più intensi - anche nel dolore - più veri e si desidera solo dare qualcosa del bene che l’altro cerca. Vivere è amare in modo esclusivo, amare in modo assoluto un essere, pensarlo fa sperimentare un dolce languore, una percezione di purità, di fresco, di innocente, di autentico, di bello che deriva dalla speranza di vederlo. Il tempo non è più lo stesso con questo sentimento: è soave, triste, divino. La speranza è vederlo, il terrore perderlo. Non credo che la vita ci faccia incontrare, ci faccia affezionare per prenderci in giro, per ingannarci, per ferirci, credo faccia tutto parte di un disegno buono che si svolge giorno dopo giorno e che dobbiamo imparare a comprendere. Sarebbe troppo ingiusto rinunciare ad amare, rinunciare ad una cosa così bella, non avrebbe senso. Amare è la giovinezza, il cuore che respira, il sogno che fa intravedere la musica degli angeli e l’essere amato è vita della vita, del cuore, dell’ anima.
L’essere un particolare ferisce, pensare di non esserlo sarebbe ingiusto, presuntuoso ed egoista. La mia personale ricerca del “volto del Signore” ha attraversato questo scoglio: Egli è dentro il tuo volto, io vorrei che coincidesse con il tuo volto e per questo devo diventare capace di guardarti con distacco e senza pretesa, perché non sei mia. E’ evidente: la tua vita, la tua persona, il tuo cuore, il tuo destino, la tua libertà non sono miei. Niente delle persone ci appartiene, tanto meno la loro libertà. Dentro l’amore c’è un’assoluta ricerca di quello che è bene per l’essere amato, alla quale voglio lasciare la prospettiva della vita matura e della bellezza e non una delusione. Senza andare in profondità, tutte le cose belle della vita si rivelano inconsistenti. Nessun uomo è il compimento del desiderio di amore del cuore, anche se lo suscita. Nessuno. C’è una relazione profonda tra l’amore e il divino. Ci si può arrabbiare ma se si accetta questo, si sperimenta quanto salva i sentimenti umani e si ama sempre di più, si sperimenta la consistenza dell’amore. Si ama fino all’adorazione, che letteralmente significa “avvicinarsi al volto”, cioè baciare: si bacia il mistero della vita e si capisce che la sensazione di incompiutezza non era che il punto di partenza di un’avventura infinita.
Mi ha sempre colpito in proposito questa affermazione di Giovanni Paolo II: “Non ci sarà fedeltà se non si troverà nel cuore dell’uomo una domanda per la quale solo Dio è la risposta”.

I ricchi impoveriscono e hanno fame/ma chi cerca il Signore non manca di nulla./ C’è qualcuno che desidera la vita?/E brama lunghi giorni per gustare il bene?” (Salmo 33)

“Il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così siate in grado di comprendere quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Lettera agli Efesini)

Questi testi mi colpiscono perché parlano di compiutezza, di conoscenza, di pienezza, di gusto, di un Dio che vorrebbe che noi desiderassimo lunghi giorni per gustare il bene. Dio vuole che noi siamo compiuti, felici, soddisfatti. Solo un padre, solo uno che ama dice così. Tante volte la nostra infelicità dipende solo dal fatto che non accettiamo l’amore del Padre, come dice J. Green: “La noia profonda viene dall’assenza di Dio, o piuttosto dalla nostra assenza quando Dio è presente? Ed è sempre presente, ma noi preferiamo i nostri miserabili altrove e vi moriamo di noia”. Non ci chiede di essere capaci di essere fedeli, ci chiede di desiderarLo, amando ciò che crea per noi.
Il nichilismo dice in fondo: “E’ preferibile non innamorarsi, così non si deve soffrire”. Non dare fiducia per non soffrire, questo è un atteggiamento diffuso, che si traduce nel fatto che “le storie” tendono fin dall’inizio ad essere concepite come passeggere, con dentro una punta di calcolo sull’ assolutezza affettiva, umanamente inaccettabile. Rispondo: la vita è un’avventura, bisogna viverla, anche se ciò implica sbagliare e quindi soffrire, come dice Lewis: “Nella vita ho avuto due volte la possibilità di scegliere: da bambino e da uomo. Da bambino ho scelto la sicurezza, da uomo ho scelto la sofferenza. Il dolore di oggi fa parte della felicità di ieri, la felicità di oggi comprende il dolore di domani”.
Da questa insicurezza, anche verso se stessi, bisogna cercare di uscire: sbagliando si impara. Occorre vivere con coraggio.
L’amore è il presentimento dell’esperienza dell’eternità, di qualcosa che non può finire. Può finire l’innamoramento, che è l’inizio dell’amore, quell’attrattiva che ci porta ad avvicinarci e a voler stare con la persona amata. Poi l’amore diventa molto più grande: responsabilità, generazione, educazione….c’è dentro tutta la vita. Le modalità ed il sentimento dell’amore muta ma non muta la sostanza: la soddisfazione di sé è dentro il rapporto con altro da sé.

Al nichilismo si reagisce amando: vivere, vivere, vivere, gustare ogni istante perché è unico ed è donato per come e’ e non per come lo si immagina.
“La tentazione più grande che il demonio mette nel cuore è di far credere di essere più utile in qualunque altra parte del mondo fuorché dove ti trovi o che sarebbe più importante fare qualsiasi altra cosa fuorché quello che stai facendo.” (San Francesco Sales).