Voler vivere non fa notizia

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“Voler vivere non fa notizia”. Ho concluso così il mio intervento durante la puntata di Matrix andata in onda qualche sera fa. Un parterre molto eterogeneo e qualificato ha discusso per circa un’ora e mezza di “fine vita”, “testamento biologico”, “eutanasia”. E’ stata una discussione pacata, dove anche le posizioni più distanti hanno saputo dispiegarsi senza cadere nella solita “vis polemica” che accompagna generalmente questo tipo di dibattiti. Quando si affrontano temi eticamente sensibili, il rischio è sempre quello dell’astrazione. E’ quasi un moto inconsapevole, una tendenza dettata dalla nostra incapacità di ragionare e di percepirci in una condizione che non ci è data. Così finiamo spesso per produrre giudizi sorretti da una base dialettica che trova il suo fondamento nell’ipotesi, in quel “se fossi”, tanto narrativo, quanto irreale.
Diritto di scelta, libertà e autodeterminazione, sono concetti che possono affascinare, ma sono elucubrazioni mentali. Riflettevo su questo, durante gli spot pubblicitari di Matrix. E pensavo a Max, a Daniela, Giovanni, Bruno, personaggi del mio libro “Vivi” (Ed. Lindau). Al cospetto della realtà l’astrazione soccombe, perde la sua forza propulsiva, la sua seduzione dialettica. Possiamo discutere per ore, produrci in esegesi virtuose, elaborare la miglior sintesi possibile, ma al cospetto della narrazione quotidiana, nulla possono fare tesi e antitesi. “La stanza di un ammalato è uno dei posti più belli al mondo”, così mi aveva detto Tiziana Lai, moglie di un uomo affetto da Sclerosi Laterale Amiotrofica. In questi giorni sono andato a trovarlo a Sanluri, un piccolo centro del Medio Campidano in Sardegna. Bruno Leanza, oggi vive a casa, grazie ad un ventilatore meccanico e ad un sondino che gli permette di alimentarsi. Muove solo gli occhi, con quelli comunica con il mondo, naviga in Internet. Attorno a lui, una comunità di uomini e donne semplici, tenaci come la terra che abitano, fieri della loro identità. Ero lì per presentare il mio libro e mi hanno accolto come un amico arrivato dal profondo nord per fare festa, per gioire assieme a loro, per combattere la miglior battaglia possibile, quella per la vita. Noi sani, sappiamo poco. Noi giornalisti, scrittori, preti, politici, confondiamo spesso le nostre idee con il reale. Attorno al letto di Bruno, io ho visto la vita dispiegarsi, lì accanto a lui, assieme a lui, si è scherzato, mangiato, discusso. La bassa morale, il buonismo, la falsa pietà, il ripiegamento silenzioso, sono affari per pseudo intellettuali in carriera, per opinionisti da salotto. Se vogliamo capire, comprendere oltre l’iconografia della sofferenza, offertaci dai mezzi di comunicazione di massa, dobbiamo impastarci con la realtà.
Dentro l’esperienza quotidiana, faticosa, dolente, talvolta amara, c’è la voglia di onorare il senso stesso dell’esistenza. Ognuno con una modalità differente, con il portato che la propria storia personale ha generato. A governare ogni esperienza, a sostenere ogni lotta, l’unico antidoto: il pensiero affettivo.
Nulla di tutto ciò è scontato, retorico o semplice. Le famiglie degli ammalati si ritrovano spesso sole, abbandonate. In molte situazioni viene negato loro anche il minimo diritto di cittadinanza, ossia l’assistenza domiciliare, gli ausili indispensabili per una qualità della vita compatibile con la loro disabilità.
Bruno ha la fortuna di avere attorno a sé una famiglia solida, amici fidati che sotto la sua regia provano ogni settimana i canti della tradizione sarda, proprio lì attorno al suo letto. Il suo sorriso vale mille tavole rotonde, edulcorati discorsi sulla libertà. “Io sono felicissimo di vivere anche con la Sla”, mi dice comunicando attraverso una tabella dove le sue pupille scorrono veloci. “Sono un perfetto sconosciuto perché questa malattia finisce sui giornali solo se si discute di eutanasia e siccome io sono un guerriero della vita, non sono mai salito agli onori delle cronache. In verità è troppo facile parlare per stereotipi senza fare uno sforzo intellettuale per capire che la vita non è solo fare ciò che si vuole e quando si vuole. La verità è che voler vivere non fa notizia”.
Noi sani, sappiamo poco. Anche in buona fede, non riusciamo a comprendere ciò che possiamo solo ipotizzare. Servono narrazioni capaci di creare una connessione sentimentale con l’altro. E’ necessario entrare in una stanza di un ammalato, lasciare i mesti passi e la voce soffocata altrove. Solo così la finiremo di confondere i nostri astratti pensieri con la concretezza della vita.