TV2000 sdogana l'#omosessualità

Autore:
Mondinelli, Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Cari amici,
la Tv dei vescovi, TV2000, sdogana gli amori omosessuali. È dolorosamente necessario investire 15 min. di tempo e vedere il video per rendersene conto:





Questa puntata di TV2000, pagata con i nostri soldi dell’8 per mille, è la prova pratica di cosa significa la «nuova teologia» della falsa misericordia da cui scaturisce l’«etica della situazione». È la dolorosa messa in pratica di gravi errori teologici di cui scriveva padre Cornelio Fabro più di 42 anni fa. La citazione è lunga ma vale la pena se siete interessati a capire come siamo giunti a questi abissali livelli:

Oggi (siamo nel lontano 1974), come è noto, si parla senz’altro di una «rivoluzione copernicana» nel campo della teologia in quanto la comprensione e quindi l’accettazione dei due cardini della religiosità classica e della teologia tradizionale – che sono la trascendenza di Dio e la soprannaturalità della fede e dei misteri del cristianesimo – sono state svuotate dalla critica che è il punto di arrivo o la conclusione della scienza e della filosofia moderne. In altre parole, la «nuova teologia» prende atto della esecuzione capitale che la critica moderna ha fatto del vecchio modo di concepire i rapporti fra l’uomo e Dio, fra il peccatore e la grazia, perché questi sono in funzione di una «concezione del mondo andata ormai fuori moda» (outmoded view of the world), quindi non più accessibile e accettabile dall’uomo moderno. Non si tratta quindi di respingere Dio, dichiara Robinson, ma di salvarlo, collocandolo anzi nella coscienza dell’uomo moderno nel modo che gli conviene: si tratta cioè di sostituire al vecchio campo di intenzionalità teologica, ormai sorpassato, un nuovo orizzonte di intenzionalità che sia consono alla dinamica interna dell’intenzionalità dell’uomo moderno.
[…]Bisogna quindi prendere atto che l’uomo moderno non riesce a cogliere più quel linguaggio: per esempio Dio presentato con i termini di «natura», «sostanza», «causa», «relazione»… perché legati a un particolare tipo di rappresentazione del mondo che oggi non ha né può più avere un significato e una funzione positivi. Perciò la morte di Dio costituirebbe un passaggio indispensabile e benefico per la «ripresa» del Dio autentico. Si afferma che un uomo di oggi, che viva nel «clima intenzionale» del suo tempo, non può non essere ateo ma insieme non può restare ateo perché Cristo lo raggiunge sulla via come i discepoli di Emmaus e lo costringe a riconoscerlo.
[…] Questa nuova teologia della morte di Dio è la teologia della disfatta e della capitolazione di fronte alle negazioni del pensiero moderno da Feuerbach-Nietzsche fino ad Heidegger e Sartre. Le dimensioni di questa capitolazione sono state indicate dal Robinson con estremo realismo:

1. Dio è superfluo nella sfera intellettuale, in quanto sia nella scienza sia nella filosofia non c’è più posto per Dio, in quanto cioè Dio è sfuggito totalmente alle prese dell’intelletto e nessuno sente più il bisogno di porre il problema di Dio. Dio ha perso per l’uomo ogni intenzionalità.

2. Dio è stato relegato nella sfera emozionale, in quanto non solo l’uomo non sente più il bisogno di Dio o della religione, ma è convinto che questo riferimento gli è nocivo in un mondo che si è svuotato del sacro, ossia in un mondo la cui essenza, per dirla con Heidegger, è di «diventar mondo» (Welt weltet)… È il mondo secolarizzato, e «secolarizzazione significa che l’uomo deve accettare la responsabilità del proprio destino, senza cercare di scaricarlo sugli dèi, aspettando qualche provvidenza per aiuto o per illuminazione».

3. Dio è intollerabile sul piano morale, e qui sembra che più che l’imperativo categorico di Kant (come il riferimento teoretico esigerebbe) o la radicalità della libertà esistenziale di Sartre, sia operante lo «scandalo del male». Così si afferma che «…un Dio che causa o permette la sofferenza di un solo bambino è moralmente insopportabile». Da una parte oggi il male fisico e morale dilaga in forme e proporzioni finora sconosciute; dall’altra, è aumentata con il progresso della cultura e della scienza la sensibilità al dolore: così la tensione spezza l’arco dello spirito, e l’uomo preferisce rimanere solo con il dolore e con i propri problemi.

Di fronte alla situazione di immanentismo della filosofia moderna e a quella di umanesimo radicale della filosofia contemporanea sono possibili, e sono state almeno parzialmente prospettate, due posizioni: l’una di revisione del principio stesso di immanenza (del dubbio radicale, del cominciamento vuoto, del volontarismo assoluto...) e quindi di contestazione radicale del medesimo, l’altra di accettazione della situazione stessa come irreversibile, che diventa perciò il punto di partenza del nuovo compito che spetta, o spetterebbe, alla «teologia cristiana dei tempi nuovi» (così la chiamano!).
La prima posizione, almeno fino al concilio Vaticano II, era difesa dalla filosofia e teologia cattolica e anche da rappresentanti della stessa teologia protestante tradizionale; la seconda posizione progressista, o disfattista che dir si voglia, aveva la sua più incisiva espressione nella cosiddetta «teologia dialettica» di Barth-Tillich-Bultmann. Questa ha portato alla cosiddetta «teologia della morte di Dio» ed è esplosa nell’immediato dopoguerra, soprattutto per l’influsso dell’ultima attività di Bonhoeffer (dico «ultima» perché il primo Bonhoeffer sembra molto lontano dalle idee delle famose Lettere dal carcere).
[…] Non a caso pertanto il pioniere più noto di questa destructio theologica tbeologiae e volgarizzatore delle idee - che l’ultimo Bonhoeffer aveva meditato nel carcere prima di affrontare la morte -, il vescovo anglicano J. T. Robinson, aveva riconosciuto che «...è impossibile ristrutturare la propria concezione di Dio e il proprio modo di intendere la trascendenza, senza ristrutturare [lett.: “senza rimettere in pentola”] la propria concezione della moralità».
[…]. La teologia dialettica più avanzata nella linea Bonhoeffer-Robinson, che ha trovato non pochi echi - come subito diremo - anche nell’ala estrema della teologia cattolica contemporanea, arriva a proclamare il punto zero, ossia il rifiuto totale di qualsiasi punto di appoggio per l’elevazione a Dio della coscienza […] Di conseguenza cade, e deve cadere, di fronte alla nuova situazione, quella che Robinson chiama la «coerenza monolitica» del corpus della teologia morale cattolica, perché deve cadere ogni distinzione e opposizione di naturalismo e soprannaturalismo per la quale si è sempre battuta la teologia cristiana e soprattutto quella cattolica. […] Leggiamo infatti che l’etica del soprannaturalismo «...distorce (distorts) l’insegnamento di Gesù» e condanna apertamente il principio che «...certe cose sono sempre giuste, altre sempre sbagliate per ogni uomo e in qualsiasi condizione». Quindi nessuna permanenza di valori di fondo. […] I princìpi morali di Gesù non vanno concepiti in modo legalistico, come precetti; essi non prescrivono cioè quel che il cristiano deve fare, in qualsiasi circostanza, né definiscono ciò che è universalmente giusto e ciò che è universalmente errato. Non sono una legge che imponga l’amore in modo uguale per tutti, bensì soltanto esempi di ciò che l’amore può chiedere di volta in volta, da ciascuno di noi... Sono, anche i precetti del Vangelo e i discorsi di Gesù, pure e semplici parabole e vanno perciò interpretati di volta in volta, e mai presi in un modo troppo letterale, come imposizioni valide per ogni situazione e come princìpi universali.
Si prenda, esemplifica il Robinson, il problema del matrimonio. Per coloro che ammettono la distinzione dei due ordini naturale e soprannaturale, la «santità del matrimonio» è fuori discussione, e il matrimonio non è soltanto indissolubile ma indelebile.
A suo avviso pero oggi sono ben pochi coloro che credono che i matrimoni siano fatti in cielo; comunque è certo - ecco la posizione della Death-of-God Theology - che le possibilità di far valere una simile concezione in un mondo che procede ormai per tutt’altra strada sia sul piano scientifico sia su quello politico, artistico e religioso sono ben poche. Si tratta -e il Robinson è altrettanto esplicito che coerente- che con la caduta della metafisica - grazie alla destructio veritatis entis da parte del pensiero moderno - è caduto anche il soprannaturalismo e con esso l’assolutismo della morale del Sinai.
[…] Oggi anzi la posizione è diventata ancora più radicale: si deve rifiutare qualsiasi riferimento a Dio anche in senso postulatorio e conclusivo, come faceva ancora Kant: si deve cioè identificare la morale con l’esistenza e la misura dell’uomo con l’uomo stesso, quella che oggi si dice per l’appunto «una morale umana fatta a misura di uomo».
Ispirandosi su questo punto più direttamente a Tillich, Robinson oppone al legalismo la morale cristiana dei tempi nuovi ossia del «cristiano maggiorenne»: essa non è né eteronoma e precettistica nel senso tradizionale, né autonoma e ancora precettistica nel senso kantiano, ma teonoma. Ed egli lo spiega in un modo abbastanza caratteristico. La morale teonoma è definita come quella che riconosce come unico principio del proprio orientamento morale l’amore (in corsivo nell’originale): «Soltanto l’amore può essere aperto a ogni situazione particolare [concreta] o meglio alle persone nelle loro particolari situazioni, in se stesse e per se stesse, senza perdere il proprio orientamento e la propria incondizionalità». Per questa ragione l’amore è la sola etica in grado di offrire un elemento di sicurezza in un mondo continuamente in movimento e che resti di fatto sempre libera e indipendente dal mutare delle situazioni. È il principio guida di quella che da un quarto di secolo si chiama appunto l’«etica della situazione» (Situationsethik). In questa concezione l’unico male intrinseco e l’unico peccato è la «mancanza di amore» (lack of love). Matrimonio e divorzio allora, per tornare all’esempio di fuoco del mondo contemporaneo, matrimonio e procreazione vanno regolati dalla situazione e non da prescrizioni; questi comportamenti cioè vanno visti non dall’esterno ma dal nocciolo della situazione personale di ogni individuo.
[…] Si comprende che non vi possa mancare il richiamo all’agostiniano: «Ama et fac quod vis», che va tradotto, osserva Robinson (e qui prende l’espressione dal Fletcher, teologo protestante) non con: «Ama e fa’ quel che ti piace», ma alla lettera con: «Ama e fa’ quel che tu vuoi» (quindi non quel che ti piace, ma quel che tu vuoi, perché è il volere che è infinitamente aperto, mentre il piacere è una cosa empirica). «Solo l’esigenza e la legge dell’amore è capace di penetrare nelle situazioni concrete e di scoprire ciò che è richiesto dalla realtà concreta a cui si rivolge». E Robinson conclude che «…il cristiano il quale cerca di conservare la propria autonomia nel giudizio morale entrerà inevitabilmente in conflitto con i custodi della morale già codificata, sia ecclesiastici sia laici. E spesso [si badi bene!] gli capiterà di sentirsi più vicino a coloro che hanno princìpi diversi dai suoi, ma sono indotti alla stessa ribellione dall’esigenza di riaffermare la priorità della persona e dei rapporti personali su ogni eteronomia, sia pure quella del soprannaturalismo[…] Ci basti osservare, a conclusione di questo secondo punto, che il nuovo corso della teologia protestante, nel solco indicato dalla teologia dialettica, ha cominciato a muovere anche le acque della teologia cattolica nelle sue punte più avanzate (ADESSO 2016 HA CONQUISTATO QUASI TUTTA LA TEOLOGIA CATTOLICA! NDR), le quali si esprimono e si danno puntuale convegno soprattutto - come sembra - nella rivista «Concilium», diretta dal gesuita padre Rahner. […]. La necessità di rinnovamento della Chiesa, affermata dall’ultimo Concilio, viene così intesa - dal Rahner e dalla sua vasta sequela - come il dovere di uscire dal «ghetto» in cui la Chiesa cattolica si era rinchiusa dal Concilio di Trento in qua, in contrasto con il mondo, ossia con la filosofia moderna e con le altre confessioni cristiane, rimanendo isolata nel concerto del progresso della cultura e della civiltà moderna. Un’etica nuova per un mondo nuovo? Un’etica secolarizzata per un mondo secolarizzato, come vuole la corrente Bonhoeffer-Robinson? Più precisamente questi cattolici si uniscono e convengono nell’etica che Robinson, come si è visto, ha chiamato «teonoma» che […] fa consistere e intende il trascendente «nella relazione concreta che unisce gli uomini fra di loro». È questa la legge suprema o morale concreta dell’amore del prossimo ed è la fede in Gesù Cristo che introduce l’amore nel mondo e, con lui, la relazione concreta dell’uomo a Dio.
[“L’avventura della teologia progressista” (1974)]

Questa etica della situazione è stata più volte condannata dal magistero: l’enciclica Veritatis splendor ne soltanto è l’ultimo esempio, ma ormai non importa quasi più a nessuno. Chi è immerso nella morale teonoma dell’amore non può intendere ragione, perché ne è privo. Tutto, fede e morale compresa, è solo sentimento. L’etica della situazione abolisce di fatto il peccato ed annichilisce l’uomo. Come? In questo modo: la libertà come unico fondamento della vita, non solo non libera, ma rende l’uomo schiavo del peccato e burattino nelle mani del solforoso principe di questo mondo. La verità rende liberi dal peccato, la falsa libertà dell’abolizione del peccato rende schiavi del demonio.

San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia.