Riflessioni sul fine-vita

Le questioni poste chiedono la serietà di un confronto, chiedendo e dando spiegazioni. Non è questione di schieramenti né di partiti presi!
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La lettera, inviata da Francesco al Presidente della Pontificia Accademia per la Vita in occasione del Meeting Regionale Europeo della “World Medical Association” sulle questioni del “fine-vita” (Vaticano, 16-17 novembre 2017) (QUI), è a dir poco preoccupante.
I giornali laici parlano di apertura al testamento biologico, se non di più, (QUI). Attenzione alle parole di Beppino Englaro a Repubblica:
Signor Beppino Englaro, sembra un po’ spiazzato anche lei dalle parole di papa Francesco... “È che abbiamo sempre chiesto a tutti, dall’inizio della vicenda umana, medica e giudiziaria di nostra figlia Eluana di “andare oltre”. Adesso si scopre che più oltre di tutti è andato lui, il Papa”.
E chi altro avranno scosso a suo parere le parole del Papa?
“Spero tutti i granitici, i fondamentalisti, quelli che si credono portatori di verità assolute. Come chi accumulava le bottigliette dell’acqua davanti alla clinica di Udine, mentre Eluana non poteva avere alcuno stimolo di sete. E a questi e ad altri oltranzisti, anche su altre posizioni, che il Papa dice che è arrivato il momento di aprirsi alla coscienza personale. Magari di capire che lasciar morire non nasce da una cultura della morte, ma dal suo contrario, dall’amore per la vita”.
Poche ore fa, all’Huffington post, lei sosteneva che il Papa non avesse detto nulla di nuovo, come mai?
“In effetti, è stato solo il vostro invito a dare una lettura più attenta all’intero testo a non farmi fermare alla parte che riguardava la proporzionalità delle cure. Cioè, la proporzionalità è stata invocata troppo volte a sproposito e la conseguenza è che mi scatta una reazione di pancia. Perché noi genitori eravamo in mezzo al deserto, finché non ci sono state le sentenze della Cassazione e del Consiglio di Stato. La grandezza della problematica è tale che ha fatto dire “la sua” per la prima volta anche a un Papa”.
Vediamo quelli “cattolici” che dicono: “nulla di nuovo” che non sia già presente nel magistero. Il gran turiferario Tornielli scrive (QUI) (citato come fosse un oracolo da padre Livio a Radio Maria nella rassegna stampa del 17-11-17 dal min. 14):
La questione non può essere qui ridotta soltanto a qualche ripresa interessata da chi volontariamente o involontariamente finisce per strumentalizzare il Papa per portare acqua al mulino delle proprie posizioni. C’è qualcosa di più. Ci si può infatti legittimamente chiedere se questo effetto «novità» non sia anche l’esito di decenni di contrapposizioni ideologiche sui temi etici e più sensibili. Contrapposizioni spesso urlate, che hanno avuto l’effetto di provocare incomunicabilità.
Quell’incomunicabilità che traspare da certi attacchi mirati a tutti coloro che promuovono dialogo e confronto, senza dimenticare l’insegnamento della Chiesa su questi temi ma anche senza preclusioni. Le agende aperturiste imposte a suon di colonizzazioni ideologiche (con le loro sponde mediatiche) hanno finito per provocare reazioni talvolta scomposte e persino parossistiche. Ed è così sembrato che per certi cattolici ormai nessun caso potesse rientrare nei canoni dell’accanimento terapeutico.
Ecco perché le parole del Papa possono contribuire a riequilibrare la situazione e a favorire spazi di confronto, come pure a riscoprire pagine del magistero messe un po’ in ombra.
I grassetti sono nel testo originale. Englaro e Tornielli sono concordi nel bastonare coloro che “senza se e senza ma” hanno difeso e difendono la vita umana: questa è certamente una buona base per il dialogo tra di loro! Englaro e Tornielli hanno trovato l’accordo per battere i pro-life, come Erode Antipa, il sinedrio e Pilato per crucifiggere Nostro Signore Gesù Cristo.
Evidenzio il passaggio di Tornielli: “per certi cattolici ormai nessun caso potesse rientrare nei canoni dell’accanimento terapeutico”. Come sempre frasi apodittiche contro i cattolici pro-life senza circostanziare la questione, il perché ed il percome.
Avvenire sfrutta l’occasione per aprire al testamento biologico (QUI):
A volte i dibattiti fra esperti di bioetica sembrano un’esercitazione che incrocia princìpi, assiomi, visioni, sistemi, talvolta sfocando la concretezza delle infinite variabili delle vicende umane del vivere e del morire. E forse non c’è un rasoio di Occam che tutto riduca all’uniformità dell’agire. Mettere in una legge le regole non è facile, ma farlo è doveroso, nel modo il più possibile condiviso. L’ultima parte della lettera vi fa cenno, auspicando un clima «di reciproco ascolto e accoglienza», con il compito di proteggere ogni essere umano e in primis i più deboli.
Viene d’istinto rammentare che in Italia c’è una proposta di legge (sulle Dat) molto discussa, in stallo. Non v’è uniformità di giudizi; ma ciò che è imperfetto potrebbe essere migliorato, corretto, reso adeguato, invece che accantonato senza fine. L’etica è una guida preziosa per esprimere il bene, non per tacerlo; preziosa ed esigente, perché vuole che sia il bene. Ci proviamo? C’è spazio, nella riflessione giuridica, per un briciolo di quel lievito, di cui parla il Papa? Un po’ d’amore, ognuno come gli è proprio. E di giustizia.
Alla faccia di padre Livio, che ritiene assurdo che il papa chiedesse la legge…
Anzitutto, qual è l’oggetto del meeting a cui Francesco ha spedito il messaggio?
“Eutanasia nei paesi Bassi: bilanciare autonomia e compassione”, questo è il titolo della sessione del convegno organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita insieme alla World Medical Association. La World Medical Association non è un ente o un’associazione in qualche modo legata alla Santa Sede, ma è una laicissima associazione di medici. Alcuni suoi membri, come Benedetta Frigerio ha già avuto modo di illustrare colonne della NBQ qualche giorno fa (QUI), sono infatti a favore di eutanasia e aborto.
Prima stranezza. Il titolo richiama la mattanza provocata dall’eutanasia in Olanda e Belgio ed il centro del messaggio è l’accanimento terapeutico!? Non solo si è persa un’occasione di rimarcare la verità sull’eutanasia, ma il messaggio genera di per sé confusione, come se tutto fosse accanimento terapeutico e non esistesse più l’eutanasia passiva. Proprio l’opposto della citata asserzione del Tornielli.
Giusto per chiarire i termini, vediamo la definizione di eutanasia:
“intervento intenzionalmente programmato per interrompere in maniera diretta e primaria una vita, quando questa si trova in particolari condizioni di sofferenza o di inguaribilità o di prossimità della morte”.
L’aspetto che più genera confusione è la distinzione tra eutanasia attiva e passiva, usata sia dagli addetti ai lavori sia sulla stampa. Chi accetta questa distinzione ritiene che con l’eutanasia attiva si debba intendere un’azione che realizza l’intenzione uccisiva, mentre con il termine di eutanasia passiva ci si riferisce all’induzione della morte dovuta a omissione di sostegno clinico. La distinzione è fuorviante: l’eutanasia è l’introduzione intenzionale, attraverso un’azione od una omissione, di un nuovo processo di morte, parallelo più veloce (o addirittura immediato) rispetto a quello della malattia. Esiste, poi, l’eutanasia volontaria, quella esplicitamente e reiteratamente richiesta dal paziente; quella non volontaria, quando la volontà del paziente non può essere espressa, perché si tratta di persona incapace ed infine esiste anche il caso di eutanasia praticata contro l’espressa volontà del paziente, definita in lingua inglese involuntary.
Si parla di accanimento terapeutico quando si sottopongono i pazienti a terapie importanti (operazioni chirurgiche, tecniche di rianimazione, somministrazione di farmaci, ecc.) che comportano sofferenza e isolamento in prossimità della fine, con lo scopo di prolungare la vita in modo forzoso e macchinoso, e solo per breve tempo.
Dalle definizioni è chiaro che è impossibile confondere eutanasia e accanimento terapeutico, a meno di non estendere impropriamente il campo di azione dell’accanimento terapeutico alle cure ed ai supporti medici palliativi sempre dovuti al malato, che non lo guariscono ma lo mantengono in vita. È qui che si gioca tutta la questione, è qui che regna sovrana la confusione: si vuole far sì che l’eutanasia passiva diventi evitato accanimento terapeutico. Per questo l’accanimento terapeutico è il cavallo di Troia dell’eutanasia in forma passiva, ma che una volta introdotta vedrà rapidamente e logicamente l’introduzione anche di quella attiva.
E qui entra in gioco, quello che ha veramente detto Francesco. In che posto si colloca il messaggio al convegno? Opera la giusta distinzione tra eutanasia e accanimento terapeutico?
Entriamo nel merito. Attenzione alla frase solo apparentemente innocua:
“Gli interventi sul corpo umano diventano sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute. Occorre quindi un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”.
Questa frase, anzitutto, non è mai appartenuta al magistero della Chiesa, ma sancisce la novità terribile di fare rientrare gli interventi palliativi, come il respiratore artificiale o la nutrizione tramite Peg, nella fattispecie dell’accanimento terapeutico.
Il respiratore o la Peg possono svolgere bene il loro mestiere per il corpo, ma non sulla persona, qualunque cosa significhi. Ma l’atto del distacco del ventilatore porta a morte quasi istantanea, il distacco della Peg la morte per inedia, ossia la morte arriva prima e non per la malattia di cui soffriva il paziente, che è proprio la classica definizione di eutanasia!
In sostanza, il respiratore che teneva in vita Charlie o Welby si può staccare se il paziente lo desidera: fa bene al corpo, ma non alla persona che lo può rifiutare per suoi insindacabili motivi. Pertanto, l’uccisione di Charlie o il suicidio di Welby sono stati un lecito comportamento contro l’accanimento terapeutico. IL CHE E’ PALESEMENTE FALSO.
Nella bioetica, come nella teologia, le sfumature sono importantissime. Nella frase del messaggio manca un “sempre”, come argutamente notato da T. Scandroglio sulla NBQ (QUI):
In breve al passaggio già menzionato, «gli interventi sul corpo […] possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute», occorreva aggiungere un “sempre”: «gli interventi sul corpo […] possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale sempre a promuovere la salute», perché in particolari circostanze tali interventi seppur adiuvanti o sostitutivi di funzioni biologiche possono configurare accanimento terapeutico.
Queste NON sono questioni di lana caprina, perché l’assenza di quel sempre di fatto sdogana l’eutanasia, ampliando in modo errato il concetto di accanimento terapeutico. È un passo nella direzione dei sostenitori dell’eutanasia, per i quali «non sarebbero eventuali trattamenti gravosi e inutili a costituire una forma di accanimento, ma sarebbe un accanimento il fatto stesso di mantenere in vita un morente o un malato grave» (C. Navarini, Eutanasia, in T. Scandroglio, Questioni di vita o di morte, Ares).
Un passo necessario al dialogo per trovare zone condivise per una futura legge? Certamente, nella lettera c’è l’apertura alla legge sul fine vita. Leggiamo:
In seno alle società democratiche, argomenti delicati come questi vanno affrontati con pacatezza: in modo serio e riflessivo, e ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise. Da una parte, infatti, occorre tenere conto della diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto e accoglienza. D’altra parte lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti, difendendo la fondamentale uguaglianza per cui ciascuno è riconosciuto dal diritto come essere umano che vive insieme agli altri in società”.
Più tristemente chiaro di così si muore. Come si può “tenere conto della diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto e accoglienza”, quando esse sono incompatibili? Parole che sanno di relativismo, come se la risposta al problema della liceità dell’eutanasia dovesse sorgere da una specie di trattativa o compromesso quasi politico tra concezioni morali opposte o contrarie - facciamo conto quella cristiana e quella idealista -, così da accordarsi su di una posizione mediana, nella quale ciascuna delle due parti concede qualcosa all’altra. Cosa significa “d’altra parte lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti”? Tutti? Anche i Beppini Englaro o le Mine Welby?
Questo sarebbe un cedimento all’eutanasia, perché la risposta a una questione morale come questa pone in gioco un principio ben preciso, che è quello della salvaguardia di un valore assoluto come quello della vita. E allora la risposta non può essere un punto medio tra vita-sì e vita-no, che violerebbe il principio del terzo escluso, ma dev’essere un sì assoluto alla vita e un consentire l’avvento della morte, solo quando essa sopprime la vita non perché volontariamente provocata, ma perché le forze della vita, che la medicina non riesce più a sostenere, sono naturalmente vinte dalle forze della morte.
Ma, allora, quali sono le soluzioni il più possibile condivise? Anche la legge 194 sull’aborto è considerata “legge condivisa” in campo democratico, addirittura la migliore possibile! La legge DEVE essere al servizio della VERITA’, non del relativismo etico!
Ho scritto questa mia riflessione con il dolore nel cuore, ma tanto imponeva la mia coscienza.
Andrea Mondinelli