Etica e affari

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Il cardinale Carlo Caffarra ha affrontato questo problema, sotteso agli interrogativi di Benedetto XVI, il 15 novembre a Bologna. Si è rifatto a Leopardi: “Se l’idea del giusto e dell’ingiusto, del buono e del cattivo morale non esiste o non nasce di per sé, nell’intelletto degli uomini, niuna legge di niun legislatore può far che un’azione o un’omissione sia giusta né ingiusta, buona né cattiva. Perocché non vi può esser niuna ragione per la quale sia giusto né ingiusto, buono né cattivo, l’ubbidire a qualsivoglia legge, e niun principio vi può avere sul quale si fondi il diritto che alcuno abbia di comandare a chi che sia” (Zibaldone 3349 – 3350).
Se la richiesta di (nuove) regole è seria, essa deve prevedere ed assicurare la loro esecutorietà. Ora, l’esecutorietà di esse non dipende dalle regole stesse, ed ancora meno da sistemi di rafforzamento esogeno, ma dalla costituzione morale del soggetto cioè dalla via più difficile, senza scorciatoie ideologiche o utopistiche, bisognosa di infinita pazienza, di tempi talora lunghissimi: la via della maturazione delle coscienze. Solo una riflessione etica “in prima persona” sarà capace di dialogare con l’economia. Non ne è capace un’etica della “terza persona”. La prima figura di etica – “in prima persona” – studia la condotta umana dal punto di vista del soggetto agente, cioè in quanto essa è progettata e realizzata dal soggetto che ne è l’autore in vista di una vita buona. La seconda figura – “alla terza persona” – studia la possibilità e l’individuazione delle regole che governano l’agire umano, ma prescindendo dal soggetto che agisce e progetta la sua vita. Ritiene infatti la considerazione di questa, fonte di divisioni sociali (Hobbes, Locke), o come puramente soggettiva (Kant); comunque razionalmente intrattabile.
La prima figura, parzialmente elaborata dalla classicità greca, ma ripresa come valore universale dal pensiero cristiano che vede in ogni essere umano concreto non solo un individuo secondario in rapporto all’uno e universale, alla politica e all’impero, bensì una persona sempre fine e mai riduttivamente mezzo per altri o per altro. In questo passaggio dall’individuo, trattabile alla “terza persona”, sta tutta la tensione della “rivoluzione” dall’antichità al cristianesimo, dal platonismo alla fede. Ogni essere umano determinato non è affatto secondario. In quanto minimo, esso è un massimo; in quanto unico e irripetibile, esso è una realtà suprema e autentica da trattare “in prima persona” come figura etica cioè soggetto agente di una vita buona. Queste decisioni di fondo devono essere integrate in tutte le culture perché riguardano il rapporto della fede con la ragione umana come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità a fondamento di un’etica universale di bene comune, conformi alla natura di ogni uomo che la modernità ha rivendicato nella sua centralità e libertà, conforme alla tradizione cristiana. Questo connubio di fede e ragione è stato, però, rifiutato dalla modernità illuminista e laicista della sola ragione, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenuto superfluo ed estraneo: cioè anche se c’è non c’entra con la vita come afferma l’ateismo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza di questa cultura moderna, che era una rivendicazione meravigliosa della centralità dell’uomo e della sua libertà, di ogni persona. L’etica viene condotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con ‘esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso, “in prima persona”. Non è difficile vedere come questo tipo di cultura rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell’umanità: non sia quindi in grado di instaurare un vero dialogo con le altre culture, nelle quali la dimensione religiosa cioè la ricerca del senso di ogni vita è fortemente presente, oltre a non poter rispondere alle domande fondamentali sul senso e sulla direzione verso il futuro. Perciò questa cultura, che punta alla globalizzazione è contrassegnata da una profonda carenza senza poter governarla, ma anche, in questo momento da un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza.
Contro la dottrina etica alla “prima persona”, comune all’Occidente fino al XVI secolo, si oppone la dottrina etica secondo la quale la regola ha la sua origine esclusivamente dal consenso delle parti, le quali devono prescindere dalle loro concezioni di vita buona. Non per caso è stata questa teoria etica la principale responsabile della separazione fra etica ed economia, dal momento che essa ha fondato e giustificato la tesi secondo la quale il mercato si autolegittima. Esso infatti è il luogo in cui gli agenti sono liberi di scegliere e perciò liberi di acconsentire alle conseguenze derivanti dalle loro scelte: è il consenso che rende giusto! L’aver posto alla base dell’obbligazione etica il consenso, è una conseguenza del ritorno alla visione individualista precristiana dell’uomo, del capovolgimento della stessa modernità alle sue origini cristiane. Secondo questa visione infatti ogni uomo non è originariamente da Dio Padre e destinato come figlio nel Figlio a Lui: trascendente l’origine e il fine comune e quindi fratello e libero, sociale per natura. Esso si associa per libero consenso. E’ la contrattazione l’unica forma dell’associarsi fra gli uomini. Pertanto fondamentalmente solo la giustizia commutativa e la giustizia legale, non certo quella generale: l’una esige il rispetto degli obblighi contrattati (= fosti d’accordo, ora sei obbligato a mantenere gli accordi”); l’altra esige la dittatura delle regole che disciplinano la libera contrattazione. Un’idea di bene comune, fondamentale per ogni etica universale capace di governare la globalizzazione e di finalizzare la finanza all’economia reale, non è neppure pensabile in questo contesto.
Come è noto il grande teorico della teoria (neo-) contrattualista è stato J. Rawls: Uno dei principi che giustificano la detta teoria è che i vincoli, le regole che governano il mercato e le contrattazioni, siano da tutti condivisi o comunque se conosciute, sarebbero da tutti condivise. Già Agostino nelle sue profonde analisi della libertà umana aveva però accuratamente distinto possibilità di scegliere dalla capacità di scegliere. Poiché tratta un problema teologico, faceva la distinzione fra il poter non peccare (= possibilità di peccare o non peccare) e il non poter peccare (= la capacità effettiva di non peccare). Da ciò deduceva che la grazia di Cristo non negava la libertà, ma semplicemente la rendeva capace di scegliere. La capacità di usare la propria liberà rientra nella sua definizione. L’uso fa parte della definizione.
Orbene, non bisogna essere grandi economisti per sapere che nelle nostre economie di mercato spesso c’è la possibilità di scelta, c’è assenza di costrizioni (nessuno obbliga un genitore ridotto alla miseria a vendere un organo del suo corpo per risolvere i suoi problemi), ma non la capacità di scegliere, come risulta dal fatto che la stessa persona non acconsente alle conseguenze della scelta, ma le subisce (il genitore non acconsente alle conseguenze spiacevoli del fatto che ora sarà con un rene solo).
Il libero mercato deve essere veramente libero. Ed è tale se chi lo fa, è persona libera: il mercato, in quanto luogo in cui gli agenti sono liberi di scegliere e quindi di acconsentire alle conseguenze delle loro scelte, non è in grado di autolegittimarsi, perché semplicemente non è quasi mai vero il presupposto dell’autolegittimazione. E pertanto, se il mercato non è in grado di autogiustificarsi è necessario ricorrere all’etica.
Ma quale etica? I sistemi etici sono tanti. Storicamente la grande rivoluzione cristiana è stata il passaggio da un’etica individuale alla terza persona ad un’etica alla prima persona. Urge, visti i fallimenti di quest’etica individualista alla terza persona, tornare alla prima, perché la sola capace di instaurare un dialogo vero con l’economia, di poter governare la globalizzazione e di finalizzare la finanza al servizio dell’economia reale. Questa l’intuizione del Magistero sociale della Chiesa da Paolo VI in poi: la globalizzazione non va condannata ma governata, e la finanza deve essere al servizio dell’economia reale.
Il modo di essere proprio delle persone è costitutivamente relazionato alle altre persone. Nessuna persona è in questo senso solo un individuo ma per natura sociale
La relazione si costituisce nel riconoscimento dell’altro come persona avente la stessa dignità della propria persona: in quanto minimo, esso è un massimo, in quanto unico e irrepetibile, esso è una realtà suprema e autentica. “Non fare all’altro ciò che non vorresti fosse fatto a te - ama ogni altro come te stesso”, è la regola aurea inscritta nella natura stessa di ogni persona umana.
Le due parole “genere animale” e “genere umano” hanno significato denominativo diverso. Mentre la prima denota semplicemente un insieme di tanti individui appartenenti alla stessa specie, la seconda denota e la famiglia- comunità e ciò che fa di ogni membro di essa una persona. Umanità denota cioè non un insieme di individui appartenenti alla stessa specie, ma una comunità di persone legate dal vincolo del riconoscimento.
Il termine “prossimo” (superlativo di “prope”, vicino) significa questo legame originario. Anche altri termini denotano “prossimità” come cittadino, coniuge, nazione… Ma mentre il primo termine denota la interrelazione della stessa Umanità; gli altri termini denotano la modalità in cui la prossimità si realizza. L’essere prossimo e l’essere membro di una comunità si compenetrano reciprocamente. Questa compenetrazione è sia di ordine oggettivo che di ordine soggettivo. Di ordine oggettivo: il prossimo è sempre membro di una certa comunità (famiglia, nazione, Stato…) e i membri di una certa comunità sono prossimo. Di ordine soggettivo: l’agire con i membri della stessa comunità (della stessa famiglia, della stessa città…) deve giungere fino all’umanità di ogni uomo. Separare cioè la realizzazione del bene della comunità dal bene di ogni uomo è una menzogna (nega la verità di ogni uomo) ed un’ingiustizia (non rende ad ogni uomo ciò che è di ogni uomo).
L’interpretazione che Gesù dà nella parabola del Samaritano della regola aurea, cui dovrebbero sempre eticamente rifarsi i due miliari di cristiani e il miliardo e mezzo di musulmani, più del 50° della popolazione mondiale (amerai il prossimo…) ci fa comprendere il profondo significato di “prossimità”. Il sistema di riferimento “il prossimo” esprime l’interrelazione tra tutti gli uomini sulla base della loro semplice umanità, mentre il sistema di riferimento “membro della comunità”, non svela ancora questa interrelazione.
Il samaritano si rapporta al ferito uscendo dalla sua determinazione di appartenere ad una etnia, cosa che non fa il sacerdote né il levita.
Se ora rileggiamo il testo della Centesimus annus ne comprendiamo meglio il significato. La “comunità mercato” con le sue regole proprie non può essere sradicata dalla comunità posta in essere dall’interrelazione di umanità. Non tutti i bisogni sono “solvibili” né tutte le risorse sono semplicemente “vendibili”: l’umano come tale non ha prezzo perché ha una dignità.
Comprendiamo meglio come il mercato non debba essere lasciato alla su autosufficienza ed autolegittimazione: esso è strumento, oggi necessario, per il fine che è il bene comune. E fra bene comune e bene individuale esiste una integrazione gerarchica. Non si tratta di una reciproca limitazione: l’ uomo come” membro della comunità mercantile” limiterebbe l’uomo “prossimo” e alla “regola d’oro” andrebbe sostituita la regola “rame”: “fai all’altro ciò che l’altro fa a te”Integrazione gerarchica significa che il sistema di riferimento “prossimo” ordina dall’interno il sistema” mercato”
Solo una profonda attitudine di sobrietà e di solidarietà, valori evangelici, valori universali, che trovano espressione nel comandamento dell’amore del prossimo, della civiltà della verità e dell’amore, è in grado di subordinare dall’interno il mercato al sistema di riferimento “prossimo”, cioè all’etica del bene comune che può governare la globalizzazione e finalizzare la finanza all’economia reale. Questa subordinazione è opera della “giustizia generale”, la chiamavano gli eticisti: la permanente disposizione ad ordinare il proprio interesse privato al bene comune. E aggiungevano che era soprattutto necessaria in chi governa gli Stati.
“La conclusione quindi – conclude il cardinale Caffarra – non è di mettere in discussione né il mercato come tale né il mercato a struttura capitalista. Esso al contrario è da salvaguardare, contro eventuali tentazioni di marca neo – statalistica e neo corporativa. Si tratta di una crisi più antropologica che economica. In un duplice senso. E nel senso che la riduzione della razionalità alla razionalità utilitarista, porta alla creazione di una ricchezza solo virtuale. E nel senso, anche e soprattutto, che non si può mai dimenticare che l’uomo ha bisogni e moventi più profondi del solo profitto anche quando e nel momento in cui è uomo economico”.
La vera radice dell’alienazione dell’uomo consiste nella separazione del sistema “prossimo” dal sistema “membro della comunità mercantile” e nella loro contrapposizione. L’uomo si aliena, si estranea da se stesso quando sostituisce la regola di rame alla regola d’oro. Quando l’uomo sradica il mercato dall’interrelazione di tutti gli uomini nell’umanità come principio di ogni comunità, perde se stesso e vedrà sempre il proprio bene in concorrenza col bene comune. E alla fine dimentica i suoi bisogni reale.
Ciò che ha generato l’alienazione è stata la visione individualista dell’uomo: è questa la nostra malattia mortale. Il ritorno in economia alla relazionalità è la via da percorrere. Riportare dentro l’economia la visione relazionale di ogni persona e quindi la centralità della categoria del bene comune come etica, è un’impresa e una sfida che non possono essere sostituite da nessuna scorciatoia ideologica o utopistica, sono un’impresa bisognosa di infinita pazienza, di tempi talora lunghissimi ma non più eludibili. E’ questa la condizione per far sì che il mercato diventi luogo di umanizzazione dei rapporti interpersonali e strumento di progresso sociale.