La Conchiglia e il Pellegrino

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Nello stemma di papa Benedetto XVI c’è il simbolo della conchiglia, un simbolo dal duplice significato, come ha spiegato lo stesso Pontefice. Da un lato esso rimanda al celeberrimo episodio di sant’Agostino che vide un Bimbo intento a “travasare” il mare nel suo secchiello per mezzo di una conchiglia. Alla domanda stupita del dottore della Chiesa, il Bimbo - Gesù stesso - disse che così com’era utopica quella sua impresa, altrettanto lo era quella affrontata da Agostino di scandagliare, cioè, il mistero trinitario con la sola luce dell’intelletto. Dall’altro lato il simbolo della conchiglia rimanda al pellegrinare della Chiesa che trova nel cammino di Compostela una parabola efficace anche per l’uomo moderno.
La Conchiglia del pellegrino ha viaggiato anche attraverso i secoli, affiorando qua e là, come simbolo iconografico, all’interno di numerose tele, bassorilievi, fregi. Un viaggio affascinante che sarebbe arduo delineare in poche righe. Lo vogliamo percorrere però a volo d’uccello, sostando in contemplazione di alcune opere che mentre rivelano il viaggio del simbolo ci informano anche sul cammino della Chiesa, il suo percepire se stessa e il Mistero che racchiude, lungo i secoli e i tempi.
La prima tappa ce a offre il grande Duccio di Buoninsegna (Figura 1) che nel tergo della Maestà di Siena fissa il colloquio di Gesù con i due di Emmaus. Duccio fotografa la scena sulla strada, nel momento in cui, giunti alla locanda, i discepoli dicono al divino pellegrino: Mane nobiscum domine! Rimani con noi Signore, perché si fa sera.
Cristo è lì, in piedi, addita la locanda e nasconde nella bisaccia la conchiglia dei pellegrini diretti a finis terrae. Si fermerà con i suoi dentro la locanda, ma solo per indicare loro nuove mete, nuovi orizzonti che la fede dovrà affrontare; mete e orizzonti che abbracceranno l’intero universo allora conosciuto laddove, appunto, la terra finisce e si apre il vasto mare dell’ignoto.
Quella di Duccio è una Chiesa ancora in cammino, la cui fede riposa nella persuasione che Cristo è vivo e Presente (la stessa Maestà celebrava la certezza che la vittoria è in mano alla fede). Una Chiesa che percepiva se stessa come la locanda sicura, capace di offrire asilo a quanti “fuori” arrancavano lungo le tortuose vie del mondo. Duccio ritrae, dunque, una Chiesa missionaria, in cui Cristo pellegrino sulle strade della storia addita all’uomo una meta sicura: la locanda, immagine della comunità cristiana.
Un Cristo pellegrino lo ritroviamo secoli dopo, nel 1600, in una tela del Nuvolone custodita nel Duomo di Monza (Figura 2). Qui Gesù è ritratto dentro la locanda, della fatica del viaggio non ci è dato di scorgere nulla. Qui il dubbio e lo sgomento non sono “fuori” sulla strada, bensì dentro le pareti della Chiesa.
Nuvolone non mette più a tema l’invocazione “Rimani con noi, Signore, perché si fa sera”, evidenzia piuttosto lo stupore per il rivelarsi della Presenza nel Sacramento.
lL dubbio di Berengario ha messo radici: la presenza di Cristo nell’atto celebrativo si è annebbiata e in questa tela il Nuvolone, da fervido credente, lo ribadisce con forza: “lo riconobbero allo spezzare del pane”. Le conchiglie campeggiano luminose sull’abito del Cristo: è Lui l’ospite divino che dimora nella locanda ed è ancora lui il missionario del Padre che, mentre rafforza i suoi nella fede, li spinge alla missione.
Ma c’è un altro autore, a tutti molto noto, di poco precedente al Nuvolone che ha ritratto la scena di Emmaus. Si tratta del Caravaggio e della celebre tela dipinta per il Mattei, ora alla National Gallery di Londra (Figura 3).
Questo artista, con il suo animo inquieto, la sua genialità e la sua vita disordinata, ha anticipato di quattro secoli il dramma dell’uomo contemporaneo. In lui cercheremmo invano la certezza di avere Cristo compagno di viaggio, propria del Nuvolone. Caravaggio sottrae a Cristo le insegne del pellegrino.
Gesù, al centro della tela, è colto nell’atto di benedire il pane, ma nulla lo può distinguere da qualunque altro uomo, neppure la classica barba, che gli è tolta. Solo l’abito, forse, lo distingue dagli altri. Tutti, infatti vestono secondo la moda del tempo, mentre Cristo porta tunica e mantello. Per Caravaggio Gesù è l’uomo di un passato lontano che misteriosamente si fa presente: non è facile comprenderlo, il suo lessico non è più quello del tempo, occorre mutare qualcosa, abito, cultura, linguaggio.
Ed è così che scorgiamo di nuovo il simbolo della conchiglia, non più appunto sull’abito del Risorto, ma su quello di uno dei discepoli, alla destra della tela.
Questo discepoli allarga le mani sopraffatto dallo stupore nel riconoscere il Crocifisso Risorto dentro la luce di un pane spezzato.
Per Caravaggio è l’uomo l’eterno pellegrino che dai confini della terra invoca Cristo. Lo cerca nella storia, lo vuole nel suo presente, ma non sempre è pronto a convertire lo sguardo, a riconoscerlo nel gesto debole di un pane spezzato e benedetto.
Il discepolo allarga le braccia, come le allargò il Signore sulla croce: l’uomo pellegrino lontano da Dio è anche l’uomo crocifisso, stanco per l’arsura della sete di un mezzogiorno implacabile che cerca ristoro nella locanda dell’amore e del perdono. Ed è forse proprio attraverso questo pellegrinaggio interiore, questo deserto dell’anima, come lo chiama papa Benedetto XVI, che l’uomo contemporaneo - così profeticamente descritto da Michelangelo Merisi - potrà spalancare il cuore al Mistero e riconoscere nel Pane Eucaristico quella Presenza di grazia che sazia la vita.