Le vocazioni in mano a Freud?

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Il 30 ottobre 2008 la Congregazione per l’educazione cattolica ha presentato il documento intitolato “Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nella missione e nella formazione dei candidati al sacerdozio”. Documento che ha avuto un iter pluriennale non del tutto chiaro, soprattutto nella sua fase conclusiva. Sono mancate infatti, come hanno osservato alcuni vaticanologi, le approvazioni esplicite e il confronto con la Congregazione della Dottrina Cattolica, con la Segreteria di Stato e con la Commissione per l’interpretazione dei testi legislativi. In ogni caso il Documento chiarisce che non intende affrontare problemi di carattere teologico o spirituale, ma dare dei contributi di orientamento pratico. Chi leggesse questo documento con un po’ di attenzione si renderebbe conto che è un documento molto scaltro.
Una scaltrezza che dice e non dice, o meglio, dice tutto, però è evidente a che cosa, in questo tutto, vada la preferenza di chi scrive.
Quello che si cerca da anni, da parte di certi psicologi, è:
1) aggirare e superare la assoluta proibizione della “manifestazione di coscienza” (can. 630,5: “vetantur autem Superiores eos (subditos), quoquo modo, inducere ad conscientiae manifestationem sibi peragendam”: questo canone riporta il canone identico n° 530,1 del Codice del 1917, il quale aveva tematizzato giuridicamente il Decreto “Quemadmodum”, di Leone XIII, del 17.XII.1890, fermissimo contro la “manifestazione di coscienza”. Da notare la espressione “quoquo modo”).
2) aggirare con vari artifici più o meno abili (che confondono la distinzione fondamentale fra “foro interno” e “foro esterno”) la assoluta proibizione di violazione della intimità della coscienza (can. 220: “Nemini licet ius cuiusque personae ad propriam intimitatem tuendam violare”. Da notare la espressione “Nemini”).
L’uso onesto della psicologia dovrebbe perciò essere invece riservato al servizio della persona (“foro interno”) e non già della istituzione (“foro esterno”): la distinzione fra “foro interno” e “foro esterno” è stata sempre ritenuta fondamentale nella Chiesa (vedansi le terribili censure contro la violazione del segreto confessionale o dei foro interno delle religiose e religiosi di clausura...)
È chiaro che non si dice che la psicologia e gli strumenti psicopedagogici siano determinanti per quanto riguarda il discernimento e addirittura la ammissione agli ordini. È indubbio però che il peso che praticamente prendono queste strumentazioni è molto grande e palesa come una antropologia, di tipo materialistico-fisicistico (si potrebbe dire una antropologia di tipo freudiano) possa addirittura condizionare il cammino spirituale e il discernimento vocazionale.
Ora quello che preoccupa è il peso pratico che l’ingresso di psicanalisti o di psicologi o di strumentazioni di carattere psicologico possono avere nello svolgersi dell’itinerario. Certo, potrebbero esser strumenti di ausilio atti a illustrare alcuni aspetti, alcune situazioni, alcuni condizionamenti che affliggono o accompagnano la vocazione, ma senza evidentemente aver la pretesa di essere il discriminante in ultima istanza. D’altro canto il pericolo di una antropologia di carattere materialista e evoluzionista-psicanaliticista esiste. Non sono poche le voci che in questi anni si sono levate sulla presenza massiva e determinante di psicologi nella vita dei seminari e addirittura negli esami ad ordines. Quindi c’è già un tentativo di subordinare il cammino spirituale e il discernimento spirituale delegando in qualche modo le decisioni a competenze di carattere laico o addirittura tecnicistico. Su questo punto sembra che il suddetto pericolo possa essere ulteriormente amplificato. Si afferma inoltre che questi esperti non entrano nell’ambito dei formatori e di coloro che hanno la facoltà di discernere e quindi di portare il candidato agli Ordini, ma è indubbio che l’esistenza di “schede” –documentazione delle cure psicologiche –, induce a porsi una serie di domande. Si tratta infatti, di schede su cui si capisce che debba essere mantenuto il segreto, ma non si capisce come possa essere mantenuto in situazioni dove formatori ed esperti sono gomito a gomito, dove fanno riunioni insieme, dove affrontano insieme la situazione personale dei candidati al sacerdozio e agli ordini sacri. Anche qui, sul piano pratico, esiste il pericolo che si perda quell’inviolabile diritto a difendere la propria intimità e quindi alla custodia che la tradizione seminaristica ha chiamato in questi secoli il “foro interno” (e che non deve neanche per un istante confluire nel cosiddetto “foro esterno”).
L’allora cardinal Ratzinger, in uno straordinario e lucidissimo intervento fatto al Sinodo del 1990, riproponeva i termini essenziali dell’uso di queste strumentazioni e competenze e tecnologie con una chiarezza fondamentale, corredata da una compiuta citazione del magistero della Chiesa e delle decisioni canoniche della Chiesa: «il c. 220 del CIC afferma “Non è lecito ad alcuno… violare il diritto che ogni persona ha di difendere la propria intimità”, non solo intellettiva, volitiva ma anche psicologica. E come gli orientamenti richiamano, a nessuno, neppure ai superiori diocesani o religiosi, è lecito entrare nell’intimità psicologica o morale d’una persona, senza averne avuto il previo, esplicito, informato e soprattutto assolutamente libero consenso.
Ecco perché vengono considerate illecite tutte le pratiche psicologico-proiettive e d’altro tipo, usate con i candidati alla vita sacerdotale e religiosa in occasione dell’ammissione e della permanenza in seminari e noviziati, se manca il previo e libero consenso dell’interessato, che non può essere estorto in alcun modo.
Altra attenzione, in conseguenza del can. 220, riguarda il mantenimento del segreto, al quale sono tenuti lo psicologo o lo psicanalista, dopo aver esplorato, con il consenso dell’interessato, l’intimità psicologica o morale di una persona. In questo senso va considerata illecita l’esibizione o la conservazione di schede e schedari riguardanti l’intimità d’una persona, perché ciascuno deve restare il solo depositario dei segreti della propria intimità, di cui deve poter decidere sempre liberamente. Eventualmente l’esaminatore, con il consenso dell’esaminando, può conservare per il periodo dell’esame o della cura annotazioni redatte in forma che, se casualmente dovessero pervenire in mano d’una terza persona, questa non potrebbe risalire all’esaminato».
Come nel caso di un’altra vicenda della Santa Sede relativa a una certa smanierata prefazione alla seconda edizione del volume di Gesù di Nazareth ci chiediamo: ma cosa sta succedendo in Vaticano? C’è qualcuno che vuole condizionare direttamente il Magistero e l’esercizio del potere del Santo Padre?