Associazione Cultura Cattolica

Epiclesi sulle Offerte

Emmaus, di R. M. Rilke
Autore:
Peraboni, sr. Maristella
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Non dal passo, per quanto Egli sicuro
venisse, pronto a accompagnarsi a loro,
e la soglia varcasse più solenne
che loro il colmo di virilità,
neppure quando al tavolo d'intorno
si sparsero, timidi preparando
tutto ed Egli, con aria rassegnata,
li guardava da quieto spettatore;
neanche quando furono seduti
pronti a conoscersi da convitati,
ed Egli afferrò il pane colle belle
mani esitanti, per far quanto scosse,
come panico timore il lor cuore
per un riferimento senza fine —
ma solo quando, illuminati, videro
com'Egli il poco cibo dividesse,
lo riconobbero. E trasalendo
in ginocchio tremavano commossi.
Poi vedendo che ancora Egli spartiva,
mani tremanti verso il pane tèsero.
(Rainer M. Rilke)

Siamo di fronte alla scena dei discepoli di Emmaus mostrataci da Rilke, per così dire, nella sua "battuta finale". Nel testo presentato, i due viandanti, infatti, hanno già percorso, accompagnati dal Signore, la strada che da Gerusalemme conduceva a Emmaus e, lungo il tragitto, hanno compiuto il loro cammino di fede.
Hanno cioè abbandonato le loro attese, troppo umane e troppo anguste, hanno ascoltato ed accolto la Parola, spiegata loro da Gesù e si sono, poi, seduti a mensa con Lui, riconoscendolo, in fine, allo spezzare del pane. La fede dei due discepoli, educata dal cammino compiuto con Gesù, è ormai matura. Essi giungono così all'incontro intimo con il Signore che dona loro il Pane della vita.
È proprio la scena di questo riconoscimento, di questo "attimo eterno", che Rilke ci descrive con tutto il fascino della sua opera poetica.
Ma seguiamo anche noi, "passo passo" questo cammino attraverso la "rievocazione" offertaci dal nostro autore.
"Non dal passo, per quanto Egli sicuro / Venisse, pronto a accompagnarsi a loro, / e la soglia varcasse più solenne / che loro il colmo di virilità". Curiosa ma bella e, perché no, oseremmo dire, anche simpatica, quest'immagine presentata da Rilke che ci mostra un Gesù "aitante", "sicuro di sé" e "deciso" seppure dolcissimo. Notiamo, infatti, quel "pronto a accompagnarsi a loro" che indica, a nostro avviso, la delicatezza di Gesù verso i discepoli. Modellando il Suo passo a quello dei due viandanti, Egli mostra di non voler "forzarne i ritmi" né "accelerarne i tempi". Il Signore "ci aspetta", si affianca a noi e cammina con noi rispettando e accettando anche i nostri limiti e il nostro "passo incerto", i nostri "passi tardi e lenti" come direbbe Petrarca (seppur con tutti i necessari "distinguo contestuali").
"Preparando tutto". È l'eterna tentazione dell'uomo: quella di voler "far tutto da sé", di voler "preparare tutto" facendo piani su piani, dettagliatissimi e umanamente curati nei minimi dettagli, senza lasciar posto all'operare di Dio che chiede, invece, all'umanità, di "collaborare" prendendo parte attiva al Suo Piano divino.
Ma anche qui, - nota il nostro autore - Gesù "non si scompone", pazienta e, mentre "con aria rassegnata, -stupenda questa notazione - / li guardava da quieto spettatore", attende il momento propizio "per far quanto scosse, / come panico timore il lor cuore / per un riferimento senza fine".
Per questo, solo "quando al tavolo d'intorno / si sparsero" e "furono seduti / pronti a conoscersi da convitati", "Egli afferrò il pane colle belle / mani esitanti". I movimenti, sembra suggerirci il poeta, sono volutamente "lenti". Sembra di assistere ad una scena girata al "rallenty" che, immettendo in un "tempo altro", apre lo spazio all'attesa, genera il mistero, prepara a quel "flash back eterno" grazie al quale i discepoli "illuminati, videro / com'Egli il poco cibo dividesse" e "lo riconobbero".
Solo "guardandolo" "nello spezzare il pane" i discepoli riuscirono a "vederLo" e, di conseguenza, "lo riconobbero". I loro occhi si aprirono e "trasalendo / in ginocchio tremavano commossi".
I due discepoli non riconoscono Gesù se non allo spezzare del pane perché sono delusi, sono andate "in fumo" tutte le loro attese messianiche: si aspettavano un "messia liberatore politico" e invece ritrovano a dover "fare i conti" con un messia sofferente, deriso e condanato dai capi del popolo e condannato alla più infamante delle morti. Ciò sembra a loro "inaccettabile" ed è per questo che si trovano chiusi in loro stessi, chiusi alla comprensione della "novità evangelica". "I loro occhi erano incapaci di riconoscerlo" perché "incapace di riconoscerlo" era il loro cuore (e, come si suol dire, gli occhi sono lo specchio dell'anima.
"Le stesse Scritture, ben note ai due discepoli giudei, sensibili alle speranze messianiche, rimangono sigillate e senza senso", scrive R. Fabris, poiché "la chiave di interpretazione della vicenda di Gesù, come delle Scritture, è il Signore risorto". Perciò, "se Gesù non si vede, non si palesa in mezzo a noi come il "vivente", è perché i nostri occhi sono incapaci di vederlo, perché i nostri cuori sono pigri e lenti a credere"… "Per riconoscerlo bisogna lasciarsi guidare da Lui nel rileggere la Parola di Dio,… bisogna condividere la mensa, spezzare il pane con Lui" … "A questo punto gli occhi si aprono per riconoscere la presenza del Risorto nella comunità dei fratelli".
Interessante, a riguardo dell'obbligatorietà di comprendere l'importanza della necessità delle sofferenze di Cristo per poter, poi, giungere a condividerne la mensa, è il pensiero di Gazzelle, il quale, dopo aver rilevato che "non una cosa, … mangio che non abbia gustato la morte" nota che anche Cristo doveva affrontare la Passione poiché "anche Lui doveva rendersi pasto / alle nostre anime" ma nota anche che, dopo la morte, il Signore doveva anche risorgere in quanto, Egli, è "il pasto che solo si mangia vivo / e che avrebbe guarito / dall'infermità della fame". Perciò conclude: "O Dio, … / concedimi, te ne prego, questo pane tutti i giorni, / prima che il cuore si disanimi".
A lui fa eco Emilio De Marchi che implora: "Sfamaci, o Padre, poi che il pan ci manca".
Ma la scena dei due discepoli di Emmaus presentataci da Rilke, (e con essa il percorso di fede che siamo chiamati a compiere) non è ancora conclusa e il poeta "ci informa" che solo "vedendo che ancora Egli spartiva", compresi nel "panico timore" (che potremmo, forse, anche identificare con il "S. Timor di Dio", dono dello Spirito Santo alla Chiesa e ad ogni credente), per il quale "trasalendo in ginocchio tremavano commossi", le "mani tremanti verso il pane tèsero".
Ed è, infatti, a "Gesù, il fedele, / il solo punto fermo nel moto dei tempi in sterminata serie di eventi" (così lo definiva Rebora) che anche Madre M. Maddalena si "ancora" e, nel suo atto di offerta e di unione, dice "Mi unisco pertanto a Te, Vittima santa e santificante, Pane vivo e vivificante, affinché Tu sia sempre in me e operi in me ciò che a Te piace … affinché in avvenire Tu stesso sia nell'Eucaristia la mia fede, la mia speranza, il mio amore, come pure la mia oblazione, il mio rispetto, la mia umiltà, l'unica mia riconoscenza e così per mezzo tuo adori, preghi ed eserciti le virtù cristiane e religiose".
Oggi come allora "Gesù risorto - prosegue Fabris - presiede ancora alla tavola di quanti lo invitano a restare, a fermarsi con loro".
Ma poiché, la presenza del Signore nella propria vita, non è un dono che possa essere "custodito gelosamente in sé stessi" e la gioia che nasce dall'incontro con il Risorto, è di sua natura "incontenibile e contagiosa" e chi ne fa esperienza, è inevitabilmente spinto a condividere e testimoniare il dono ricevuto in mezzo ai fratelli, ecco che i due discepoli, sebbene Emmaus fosse "distante circa sette miglia da Gerusalemme" (Lc. 24,13) e il riconoscimento di Cristo avvenga, come notano essi stessi, quando ormai "si fa sera e il giorno già volge al declino … partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane" (Lc. 24,29-35).
"La Parola, il Pane, la Professione di fede - nota ancora R. Fabris - sono i tre segni di riconoscimento del Signore e nello stesso tempo le tre tappe di un cammino che ogni comunità cristiana può fare confrontandosi con quello dei due discepoli di Emmaus".