Associazione Cultura Cattolica

3 - La ragione kantiana tra "fallimento" ed autenticità

Autore:
Vezzali, Mariano
Fonte:
Tracce - Litterae Communionis

Sembra che con gli esiti delle sue opere principali, Kant abbia svolto un'azione essenzialmente distruttiva nella cultura moderna: oltre a demolire la vecchia metafisica, egli ha anche dimostrato, in netta opposizione con l'illuminismo, l'impossibilità di una società perfetta che, nella storia, realizzi definitivamente le istanze più giuste dell'umanità razionale.
Non bisogna però dimenticare che, per altro verso, il pensiero kantiano ha avuto degli esiti pienamente costruttivi, rigorizzando i procedimenti scientifici nella Critica della ragion pura e riprecisando, in ambito politico, il ruolo dello Stato liberale.
Da questo punto di vista, Kant accoglie e compie tutti gli sforzi della cultura del suo secolo, sforzi volti alla costruzione di una scienza della natura metodica e progressiva, di una società più equilibrata, di uno Stato più giusto, ma considera che l'obiettivo di ciascuno di questi sforzi è parziale, e che l'azione dell'uomo non può mai raggiungere un traguardo definitivo in nessun campo: è giusto volere una scienza della natura fondata sul metodo matematico, ma è assurdo voler ridurre nei termini matematici di una conoscenza rigorosa tutta la vera complessità dell'essere; è giusto volere una società in cui ciascuno possa esprimersi liberamente ed in cui le differenze più importanti finalmente scompaiano, ma è assurdo che una società del genere possa essere raggiunta una volta per tutte e che l'uomo possa così fare a meno di quel faticoso progresso con cui può, ragionevolmente, guadagnare la via al meglio (non al bene); è giusto lottare per uno Stato che esprima la volontà dei cittadini (e per questo Kant ha accolto con entusiasmo la notizia della Rivoluzione francese), ma è assurdo pretendere che la politica, scienza del meglio, possa sostituirsi alla morale, dottrina del bene, perché il meglio può essere ottenuto con un lento progresso storico, mentre il bene, che pure ispira il progresso storico, può essere, nella sua perfezione, solo postulato oltre la storia.
Impostando quindi la sua filosofia sulla tensione razionale alla totalità, Kant non elimina nessuno dei legittimi sforzi compiuti dai suoi predecessori per il miglioramento della condizione terrena, ma li relativizza tutti ad un traguardo superiore che la Ragione stessa pone come necessario, per il compimento del quale ha però la coerenza di confessare la propria incapacità. Kant riesce così a fondere le aspirazioni di progresso che avevano avuto la loro espressione più forte nel movimento illuministico, con la permanenza di un ordine assoluto oltre la portata dell'azione umana, un ordine che non è oggetto di conoscenza ma di fede. Solo se la ragione possiede in se stessa un'aspirazione incondizionata alla totalità può infatti, curvandosi sul mondo storico, cercare di imprimere ad esso la maggior coerenza possibile e, inversamente, intende la propria azione storica e concreta soltanto come un aspetto della sua vera e più elevata destinazione.
La filosofia kantiana propone quindi il modello di una razionalità attenta sia al mondo storico che alla trascendenza, lontana da ogni accento irreligioso e trionfalistico e realisticamente cosciente del proprio limite.

Ma la trascendenza, che sola può dare risposta alle attese della ragione, è per altro verso dallo stesso Kant privata di ogni attestazione reale. L'abbandono di un linguaggio del segno, che avrebbe potuto dare al trascendente una consistenza aurorale, porta il soggetto moderno ad affrontare, dopo Kant, un'opzione decisiva: restare fedele ad una religiosità eroica, fondata solo sull'anelito soggettivo ad un assoluto pensato come totalmente altro rispetto al mondo, o mettere la trascendenza definitivamente tra parentesi.
La filosofia postkantiana documenta la scelta della seconda opzione, in base alla quale la storia verrà considerata come l'unico luogo in cui l'assoluto possa, in forza della progettualità e del potere umani, rivestire una forma (Stato etico, società industriale, società comunista), orgogliosamente, e disastrosamente, pensata come definitiva.