Il calendario del 25 Agosto
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Eventi
▪ 1609 - Galileo Galilei presenta il suo primo telescopio al Senato di Venezia
▪ 1718 - Viene fondata New Orleans (Louisiana)
▪ 1768 - James Cook inizia il suo primo viaggio
▪ 1814 - Washington, D.C. è bruciata e la Casa Bianca distrutta dagli Inglesi nella guerra del 1812
▪ 1825 - L'Uruguay dichiara l'indipendenza dal Brasile
▪ 1830 - Il Belgio si rivolta contro i Paesi Bassi
▪ 1864 - M. Beachroft, D. W. Freshfield, I.D. Walker, F. Devouassoud salgono per primi la Cima Presanella, 3.463 metri la montagna più alta del Trentino
▪ 1875 - Matthew Webb diventa la prima persona ad attraversare a nuoto la Manica
▪ 1912 - Viene fondato il Kuomintang, il Partito Nazionalista Cinese
▪ 1916 - Viene fondato lo United States National Park Service
▪ 1917 - Italia: a Torino rivolta spontanea degli abitanti contro la guerra e la fame. La repressione conta più di cinquanta morti
▪ 1920 - Guerra Russo-Polacca: finisce la Battaglia di Varsavia, iniziata il 13 agosto. L'Armata Rossa viene sconfitta
▪ 1923 - Casella: trovato un tesoro di 3000 monete databili tra il IV e il I secolo a.C.
▪ 1925 - Entra in servizio la prima tranvia del meridione (collegava Torremaggiore e Sansevero)
▪ 1940 - Primi bombardamenti a Coventry, nella seconda guerra mondiale
▪ 1944
- - Seconda guerra mondiale: Parigi viene liberata dagli Alleati (si veda Liberazione di Parigi).
- - L'Ungheria decide di continuare la guerra a fianco della Germania.
- - La Romania entra nella seconda guerra mondiale
▪ 1980
- - La Microsoft annuncia la sua versione di UNIX: Xenix.
- - Lo Zimbabwe entra a far parte delle Nazioni Unite
▪ 1981 - La sonda spaziale Voyager 2 raggiunge Saturno
▪ 1988 - Il centro storico di Lisbona viene distrutto da un incendio
▪ 1989 - La sonda spaziale Voyager 2 oltrepassa Nettuno
▪ 1991
- - Linus Torvalds chiede assistenza per la creazione di Linux con un famoso messaggio nel newsgroup comp.os.minix.
- - La Bielorussia si dichiara indipendente dall'URSS
▪ 1999 - Silvia Baraldini torna in Italia dopo aver scontato 17 anni di carcere negli Stati Uniti
▪ 2001 - Germania: a Dusseldorf un'équipe di medici riparano il cuore danneggiato da un infarto di un uomo di 46 anni con le cellule staminali del midollo osseo dello stesso paziente
▪ 2002 - Francia: l'autorità giudiziaria accoglie la richiesta di estradizione dell'Italia per l'ex brigatista rosso Paolo Persichetti
▪ 2003
- - 52 morti in due attentati eseguiti da terroristi islamici a Mumbai, in India.
- - Lanciato il Telescopio Spaziale Spitzer
▪ 2006 - Libano: il vertice europeo di Bruxelles stabilisce l'invio di 7000 militari nella parte meridionale del Paese
▪ 2009 - Muore Ted Kennedy, l'ultimo della generazione Kennedy.
Anniversari
▪ 383 - Flavio Graziano (latino: Flavius Gratianus; Sirmio, 18 aprile/23 maggio 359 – Lione, 25 agosto 383) fu imperatore romano dal novembre 375 alla sua morte.
Politica religiosa
Nel 380 promulgò l'editto di Tessalonica che dichiara il cristianesimo religione di stato. Dietro l'influenza di Ambrogio, vescovo di Milano, ordinò la soppressione dei collegi sacerdotali pagani (382) e la rimozione della statua della dea Vittoria (382), nonostante le proteste del Senato romano e dei patrizi pagani capeggiati dal senatore Simmaco.
▪ 1270 - Luigi IX di Francia, canonizzato e conosciuto come il Santo (Poissy, 25 aprile 1214 – Tunisi, 25 agosto 1270), fu re di Francia dal 1226 alla sua morte.
Quarto figlio di Luigi VIII e di Bianca di Castiglia, succedette al padre nel 1226, essendo già morti i tre fratelli maggiori. Il dodicenne sovrano mosse i suoi primi passi sotto l'egida della madre, che per alcuni anni assicurò con decisione la reggenza.
Dopo l'improvvisa morte del padre, infatti, Luigi venne rapidamente armato cavaliere (l'"adoubement" delle fonti) e consacrato re a Reims nella tradizionale celebrazione che prevedeva l'unzione con l'ampolla di olio santo, appena in tempo per affrontare la rivolta dell'aristocrazia ostile alla reggenza della straniera regina-madre (Bianca era spagnola).
I primi anni da re
Bianca di Castiglia, infatti, dovette fare i conti con la feudalità più riottosa, sempre pronta a muoversi con profitto tra i re di Francia e d'Inghilterra, protagonisti da tempo di un difficile conflitto politico, militare e dinastico: tra i nobili, per potere territoriale e prestigio, si distinguevano i conti di Fiandra, di Bretagna e della Marche, i quali non sempre avevano garantito fedeltà a Parigi.
Inoltre, il re d'Inghilterra, le cui origini si collocavano nella regione francese dell'Anjou, conservava estesi possedimenti nel Sud-Ovest del paese, per i quali doveva omaggio feudale proprio al giovane re. Dopo una serie di accordi e di transazioni, Luigi sfuggì per poco a un rapimento organizzato e guidato dal conte di Bretagna (1227): furono gli stessi abitanti di Parigi a proteggerlo e ad accompagnarlo verso la capitale, sancendo la prima manifestazione popolare di simpatia nei suoi confronti e di solida fedeltà alle istituzioni monarchiche. Gli rimase vicino, invece, il conte di Champagne Tibaldo IV, forse il più influente (e ricco) dei vassalli regi dell'area settentrionale. Gli anni tra il 1227 e il 1230 furono molto difficili e videro Luigi impegnato in varie campagne militari, che si conclusero con successo.
Nel 1229 venne firmato l'accordo di Meaux con Raimondo VII di Tolosa, il più pericoloso dei baroni meridionali; contestualmente all'accordo, venne stabilito il matrimonio tra una delle figlie del conte e il fratello minore di Luigi, Alfonso di Poitiers: questa eredità avrebbe garantito alla corona un accesso diretto al Mediterraneo, sulle cui rive sarebbe sorto l'approdo di Aigues-Mortes, dal quale Luigi IX sarebbe salpato per l'Oriente.
L'unione, inoltre, affermò gli interessi della Francia capetingia nel mezzogiorno del paese, a pochi anni di distanza dalla fine della crociata contro gli Albigesi, che tra molte sofferenze e feroci rappresaglie aveva determinato la fine dell'originalità religiosa del Midi. Nel 1230, all'assemblea feudale di Melun, quasi tutta la feudalità del Regno si radunò al cospetto del giovane sovrano, in segno di evidente omaggio e oggettiva subordinazione. Nel 1234 Luigi sposò Margherita di Provenza, figlia del conte Raimondo Beringhieri V, dal 1209 conte della Provenza e personaggio di spicco del tempo. Margherita proveniva da una stirpe di consolidata importanza anche per la storia letteraria e in genere culturale dell'intero mondo francese medioevale, vista la buona accoglienza che l'aristocrazia provenzale aveva riservato per quasi due secoli ad artisti e poeti.
La religiosità
Negli anni compresi tra la giovinezza e la partenza per la Crociata, il re affrontò anche questioni legate alla sfera ecclesiastica, come lo "sciopero" degli studenti all'università di Parigi, provocato dagli scontri che avevano coinvolto i "clerici", che frequentavano le aule dei conventi situati sulla riva sinistra della Senna, e gli abitanti della città, per poi provocare una secessione che avrebbe portato alla fondazione dell'università di Orléans.
Del resto, gli stessi pontefici romani vedevano con diffidenza sia l'insegnamento del diritto accanto alla teologia (a Parigi gli studi giuridici erano stati interdetti già nel 1219), sia la turbolenza degli studenti iscritti alla facoltà delle Arti, nelle quali si stava affermando un pensiero filosofico più libero.
Luigi riuscì a calmare gli animi, punendo i malfattori e confermando i privilegi ecclesiastici, fino a stabilire un prezzo calmierato per gli alloggi in città. Nei confronti delle autorità religiose, il re avrebbe mantenuto una condotta ferma e precisa, che non escludeva rispetto e devozione per la Chiesa, ma gli permise di frenare l'intervento dei vescovi in campo temporale, soprattutto in materia di giurisdizione; clamoroso fu il caso della disputa con il vescovo di Beauvais, che coinvolse un ampio numero di cittadini eminenti, praticamente deportati a Parigi, e si concluse solo dopo qualche anno, con la successione nella cattedra della città di un prelato più conciliante (1232-1240).
La profonda religiosità del sovrano si espresse nella ricerca instancabile di preziose reliquie, che affluivano nel tesoro regio e personale, costituendo motivo di venerazione popolare e di prestigio per la dinastia. Significativa fu la vicenda della corona di spine del Cristo, la cui acquisizione sfiorò il romanzesco: custodita a Bisanzio, in quel momento capitale di un regno latino circondato dai nemici greci e islamici, la corona venne offerta dal giovane sovrano Baldovino II (cugino di Luigi) in cambio di aiuti materiali; nel frattempo, però, i dignitari di Bisanzio l'avevano concessa in pegno ai mercanti veneziani a fronte di un ingente prestito. Per riscattarla, Luigi aveva impegnato somme davvero notevoli, e organizzò un trasferimento in Francia attraverso l'Adriatico e Venezia, dove la corona avrebbe sostato per qualche tempo, tra fastose celebrazioni popolari, finché, lasciata andare a malincuore dai veneziani, giunse nella capitale francese (agosto 1239). Per ospitarla degnamente, Luigi fece erigere nell'Île de la Cité uno dei gioielli dell'arte gotica settentrionale, la Sainte-Chapelle.
L'amministrazione del Regno
Assunto direttamente il governo, Luigi condusse una politica di organizzazione e di forte moralizzazione del nascente stato francese e delle sue istituzioni, proseguendo sulla scia dell'attività del nonno Filippo Augusto (1165-1223, re dal 1180): in particolare, Luigi IX promosse un'inchiesta sulle condizioni del governo nei suoi dominii diretti (1247-48), che fece condurre da coppie di frati domenicani e francescani: l'inchiesta, che descrisse una situazione preoccupante dovuta agli abusi perpetrati dagli agenti regi sulla popolazione urbana e soprattutto rurale, costituì non solo la premessa di rigenerazione morale e penitenziale alla vigilia della partenza per la Terrasanta, ma soprattutto la base per la riorganizzazione della struttura amministrativa del regno, opera che si sviluppò a partire dal ritorno di Luigi in Francia (1254).
Grazie al suo intervento, si definì meglio il ruolo del Parlamento come organo giurisdizionale e del Consiglio Regio come strumento di governo; migliorarono in pochi anni anche le istituzioni di controllo contabile e vennero giudicate inique le pratiche di giudizio non fondate sulla discussione delle prove (rimane celebre l'immagine del sovrano intento ad ascoltare le istanze del popolo parigino sotto la quercia del bosco di Vincennes, alle porte della capitale, dove i Capetingi possedevano una residenza). Dal 1256 in poi, con una serie di ordinanze, e con un singolare movimento dalla periferia al centro del Regno, Luigi IX stabilì funzionari residenziali per ogni circoscrizione territoriale (i balivi) e in ogni capoluogo di una certa importanza (i prevosti), inquadrati gerarchicamente e direttamente rispondenti al controllo regio.
Infine, dopo essere intervenuto contro gli usurai e il gioco d'azzardo (ma anche contro le comunità ebraiche, molto attive nella speculazione finanziaria, che a più riprese soffrirono pubbliche persecuzioni), mise mano alla riforma della città di Parigi, che in quegli anni aveva visto aumentare la propria popolazione fino a più di centomila abitanti.
L'amministrazione della capitale era stata fino a quel momento aggiudicata agli appaltatori che garantivano il maggiore gettito possibile dall'esazione fiscale, mentre la regolazione del commercio era affidata in primo luogo alle associazioni dei mercanti-importatori ("nautae parisienses"): il re affidò dal 1261 il ruolo di prevosto della città, con ampi poteri di polizia giudiziaria e commerciale, ad un funzionario di sua fiducia, Etienne Boileau, figura davvero mitica nella storia parigina; secondo il racconto di Jean de Joinville (Vie de Saint Louis, 1297), il prevosto agì energicamente, arrestando molti malfattori ed imbroglioni, organizzando la guardia della città e assicurando il buon andamento delle attività produttive e commerciali. Infine, tra il 1268 e il 1269, Boileau fece redigere una monumentale raccolta di leggi e consuetudini corporative, oggi nota come Livre des Mètiers, fonte preziosissima per la conoscenza del mondo del lavoro artigianale del pieno Medioevo, oltre che lista fiscale e documento di ricognizione dei poteri cittadini.
Questa ventennale attività di riforma e di organizzazione della vita sociale ed economica pubblica male si accorda con l'immagine oleografica del re santo e contemplativo, esclusivamente dedito alle pratiche penitenziali, che pure la pubblicistica ecclesiastica volle accreditare in funzione della sua canonizzazione (concessa da papa Bonifacio VIII nel 1297). In effetti, Luigi IX, al di là del suo profilo di sovrano medievale - dunque pienamente inserito nella rete di relazioni e di vincoli propri del tempo (e che lo avrebbero visto morire da crociato, lontano dal suolo francese) - si deve considerare uno dei padri dello Stato francese e capo politico di notevole intelligenza di governo, oltre che di alto profilo morale.
La politica estera
Anche la politica estera del suo regno fu attenta alle ragioni dell'equilibrio e della pace: nonostante l'iniziale successo (battaglie di Taillebourg e di Saintes, 21 e 22 luglio 1242), preferì giungere a un accordo con la monarchia inglese per il possesso delle regioni sud-occidentali della Francia.
Con il trattato di Parigi del 1259 si giunse ad una pace duratura: l'Aquitania restò in mano inglese (divenendo la base operativa per gli scontri successivi), mentre la dinastia capetingia ottenne il controllo definitivo della Normandia, occupata anni prima da Filippo Augusto. Anche nella lotta tra Innocenzo III e Federico II, Luigi IX preferì non assumere una posizione definita: questo atteggiamento può apparire contraddittorio per un sovrano che doveva apparire quasi un pupillo della Chiesa; non lo è se si pensa all'intransigenza con cui Luigi IX difese, come si è accennato, l'autonomia del regno dalle politiche della Chiesa di Roma, e se si comprende la sua capacità di contemperare una fede sincera, un ossequio ineccepibile agli esponenti degli Ordini (che talvolta lo stesso popolo parigino gli avrebbe rimproverato), e una notevole forza di decisione nelle scelte politiche.
La sua equità gli valse stima e pubblico riconoscimento anche fuori dalla Francia: fu infatti chiamato a risolvere con un arbitrato le controversie territoriali tra le dinastie comitali fiamminghe dei d'Avesne e dei Dampierre, e in Inghilterra la disputa tra Enrico III e i baroni in rivolta.
Suo fratello fu il celebre Carlo d'Angiò, il quale esercitò pressioni non indifferenti sulla monarchia per inserirsi nella successione imperiale e per appropriarsi del regno di Federico II; Luigi continuò a non interferire nelle questioni dell'Impero, tanto per affermare la propria solidità di re legittimato dalla continuità dinastica, quanto per tenere lontano il Regno francese da questioni non essenziali alla sua dimensione politica e territoriale.
In seguito, fu papa Clemente IV, di origine francese, a chiedere direttamente l'intervento dello stesso Carlo, investendolo della corona di Sicilia, che l'Angiò conquistò con la battaglia di Benevento (1266).
Le crociate
Luigi IX guidò due crociate (partite entrambe da Aigues-Mortes): la VII 1248-1254 contro l'Egitto ayyubide, dove, durante la quale, dopo la conquista di Damietta, nel 1249, perse il fratello Roberto d'Artois alla battaglia di al-Mansura, e, nella primavera del 1250, fu fatto prigioniero, per poi essere rilasciato dietro il pagamento di un riscatto; tuttavia, rimase diversi anni in Terrasanta per collaborare con le autorità latine del luogo e per rinforzare le difese del residuo territorio crociato, il cui destino era peraltro segnato (nel 1291 sarebbe caduta San Giovanni d'Acri, e con essa ogni speranza di uno stabile insediamento cristiano in Oltremare). Tragico fu l'esito della VIII nel 1270, condotta contro l'emirato di Tunisi (forse per volere di Carlo d'Angiò, che fu l'unico a trarne vantaggio, o forse per un errore di prospettiva geo-politica): Luigi morì in quei giorni, non di peste, come comunemente si crede, ma di dissenteria dovuta alla mancanza di acqua potabile. In ogni caso, furono entrambe crociate fallimentari, ma soprattutto nella seconda gli interessi delle repubbliche marinare e degli altri poteri insistenti sul Mediterraneo sembrarono prevalere sulla difesa della cristianità, mentre rifulgeva la figura del Re-penitente, oramai proiettato alla gloria degli altari; per questo, Luigi è sovente considerato l'unico sovrano che, al di là di ogni racconto agiografico, abbia perseguito un'interpretazione genuinamente religiosa delle spedizioni militari in Terrasanta. La Crociata, che già alla metà del XIII secolo appariva una questione superata, rappresentò per Luigi IX una forma di devozione religiosa e di compimento del mestiere di re.
Alla sua morte, il corpo, secondo l'uso del tempo, venne bollito e disossato: il cuore risalì la penisola italiana e giunse a Parigi, dopo un lungo viaggio di ritorno contrassegnato dall'enorme favore popolare e dal succedersi dei miracoli, a testimonianza della riconosciuta santità del re, accertata non dalle commissioni pontificie o dai calcoli politici, ma dal sentimento e dall'immaginario collettivi.
Come detto, Luigi IX fu canonizzato nel 1297 da Bonifacio VIII con il nome di san Luigi dei Francesi, ed è, insieme con santa Elisabetta d'Ungheria, Patrono dell'Ordine Francescano Secolare e del Terzo Ordine Regolare di San Francesco.
▪ 1776 - David Hume (Edimburgo, 26 aprile 1711[1] – Edimburgo, 25 agosto 1776) è stato un filosofo e storico scozzese e, con Adam Smith e Thomas Reid, una delle figure più importanti dell'illuminismo scozzese. Molti considerano Hume come il terzo ed il più radicale dei British Empiricists ("empiristi britannici"), dopo l'inglese John Locke e l'anglo-irlandese George Berkeley; questo raggruppamento di Hume, Locke e Berkeley, benché tradizionale, ignora l'importante influenza su Hume di vari autori francofoni, tra cui Nicolas Malebranche, Pierre Bayle, così come le varie altre figure sulla scena intellettuale anglofona quali Isaac Newton, Samuel Clarke, Francis Hutcheson e Joseph Butler.
Gli storici generalmente considerano la filosofia di Hume come una forma radicale di scetticismo, ma molti commentatori hanno sostenuto che il suo naturalismo non ha meno importanza. La ricerca su Hume ha teso ad oscillare con l'andare del tempo fra coloro che danno risalto al lato scettico di Hume (quali Reid, Greene ed i positivisti logici) e coloro che danno risalto al lato naturalista (come Don Garrett, Norman Kemp Smith, Barry Stroud e Galen Strawson).
David Hume nacque a Edimburgo, secondogenito di un possidente del Berwickshire, contea della Scozia meridionale. Nella stessa città intraprese gli studi di giurisprudenza, per compiacere alla famiglia; i suoi veri interessi, tuttavia, erano la letteratura e la filosofia. Nella sua autobiografia scrisse: Assai presto io venni afferrato da una passione per la letteratura che diventò la passione dominante della mia vita e che è stata per me una sorgente copiosa di godimenti. I suoi debutti come avvocato a Bristol non andarono a buon fine e ben presto scelse di trasferirsi in Francia, a La Flèche, dove restò tre anni, dal 1734 al 1737, e dove scrisse la sua opera più importante, il Trattato sulla natura umana, che verrà pubblicato dopo il suo ritorno a Londra, ma senza successo.
Ritornato in Inghilterra, pubblicò nel 1742 la prima parte dei suoi Saggi morali e politici. Quest'opera ricevette un'accoglienza più favorevole sia tra il pubblico sia tra gli intellettuali, ma non fu sufficiente per ottenere una cattedra di filosofia presso l'università di Edimburgo e nemmeno presso quella di Glasgow: probabilmente la sua nomea di ateo e la strenua opposizione del suo più forte critico Thomas Reid furono all'origine di questa mancata nomina. Ritornò quindi sul continente e, tra il 1745 e 1748, ottenne vari incarichi politici, recandosi fra l'altro alle corti di Vienna e Torino.
Nel 1748 pubblicò a Londra la Ricerca sull'intelletto umano. Nel 1752 ebbe un posto di bibliotecario alla facoltà di diritto di Edimburgo, impiego che gli lasciò molto tempo a disposizione per riflettere, indagare e scrivere: sono di questi anni la Storia d'Inghilterra, da Giulio Cesare fino all'ascesa di Enrico VII, e la Ricerca sui princìpi della morale. Nel 1757 pubblicò la Storia naturale della religione; un altro scritto su questo stesso tema, per molti il suo capolavoro stilistico, è Dialoghi sulla religione naturale, pubblicato postumo nel 1779.
Nel 1763 divenne segretario dell'ambasciatore d'Inghilterra a Parigi, città nella quale rimase fino al 1766. Qui ebbe l'opportunità di frequentare gli ambienti illuministi e conoscere il filosofo Jean-Jacques Rousseau, nonché essere ospite del barone Paul Henri Thiry d'Holbach all'epoca impegnato nella sua accanita battaglia antireligiosa. Tornato in Inghilterra, decise di ospitare Rousseau, frequentazione che però finì con una clamorosa rottura per incompatibilità di carattere e per il patologico delirio di persecuzione da cui era afflitto l'autore dell'Emilio. Oramai ricco, terminò serenamente la sua esistenza ad Edimburgo il 25 agosto 1776, morendo per un tumore intestinale.
Il pensiero
Il pensiero di Hume, nato sotto la luce delle correnti illuministiche del XVIII secolo, rimane ancor oggi rilevante per la filosofia contemporanea se paragonato ad altri suoi contemporanei. Hume mirava a realizzare una scienza della natura umana, dotata di quella stessa certezza e organizzazione matematica che Newton aveva utilizzato per la fisica, in cui compie un'analisi sistematica delle varie dimensioni della natura umana, considerata la base delle altre scienze. Con Hume la revisione critica dei sistemi di idee della tradizione giunge ad una svolta radicale. Egli delinea un modello empirista di conoscenza che si rivelerà critico verso l'illuministica fede nella ragione.
I limiti del pensiero umano
Ci sono, per Hume, due tipi di filosofia, una facile e ovvia, l'altra difficile e astrusa. Quella ovvia è esortativa, precettista, consolatoria e alla fine risulta fin troppo banale, l'altra è astratta, decisamente inservibile per la vita, perché orientata all'esaltazione di dispute interminabili; e spesso scade in una forma di "malattia metafisica" o sapere astratto perché pretende di conoscere l'inconoscibile. Hume raccomanda di superare ambedue queste forme del filosofare. Appare a lui evidente, come in una forma di intuizione, la possibilità di una "nuova strada" del sapere: fondare una "scienza esatta della natura umana".
Insomma, come funziona la natura umana, quale il meccanismo di formazione delle idee? È possibile essere scientifici nella conoscenza della nostra natura? La straordinaria intuizione lo sprona a scrivere la sua opera principale Trattato sulla natura umana con il significativo sottotitolo Un tentativo di introdurre il metodo sperimentale di ragionamento negli argomenti morali. È evidente che Hume è seguace di quel sapere baconiano inglese a cui si erano ispirati Locke e Newton e che non era stato del tutto estraneo alle grandi rivoluzioni politiche ed economiche che l'Inghilterra stava attuando. Bisogna che il metodo sperimentale non si adoperi solo per studiare i cieli o la realtà fisica, ma serva per comprendere meglio l'essere umano e la sua natura. Si amplia così quel gruppo di giovani inglesi che ormai credono ad "una nuova filosofia" (Locke, Shaftesbury, Mandeville, Hutcheson, lo stesso Berkeley), che, pur nella diversità di impostazione, vogliono fondare il loro sapere sull'esperienza e non sulle idee innate (aprioristiche deduzioni cartesiane). Tutto lo studio dell'uomo dovrà partire dall'osservazione concreta della sua natura, dall'analisi del sentimento più che della ragione e anche le valutazioni morali dovranno essere fondate su motivazioni naturalistiche più che su astratte idealità giusnaturaliste o religiose. Hume è in disaccordo dunque, con alcune teorie di Locke.
La critica del concetto di causalità
Ogniqualvolta si assiste a due eventi in rapida successione, è logico pensare che ci sia una qualche connessione fra i due eventi, e in particolar modo, che l'evento che viene cronologicamente per primo produca il successivo e che quindi l'evento A sia la causa dell'evento B. Hume rifiuta però questo punto di vista: infatti egli si domanda con quale procedimento e su quali basi si può desumere B, dato l'evento A?
Sul principio di causalità si basavano tutti quei procedimenti di "previsione" con cui ad un evento se ne fa seguire un altro teoricamente collegato al precedente. L'esempio famoso di Hume è quello della palla da biliardo lanciata contro un'altra: per qualunque osservatore apparirà sempre prima una palla che si scontra con un'altra e poi il mettersi in moto di quest'ultima. Così facendo tutti gli osservatori, dopo qualche lancio, potranno affermare che la seconda palla si muoverà vedendo soltanto la prima palla che viene lanciata verso di essa.
Hume tentò di capire quale fosse il ragionamento che ci fa prevedere il moto di B conoscendo soltanto quello di A. Escluse subito un ragionamento a priori, ovvero un'inferenza necessaria che ad A fa seguire necessariamente B, in quanto fra due eventi è impossibile ricavare una qualsiasi relazione necessaria. Ma non si può pensare nemmeno ad un discorso empiristico, in quanto, come ragionamento a posteriori, può essere effettuato solo successivamente ai due eventi. E anche in questo caso non ci possono essere prove che confermino che B sia la conseguenza di A in quanto il rapporto fra A e B è di consequenzialità e non di produzione, cioè si può affermare in base all'esperienza solo che A precede B e che A è molto vicino a B ma non si può dedurre niente che leghi indiscutibilmente l'evento A a quello B. Con Hume la ragione scopre di non poter dimostrare con necessità la connessione delle cose ma di poterla soltanto asserire per mezzo dell'immaginazione.
Il fatto insomma che ad un evento A segua da milioni di anni un evento B non può darci la certezza assoluta che ad A segua sempre B e nulla ci impedisce di pensare che un giorno le cose andranno diversamente e, per esempio, a B segua A. Per ovviare a ciò ci vorrebbe un principio di uniformità della natura che si incarichi di mantenere costanti in eterno le leggi della natura, cosa che per Hume non è né intuibile né dimostrabile.
La critica dell'abito o credenza
Molti di noi pensano agli eventi passati come a una guida sicura per gli eventi futuri. Per esempio, le leggi fisiche che guidano il moto dei pianeti lungo le loro orbite funzionano ottimamente per descrivere i comportamenti passati e così pensiamo che prevedano altrettanto bene anche quelli futuri. Ma come possiamo giustificare questa presunzione? Come possiamo pensare che questa credenza funzioni ogni volta? Hume suggerì due possibili giustificazioni e le confutò entrambe:
▪ la prima consiste in una necessità logica: il futuro deve ricalcare il passato, altrimenti tutta la scienza e la fisica perderebbe di valore. Ma Hume dimostrò che è altrettanto logicamente corretto presupporre un universo in cui le leggi fisiche passate non coincidano con quelle presenti e che non siano uniformi in ogni zona dello spazio. Non c'era nulla che rendesse questo principio logicamente necessario;
▪ la seconda giustificazione, più modestamente, si agganciava solamente all'uniformità con il passato: una legge che funzionava nel passato continua a funzionare ancora oggi. Hume però usando un ragionamento ricorsivo dimostrò che questa giustificazione necessitava di ricorrere a sé stessa per essere dimostrata. Ancora una volta la tesi crollava.
Il problema è ancora aperto tutt'oggi. Hume credeva che questa idea fosse radicata nell'istinto umano e che sarebbe stato impossibile eliminarla dalla mente umana. Questo abito mentale è però necessario perché le scienze (e in particolar modo la fisica) continuino ad evolversi.
La critica della sostanza corporea e psichica
Per Hume la sostanza non era altro che una "collezione di qualità particolari" ovvero un insieme di stimoli e di sensazioni empiriche provenienti dall'esterno cementate dal nostro intelletto fino a creare un'idea di ciò che stiamo analizzando, creandoci l'impressione che ciò esista anche nel momento in cui noi non lo percepiamo.
Nel suo iter filosofico Hume fece rientrare in questo ragionamento anche l'"io". Egli cercava infatti di scoprire quale fosse quell'elemento che ci fa essere noi stessi quando tutto il nostro corpo cambia incessantemente giorno dopo giorno. Ne concluse che anche la sostanza dell'"io" era soltanto un amalgama di sensazioni. Infatti, ogni volta che ci addentriamo nel nostro io, incontriamo sempre una qualche particolare sensazione (piacere, dolore, caldo, freddo) e se riuscissimo ad eliminare ogni singola sensazione del nostro io non resterebbe nulla.
Grazie a questo ragionamento Hume affermò anche l'inutilità del tentare di dimostrare l'immortalità dell'anima, in quanto del nostro io possiamo parlare soltanto in presenza di sensazioni.
Lo scetticismo di Hume
Hume stesso si definiva scettico e pirroniano. Ma è uno scetticismo diverso rispetto a quello tradizionale: è assente infatti la sospensione del giudizio. Quella di Hume è più un'analisi razionale di ciò che la ragione può sapere, dei limiti in cui le pretese della ragione devono confinarsi: la ragione quindi diventa allo stesso tempo imputato, giudice e giuria. Lo scetticismo di Hume consiste nel considerare la conoscenza qualcosa di soltanto probabile e non certo, benché provenga dall'esperienza, che il filosofo riteneva essere l'unica fonte della conoscenza.
Così, sebbene gran parte della conoscenza fenomenica si riduca soltanto ad una conoscenza probabile, Hume inserisce anche un campo di conoscenze certe, ovvero quelle matematiche, che sono indipendenti da ciò che realmente esiste e frutto soltanto di processi mentali.
Hume solca quindi soltanto dei confini alle pretese della ragione, sebbene molto drastici: il principio di causalità, l'esistenza del mondo esterno a noi, l'io e molti altri aspetti del mondo che fino a quel momento parevano ovvi e scontati vengono declassati a semplici "abitudini" e "credenze". Abitudini necessarie però alla vita umana.
Queste teorie verranno da lì a breve riprese e sviluppate dal filosofo tedesco Immanuel Kant. Va comunque notato che, secondo l'opinione di Bertrand Russell, Kant non ha assimilato gli argomenti di Hume, e la filosofia di Kant rappresenta un tipo di razionalismo pre-humiano (questa opinione, dichiaratamente controcorrente, è stata espressa da Russell nella sua Storia della filosofia occidentale nel capitolo su Hume).
Morale e motivazione
In linea con il suo attacco al ruolo che la ragione si era creata negli ultimi anni, Hume asserisce che anche la morale esce al di fuori del campo di giudizio della ragione. La morale è, come dirà lui stesso, una "questione di fatto, non di scienza astratta" e quindi inconoscibile nella sua essenza dalla ragione e, inoltre, segue percorsi autonomi dalla ragione.
La critica più alta che muove alla morale è quella di essere condizionata da eventi esterni che cercherebbero di dire aprioristicamente cosa sia giusto e cosa sia sbagliato (la religione è una di queste influenze): la bontà di un'azione è (e deve essere) del tutto indipendente dalla promessa di un premio e dal timore di una pena.
La morale si sviluppa grazie ad un altro sentimento, quello della simpatia, grazie al quale ci sentiamo vicini ai nostri simili e ne condividiamo felicità e infelicità.
Libero arbitrio e determinismo
Come tutti, anche Hume notò l'evidente conflitto fra determinismo e libero arbitrio, ovvero: se le tue azioni sono determinate già da miliardi di anni come è possibile poter essere liberi di scegliere? Ma non si fermò qui, Hume trovò un altro conflitto che avrebbe portato il problema ad uno sbocco paradossale: il libero arbitrio è incompatibile con l'indeterminismo.
Se le tue azioni non fossero determinate dagli eventi passati, allora esse saranno completamente casuali e quindi saranno scollegate dal tuo carattere, i tuoi desideri, preferenze, valori, ecc. E allora come si potrebbe essere responsabili di azioni che non dipendono dal nostro carattere? E come si potrebbe ritenere qualcuno responsabile delle proprie azioni che, come abbiamo già detto, sono aleatorie?
Eccoci quindi giunti al paradosso. Il libero arbitrio è inconsistente con il determinismo ma allo stesso tempo lo richiede. Ecco un altro aspetto della realtà che sfugge alla comprensione della ragione umana.
Il conflitto fra "essere" e "dover essere"
Hume notò che molti scrittori parlavano spesso di "cosa dovrebbe essere" al posto di "cosa è". Ma fra la proposizione descrittiva "essere" e quella prescrittiva "dover essere" scorre un fiume di differenze. Hume mise in guardia gli scrittori da tali facili sostituzioni, soprattutto se accompagnate da una cattiva motivazione.
Ma come si può effettivamente motivare la derivazione di "dover essere" dall'"essere"? Hume ne concluse con l'impossibilità di tale derivazione. Questa questione, proposta da Hume in un piccolo paragrafo, è diventata negli ultimi anni la base della teoria etica.
Filosofia della religione
Hume scrisse la Storia naturale delle religioni dal 1749 al 1755. Nell'Introduzione, l'autore spiega che il fine dell'opera è trovare i fondamenti della religione nella natura umana. Hume, pur accettando i principi del deismo e sostenendo che la costituzione della natura mostra l'esistenza di un autore intelligente, ritiene che il problema dell'origine del sentimento religioso sia più difficile da risolvere visto che a suo dire esistono popoli atei. La religione avrebbe la sua genesi nel sentimento del timore e quindi conseguentemente in una speranza di salvezza dopo la morte, pensata come fenomeno ineluttabile e drammatico, e di esorcizzazione della potenza naturale attraverso l'affidamento al Dio, la cui devozione garantisce che la Natura risulti "benigna" per l'uomo e non più nemica incontrollabile senza un ordine che la razionalizzi.
La forma di religione più primitiva è il politeismo che nasce dall'immaginazione dell'uomo primitivo, che “divinizza” le varie forze della natura, spesso dall'origine ignota, da cui dipende la sua vita e la sua morte. Le sue divinità sono in tutto e per tutto simili agli esseri umani, tranne per l'onnipotenza, limitata però dall'ambito circoscritto su cui la divinità esercita il proprio potere.
Con il progredire della civiltà si afferma il monoteismo. La sua affermazione è diversa nel popolo e nei filosofi: il primo, sconvolto dall'estrema instabilità della sua condizione esistenziale, accorda ad una divinità fra le tante tutte le perfezioni, elevando a sommo e unico Dio, mentre i secondi giungono ad elaborare il concetto di Dio tramite riflessioni filosofiche. Tuttavia questa divinità appare troppo lontana dall'uomo e per ovviare a questo inconveniente vengono create “divinità intermedie” fra l'uomo e Dio.
Hume loda poi la tolleranza delle religioni pagane contrapposta al fanatismo e all'intolleranza violenta dei monoteismi, pur riconoscendo una maggiore solidità dottrinale di quest'ultimo. Inoltre afferma che i monoteismi umiliano l'uomo nella sua dimensione terrena mentre i politeismi esaltano l'aspetto terreno e naturale dell'uomo. Vengono criticate le tesi che vedono ridicolo il paganesimo e si deride il dogma cattolico della presenza reale dell'Eucarestia, ritenuto non meno assurdo delle religioni politeiste.
Per Hume la fede è un sentimento irrazionale ed emotivo e non insegna all'uomo a migliorarsi dal punto di vista morale, anzi spesso lo peggiora. L'opera si chiude con queste parole: "Tutto è ignoto: un enigma, un inesplicabile mistero. Dubbio, incertezza, sospensione del giudizio appaiono l'unico risultato della nostra più accurata indagine in proposito. Ma tale è la fragilità della ragione umana, e tale il contagio irresistibile delle opinioni, che non è facile tener fede neppure a questa posizione scettica, se non guardando più lontano e opponendo superstizione a superstizione, in singolar tenzone; intanto, mentre infuria il duello, ripariamoci felicemente nelle regioni della filosofia, oscure ma tranquille".
Estetica
L'estetica di Hume è fondata sul sentimento che permette l'universalizzazione del giudizio estetico, non perché a priori ma a causa della particolare conformazione della natura umana che, in stato di salute, fa si che le cose che piacciono e quelle che non piacciono siano le stesse per tutti, pur dietro l'apparente discordanza dei gusti.
▪ 1867 - Michael Faraday (Newington Butts, 22 settembre 1791 – Hampton Court, 25 agosto 1867) è stato un chimico e fisico britannico.
Sir Faraday ha contribuito ai campi dell'elettromagnetismo e dell'elettrochimica. Tra le sue invenzioni si conta anche il becco di Bunsen. Tra le sue scoperte si annoverano, invece, le leggi di Faraday dell'elettrochimica e l'effetto Faraday. Infine sono a lui dedicati la misura della capacità, il farad, e un cratere sulla Luna.
▪ 1900 - Friedrich Wilhelm Nietzsche (pronuncia IPA: [ˈfʁiːdʁɪç ˈvɪlhəlm ˈniːtʃə] ascolta[?·info]) (Röcken, 15 ottobre 1844 – Weimar, 25 agosto 1900) è stato un filosofo e scrittore tedesco.
«Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!» (Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza, Frammento 125)
Tra i maggiori filosofi occidentali di ogni tempo, Nietzsche ebbe un'influenza articolata e controversa sul pensiero filosofico e politico del Novecento. La sua filosofia è considerata da alcuni uno spartiacque della filosofia contemporanea verso un nuovo tipo di pensiero, ed è comunque oggetto di divergenti interpretazioni. In ogni caso si tratta di un pensatore unico nel suo genere, sì da giustificare l'enorme influenza da lui esercitata sul pensiero posteriore.
Coerentemente ai suoi assunti, diede grande rilievo al mito, alla poesia e alla musica, cimentandosi in gioventù anche come poeta e compositore (vale ricordare Hymnus an das Leben), attività in cui, peraltro, a parere della critica, non attinse risultati paragonabili agli esiti della sua speculazione filosofica.
Il pensiero di Nietzsche
La filosofia di Nietzsche è influenzata dal suo complesso retroterra culturale, specialmente di filologo classico e poi di esteta che si entusiasma per la nuova musica post-romantica di Wagner, della quale si fa paladino e promotore, vedendo in essa un senso pratico dell'esistenza, fondato sul paganesimo precristiano germanico. Naturale quindi che egli proponga un rivalutazione delle filosofie pre-socratiche. Fondamentale per la sua formazione è anche Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, che Nietzsche legge nel 1866-1867 (caso divino definisce la sua fortuita scoperta in un negozietto di libri usati) e che così egli giudica in una riflessione registrata in una pagina autobiografica:
«In esso ogni riga gridava la rinuncia, la negazione e la rassegnazione, lì io guardavo il mondo come dentro uno specchio, e insieme la mia vita e la mia anima, investito di orrore; in esso come fosse un Sole, il grande occhio dell'arte mi fissava, staccandomi dal mondo; io vi vedevo malattia e salvezza, esilio e rifugio ed inferno quanto paradiso»
Nell'opera La nascita della tragedia, pubblicato nel 1872, la tragedia greca viene vista come massima espressione dello slancio vitale o "spirito dionisiaco", istintivo e irrazionale. Ma esso si coniuga e nello stesso tempo si contrappone a quello apollineo, razionale e astratto. Il pensiero apollineo e quello dionisiaco sono perciò così definiti:
«Finora abbiamo considerato il pensiero apollineo e il suo opposto, il dionisiaco, come forze artistiche che erompono dalla natura stessa, senza mediazione dell'artista umano, e in cui gli impulsi artistici della natura trovano anzitutto e in via diretta soddisfazione: da una parte come mondo di immagini del sogno, la cui perfezione è senza alcuna connessione con l'altezza intellettuale o la cultura artistica del singolo; dall'altra parte come realtà piena di ebbrezza, che a sua volta non tiene conto dell'individuo, e cerca di annientare l'individuo e di liberarlo con un sentimento mistico di unità» (La nascita della tragedia, § 2, Adelphi, Milano 1972, p. 26 )
Socrate da Nietzsche è visto come un pensatore che sottovaluta l'umanità finendo per disumanizzarla in un modello astratto, in quanto padre di una filosofia che prende in considerazione solo la conoscenza razionale e il conseguimento di una virtù ideale. Da questa posizione nasce la radicale critica di N. verso l'"intellettualismo etico" socratico, considerato negazione della vita nella sua espressione più genuina, libera, istintiva.
Altrettanto forte è l'avversione di Nietzsche nei confronti di Platone, che egli considera autore di una concezione del mondo fondata sull'idealità metafisica e sul disprezzo nei confronti della realtà tangibile. Da Platone egli ritiene giustamente esser nata quella continuità ideologica che lega Parmenide, Platone e poi Plotino all'idealismo tedesco dell'Ottocento. Tutta l'opera di Nietzsche sarà incentrata sulla demolizione di ogni metafisica e la critica di ogni idealismo.
Nietzsche critica, quindi, i tradizionali valori fondamentali della società (filosofia, Cristianesimo e democrazia), giungendo a mostrare la natura meramente metaforica e prospettica di qualsiasi principio trascendente e della stessa morale, così come di ogni concezione tradizionale. Il suo obiettivo era di smascherare la falsità e l'ipocrisia del sistema culturale su cui si fondava l'Europa dei suoi tempi e in particolare il mondo germanico. Egli individua così la stessa storia dell'Occidente come lungo processo di decadenza dell'uomo, come negazione della vita; l'affermazione della libertà è invece il destino dell'uomo. Destino che dovrà essere perseguito attraverso l'esercizio della volontà di potenza, e che condurrà l'uomo alla condizione di Oltreuomo (l'uomo in grado di oltrepassare se stesso).
Del pensiero dell'illustre pensatore si appropriò l'ideologia nazionalsocialista, anche a causa delle manipolazioni messe in atto dalla sorella Elisabeth sul materiale inedito e postumo, in particolare sull'opera edita come La volontà di potenza; queste manipolazioni furono in realtà soprattutto di tipo filologico, piuttosto che schiettamente ideologizzate, ma favorirono l'uso che il nazismo fece, successivamente, di alcuni concetti nietzschiani. Nietzsche mostra come i grandi valori della cultura occidentale, quali la verità, la scienza, il progresso, la religione, vadano smascherati nella loro mancanza di fondamento e nella loro natura di mera finzione. C'è nell'uomo una sostanziale paura della creatività della vita, verso la volontà di potenza, che produce valori collettivi sotto la cui giurisdizione la vita viene disciplinata, regolata, schematizzata. Sono "valori che disprezzano la vita", che generano un processo di nullificazione della vita piena e gioiosa, della vita in quanto tale, a favore di un "sembrare" ipocrita e bacchettone. La storia della cultura occidentale è pertanto la storia del nichilismo, e quindi la storia della decadenza.
Il nichilismo è visto da Nietzsche in maniera particolare: esso è il processo per cui i concetti capitali della metafisica (essere, verità, realtà, ecc.) si rivelano infondati e come tali si nullificano nella loro totale inconsistenza filosofica. Nietzsche afferma che il nichilismo passivo (Schopenhauer) coincide con la perdita o sfiducia di fede dell'uomo europeo verso i valori della propria civiltà; coincide con la "diminuzione vitale", con la massa di malattie, con la pazzia, con tare psichiche e fisiche che colpiscono l'umanità. Nel nichilismo viene meno anche la fiducia nella scienza, che ha ispirato il positivismo. L'uomo nichilista è caduto nell'angoscia per aver scoperto che i fini assoluti e le realtà trascendenti non esistono, ma insiste nel perseguirli per omologazione e mancanza di originalità.
L'uomo ha dovuto illudersi per dare un senso all'esistenza (si pensi anche a Freud), in quanto ha avuto paura della verità, non essendo stato capace di accettare l'idea che "la vita non ha alcun senso", che non c'è nessun "oltre" di essa e che va vissuta con desiderio e libero abbandono pieno di "fisicità". Se il mondo avesse un senso e se fosse costruito secondo criteri di razionalità, di giustizia e di bellezza, l'uomo non avrebbe bisogno di auto-illudersi per sopravvivere, costruendo metafisiche, religioni e morali. L'umanità occidentale, passata attraverso il cristianesimo, percepisce ora un senso di vuoto, trova che "Dio è morto", cioè che ogni costruzione metafisica vien meno davanti alla scoperta che il mondo è un caos irrazionale. Fino a che non sorgerà l'Oltreuomo, cioè un uomo in grado di sopportare l'idea secondo cui l'Universo non ha un senso, l'umanità continuerà a cercare dei valori assoluti che possano rimpiazzare il vecchio dio (inteso come qualsiasi tipo di realtà ultraterrena e non come semplice entità quale potrebbe essere il Dio cristiano); dei sostituti idolatrici quali, ad esempio, lo Stato, la scienza, ecc.
La mancanza, però, di un senso metafisico della vita e dell'universo fa rimanere l'uomo nel nichilismo passivo, o disperazione nichilista. È tuttavia possibile uscire dal nichilismo superando questa visione e riconoscendo che è l'uomo stesso la sorgente di tutti i valori e delle virtù della volontà di potenza (nichilismo attivo). L'uomo, ergendosi al di sopra del caos della vita, può generare propri significati e imporre la propria volontà. Chi riesce a compiere questa impresa è l'Oltreuomo, cioè l'uomo che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita. Attraverso le tre metamorfosi dello spirito, di cui parla nel primo discorso del testo Così parlò Zarathustra, Nietzsche mostra come il motto "Tu devi" vada trasformato dapprima nell'"Io voglio", ed infine in un sacro "Dire di sì", espresso dalla figura del fanciullo giocondo. Ovviamente il nichilismo attivo non giustifica i modelli valoriali proposti nel corso dei secoli per dare senso alla realtà, poiché questi non sono altro che il frutto dello spirito apollineo e, pertanto, non corrispondono all'effettiva essenza dell'uomo, che è dionisiaco, ossia legato inscindibilmente a quei "valori" (vitalità, potenza) intrinsechi alla sua natura terrena.
Per una "rinascita" del tragico in Germania
Nel primo testo filosofico di Nietzsche La nascita della tragedia del 1872, che è anche una messa a fuoco della sua cultura classica e della mitologia greca, egli concentra la sua attenzione sulle origini del teatro nell'antica Grecia. Si serve e teorizza perciò due concetti-base, che diverranno poi "ideologici" per lo stesso autore e portatori di numerosi valori, lo spirito dionisiaco e lo spirito apollineo. Il dionisiaco (dal dio Dioniso) in quanto “ebbrezza” rappresenta l'elemento dell'affermazione della vita, della spontaneità, dell'istinto umano, della giocosità e raffigurerà nelle successive opere la volontà di potenza. È l'impulso che esprime la forza vitale propria dell'oltreuomo nella sua totale libertà, l'ebbrezza che trova la sua manifestazione più compiuta nella musica e nella danza.
Il "dionisiaco" gioca dialetticamente con il proprio contraltare, l'"apollineo", ovvero l'armonia delle forme e del vivere. Quando Dioniso vive è Apollo a dormire, viceversa quando Apollo si rappresenta ed è in superficie, Dioniso è "sotterraneo". Il dionisiaco è un continuo ciclo "vita-morte-vita", attraverso il quale tutte le arti sono state create e si sono modificate. L'apollineo è la luce del giorno razionalizzata nell'arte plastica degli scultori dell'epoca classica. L'"apollineo" rappresenta anche la ratio umana che porta equilibrio nell'uomo, che è capace di concepire l'essenza del mondo come ordine e che lo spinge a produrre forme armoniose rassicuranti e razionali. Senza di esso, nell'uomo ci sarebbe un'esplosione di emozioni incontrollate e bisognose di essere controllate.
Molto complesso è lo studio che il filologo Nietzsche fa delle arti greche e della tragedia in particolare. Nel "ditirambo" del coro tragico greco era insito lo spirito dionisiaco (Nietzsche lo chiama appunto "ditirambo dionisiaco"). Nella parola come sempre Nietzsche ricerca la chiave per l'interpretazione della realtà e per portare in luce ciò che i concetti hanno di arcano dentro. In quanto filologo, ancor prima che filosofo, è sempre il “verbo” il suo primo amore. Dal ditirambo che è il nucleo del “coro” al testo poetico in cui è scritto il dramma si svolge la continua alternanza dei due dèi greci Apollo e Dioniso, fino alla suprema e sublime armonia.
L'analisi delle origini della tragedia greca, scorre lungo il testo nietzschiano attraversando tutta la storia di questo lungo percorso, da Archiloco a Euripide, passando per Eschilo e Sofocle fino alla sua stessa fine: la morte della tragedia avvenne per mano di Socrate ovvero di ciò che il filosofo ha rappresentato per la grecità e le sue espressioni artistiche. Ma come la tragedia ebbe origine dalla musica Nietzsche auspica che allo stesso modo possa rinascere. Da qui la critica profonda e sentita all'“Opera”, lui attuale, in quanto genere artistico in cui vivono inconciliabili contraddizioni di carattere estetico e filosofico. Forte è l'esortazione del filosofo ad ideali artisti della sua epoca affinché ritrovino e ridestino l'ebbrezza dionisiaca insita nella musica e su di essa, assieme al mito tragico, costruiscano una nuova epoca tragica:
«Amici miei, voi che credete nella musica dionisiaca, sapete anche che cosa significhi per noi la tragedia. In essa noi abbiamo, rinato dalla musica, il mito tragico- e in questo potete sperare tutto e dimenticare ciò che è più doloroso! (…).» (F. Nietzsche, La nascita della tragedia, ed. Adelphi - cap. 24)
Contro Socrate, Platone e il Cristianesimo
Secondo Nietzsche la decadenza è il rifiuto dell'amore per la vita e della creatività, della spontaneità del vivere naturale e nello stesso tempo "tragico", dunque dello spirito dionisiaco. Per lui colui che per primo ha condizionato negativamente la civiltà occidentale verso questo annullamento della vita è stato Socrate: il peccato di Socrate è di aver sostituito alla vita il pensare alla vita e la conseguenza di ciò è il non-vivere. Socrate ritiene che la ragione sia l'essenza dell'uomo e che le passioni, residuo di animalità, possano e debbano essere dominate. Per Socrate una vita fondata sulla ragione è una vita felice, mentre una vita dominata dalle passioni è destinata a dolorosi conflitti e turbamenti. Anche Platone ha indirizzato la vita verso un mondo astratto ed irreale, e in questo processo di decadenza si inserisce poi il Cristianesimo. Quest'ultimo ha prodotto un modello di uomo malato e represso, in preda a continui sensi di colpa che avvelenano la sua esistenza, dettati dal motto cristiano del continuo pentimento e della richiesta implorata di salvezza e perdono. Perciò l'uomo cristiano, al di là della propria maschera di serenità, è psichicamente tormentato, nasconde dentro di sé un'aggressività rabbiosa contro la vita ed è animato da risentimento contro il prossimo. Nietzsche crea in questo periodo le metafore del guerriero e del sacerdote: il primo rappresenta il manifestarsi della volontà di potenza, il secondo invece, timoroso dei propri mezzi, costituisce il "sottomesso" che ad una morale dei forti, antepone una morale dei deboli, facilmente accessibile, che costituisce la negazione vera e propria dell'incondizionata gioia di vivere.
Più che con la figura di Gesù Cristo (verso cui manifesta simpatia, considerandolo un "santo anarchico"), Nietzsche è polemico contro il Cristianesimo, in quanto religione dei «poveri di spirito», fondata sul risentimento e sulla cattiva coscienza. Infatti in Così parlò Zarathustra egli dichiara: Vi scongiuro fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze, essi sono dispregiatori della vita, sono avvelenatori, che siano maledetti! Da ciò la proposta di Nietzsche di una trasmutazione o inversione dei valori. Si proclama egli stesso il "primo immoralista" della storia; egli non intende tuttavia proporre l'abolizione di ogni valore o l'affermazione di un tipo di uomo in preda al gioco sfrenato degli istinti, ma contrappone ai valori antivitali della morale pessimistica tradizionale una nuova tavola di valori a misura del carattere terreno dell'uomo. Per Nietzsche l'uomo è nato per vivere sulla Terra, la sua esistenza è interamente corpo, realtà sensibile. Infatti Zarathustra afferma: io sono corpo tutto intero e nient'altro. L'anima, secondo Nietzsche, è solo un'immagine metaforica e semplicistica della ricchissima varietà di desideri, inclinazioni e sensazioni che attraversano il corpo in ogni istante: questa rivendicazione della natura terrestre dell'uomo è implicita nell'accettazione totale della vita che è propria dello spirito dionisiaco e dell'immagine del superuomo. La Terra non è più l'esilio e il deserto dell'uomo, ma la sua dimora gioiosa.
Il periodo "Illuministico"
Questo periodo, che inizia con Umano, troppo umano (1878-1880), coincide con l'avvento della scrittura aforistica, e risulta caratterizzato dal ripudio dei vecchi maestri, come Schopenhauer e, in particolare, Wagner. Nietzsche rinnega la stima e l'amicizia personale col musicista, di cui tanto aveva ammirato Tristano e Isotta in quanto simbolo dell'umana lotta nel tentativo di convivere coi propri impulsi annullandosi nella materia, al di fuori da qualsiasi concetto religioso. Ora lo accusa di essere diventato un tipico decadente, che col Parsifal ricade nel più becero e arcaico misticismo, quale ridicola rappresentazione di un mondo fasullo e immaginario.
In questo periodo, il filosofo abbandona la "metafisica da artista", per privilegiare la scienza. Considererà l'arte come il residuo di una cultura mitica. Redentore della cultura non sarà più l'artista o il genio (come invece pensava Wagner) ma il filosofo educato dalla scienza. Sarà illuminista, nel senso che si troverà impegnato in un'opera di critica della cultura tramite la scienza, che egli ritiene sia un metodo di pensiero, piuttosto che un insieme di tutte le scienze particolari. Un metodo critico di tipo storico e genealogico, perché non esistono realtà immutabili e statiche, ma ogni cosa è l'esito di un processo che va ricostruito.
I concetti base di questo periodo sono lo spirito libero e la filosofia del mattino. Lo spirito libero si identifica con il viandante, cioè con colui che grazie alla scienza riesce ad emanciparsi dalle tenebre del passato, inaugurando una filosofia del mattino che si basa sulla concezione della vita come transitorietà e come libero esperimento senza certezze precostituite.
La morte di Dio
L'affermazione della libertà e della spontaneità presuppone il superamento dei condizionamenti, delle regole, degli obblighi derivanti dalle credenze religiose o comunque dal riferimento ad entità metafisiche. Ma comporta anche una conseguenza che pochi hanno la forza sufficiente per affrontare: assumersi la piena e definitiva responsabilità di ogni decisione, di ogni azione. Ogni comportamento è soggetto ad una decisione individuale in quanto non esistono più valori trascendenti sui quali appiattirsi in modo conformistico. I contemporanei di Nietzsche dimostrano in mille circostanze di non essere più guidati dalla fede come poteva accadere agli uomini del Medioevo ma, per non essere obbligati ad affrontare le proprie responsabilità, non vogliono riconoscerlo neppure di fronte a se stessi.
Celebre è la figura dell'uomo folle[6] ne La gaia scienza, che gira in pieno giorno con una lanterna accesa, urlando "Cerco Dio!", attirandosi così lo scherno dei presenti. Alla richiesta di spiegazioni l'uomo afferma che Dio è morto, ovvero che nessuno crede più veramente. Ma nell'atto stesso di compiere questa affermazione si trova di fronte allo scetticismo e all'indifferenza, quando non alla derisione. Egli stesso si definisce come il "testimone" di un omicidio compiuto dall'intera Umanità. E allora: "Vengo troppo presto" egli ammette, poiché gli uomini non sono ancora pronti ad accettare questo cambiamento epocale. I valori tradizionali sono sempre più pallidi, sempre più estranei alla coscienza, ma i nuovi valori, quelli della gioiosa accettazione della vita e della fedeltà alla terra, sono ancora al di là dell'orizzonte: "Questo enorme evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino". L'annuncio della morte di Dio ha una straordinaria efficacia retorica e forse anche per questo non è stato sempre compreso a fondo: taluni interpreti si sono limitati a leggerlo come l'ennesimo attacco al Cristianesimo e non ne hanno percepito la profondità e la complessità. Infatti Nietzsche con questa affermazione intende annunciare la fine di ogni realtà trascendente, indipendentemente dal culto che predichi tale realtà. Egli considera ciò, come il compimento di un processo nichilistico necessario, le cui radici si ritrovano nell'atto di omissione e di oblio del dionisiaco, che ha consentito all'apollineo nel corso della secolarizzazione, di trovare modelli metafisici ragionevoli, capaci di giustificare il "senso dell'essere", ma che prima o poi, secondo l'autore tedesco, avrebbero dovuto fare i conti con la vera essenza vitale della natura umana, quale appunto, il dionisiaco, ossia ciò che lega alla terra e alla vita.
Nietzsche è anche considerato, e non senza buoni motivi, come uno dei precursori dell'esistenzialismo ateo moderno per alcuni elementi etici che lo anticipano, per quanto questo si caratterizzi per aspetti di pessimismo esistenziale che in Nietzsche sono in gran parte assenti.
L'Oltreuomo
Nietzsche, radicalizzando il "plus man" emersoniano e la critica emersoniana del culto degli eroi di Carlyle, propugna l'avvento di un nuovo tipo di uomo, capace di liberarsi dai pregiudizi e dai vecchi schemi, di smascherare con il metodo genealogico l'origine umana troppo umana dei valori, nonché di farsi consapevole creatore di valori nuovi. Non sarebbe corretto definire un uomo del genere superuomo: super indica sopra, quindi "super-uomo" vuol dire "colui che è sopra gli uomini" e li schiaccia. Secondo l'interpretazione di Gianni Vattimo, introdotta nel suo testo Il soggetto e la maschera, il termine oltre-uomo rispecchia meglio il concetto espresso dal filosofo di Röcken oltre a essere la traduzione letterale del tedesco Über-Mensch.
l'Oltreuomo non schiaccia gli altri ma procede al di là delle convenzioni e dei pregiudizi che attanagliano l'uomo. Esso ha dei valori differenti da quelli della massa degli uomini, quella massa che ha aderito alla filosofia dei sacerdoti e degli imbonitori per farsi schiava di essi. L'Oltreuomo è colui che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita, e che fa sua la cosiddetta "morale aristocratica" che dice "sì" alla vita e al mondo. L'Oltreuomo è discepolo di Dioniso poiché accetta la vita in tutte le sue manifestazioni, nel piacere del divenire inteso come alternanza di vita e morte. Affronta la vita con "pessimismo coraggioso", unisce il fatalismo alla fiducia, e si è liberato dai logori concetti del bene e del male attraverso un'elitaria indifferenza a valori etici che considera morti.
Per l'Oltreuomo ogni istante è il centro del suo tempo di cui è sempre protagonista. L'eterno ritorno, cioè l'eterna ripetizione, è la dottrina che Nietzsche mette a capo della nuova concezione del mondo e dell'agire umano. Per Nietzsche ogni momento del tempo, cioè l'attimo presente, va vissuto in modo spontaneo, senza continuità con passato e futuro, perché passato e futuro sono illusori: infatti ogni momento si ripete identico nel passato e nel futuro, come un dado che, lanciato all'infinito (poiché il tempo è infinito), darà un numero infinito di volte gli stessi numeri, in quanto le sue scelte sono un numero finito. Il vero Oltreuomo è, in conclusione, colui che danza in catene liberamente e con leggiadria; è lo spirito libero tout court.
L'Eterno Ritorno
Nietzsche elabora un suo modo di intendere il tempo liberandolo dal trascendente e quindi dalla fiducia nell'avvenire. In Così parlò Zarathustra (nel capitolo Della visione e dell'enigma, §2), Zarathustra (protagonista dell'opera) racconta di aver avuto una visione mentre scalava un monte. Sulla base di questo testo è possibile delineare alcuni aspetti fondamentali della concezione del tempo in Nietzsche. Anzitutto, la visione della porta carraia, nel momento iniziale della seconda parte del capitolo, in cui il nano scende dalle spalle di Zarathustra, è la porta dell'attimo, che congiunge la via del passato e la via del futuro, che si estendono in modo ciclico, dove il nano dà una prima interpretazione di questa porta. Egli infatti risponde: "Tutte le cose diritte mentono. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo". Questa prima interpretazione è giudicata da Zarathustra stesso troppo superficiale e portatrice di una generica professione di fede nella circolarità e insensatezza di tutto (nichilismo passivo). Nella seconda parte però, Zarathustra espone la sua controinterpretazione della visione della porta che aggiunge caratteri essenziali alla prima interpretazione del nano. La novità di questa controinterpretazione consiste nel fatto che Zarathustra va a fondo e tocca l'argomento decisivo che pone il punto di svolta dal nichilismo passivo al nichilismo attivo. Non solo tutto ciò che diviene deve essere già stato vissuto, ma soprattutto anche la porta stessa, l'attimo presente, deve già essere stata in passato. Si è dunque raggiunto il piano di passaggio dal nichilismo passivo al nichilismo attivo, quindi dall'eterno ritorno come pensiero paralizzante, all'eterno ritorno come liberazione dal simbolico (viene confutata in parte la prima interpretazione del nano). L'attimo è compreso nell'eterno circolo di passato e futuro. Successivamente, Zarathustra è come ridestato dall'ululato di un cane che gli permette di cambiare scena. Egli vede il cane quasi chiedere aiuto vicino ad un pastore, che è come soffocato da un serpente, la cui testa esce dalla sua bocca. Il serpente, nello specifico, indica l'eterno ritorno ed è come se il pastore fosse soffocato da questa concezione dell'eterno circolo del tempo. Un gesto fondamentale, fa tornare il sorriso sulle sue labbra, ormai non più sofferenti del pastore (“mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!”): questi infatti aveva morso e staccato la testa al serpente, indicando così allegoricamente l'accettazione dell'eterno ritorno. È importante sottolineare come l'accettazione dell'eterno ritorno sia dovuta a una decisione del pastore: se questi non avesse mai morso la testa al serpente, non sarebbe mai stato in grado di accettarlo e di istituirlo. Vi è quindi un attimo in cui il pastore istituisce, cioè vuole, il ripetersi eterno della vita e dell'istante. Solo se l'attimo che l'uomo vive è immenso, cioè ingloba in sè tutto il suo significato, si può volerlo sempre di nuovo. L'uomo che può volere l'eterno ritorno è un uomo felice, a cui la vita dà attimi “immensi”, come testimonianza piena di esistenza e significato. In quest'opera è possibile vedere il ruolo di Nietzsche come “difensore” di un tempo qualitativo, qualificato nella sua densità dai contenuti vissuti. L'eterno ritorno confuta la concezione lineare del tempo secondo cui (Nietzsche fa una critica aperta ad Eraclito) ogni attimo è tale solo in funzione di quelli che lo precedono e lo seguono: ciò significa, secondo il filosofo tedesco, che l'istante non ha un suo significato proprio. L'eterno ritorno dell'attimo esige, invece, che l'uomo entri in un rapporto diverso con il tempo, che egli possa cioè vivere degli attimi capaci di farsi volere sempre di nuovo. Famosa la definizione dell'"imperativo categorico" di Nietzsche: "vivere in modo da poter desiderare di rivivere questa stessa vita in ripetizione eterna" (citato in Mazzino Montinari Che cosa ha detto Nietzsche). Correlata alla tematica dell'eterno ritorno e quindi al principio del movimento è la trasvalutazione dei valori che da alcuni è stata intesa come capovolgimento dei valori. Ma il capovolgimento reca in sè l'affermazione di un valore ulteriore. Mentre la trasvalutazione è legata al fluire del valore stesso senza preminenza di alcuno in particolare, e quindi al superamento del valore. Riprendendo Nietzsche quando parla di Eraclito, l'unico filosofo a cui si sente legato, afferma che il movimento reca in sé la possibilità dell'annientamento. Tradotto in termini filosofici e legato questo concetto a quello caro a Nietsche della trasvalutazione, non vi può essere una morale né un valore assoluto ma valori istintuali che si annientano nel movimento. Se non fosse così si considererebbe Nietzsche un moralista o un idealista.
Osservazioni critiche e confronti
La filosofia di Nietzsche, pur prendendo le mosse da illustri precedenti, integra una netta frattura con il panorama speculativo già conosciuto.
Nietzsche e Hegel
Nel pensiero di Nietzsche prevale un'aperta confutazione dell'hegelismo: egli, infatti, non accetta l'idea del mondo dominato dalle leggi fisse della dialettica, rifiutando parallelamente ogni sistematicità interna. Si può anzi ben dire che l'opera di Nietzsche stia agli antipodi di una trattazione sistematica ed ordinata.
Per Nietzsche, infatti, il tentativo di categorizzare sistematicamente il reale annienta la forza vitale propria ad ogni uomo. La filosofia di Hegel, è ritenuta da Nietzsche un tradimento in danno alla vita, in quanto tentativo di fermare ciò che non si può fermare (la vita, dinamica per antonomasia) in un sistema di pensiero. Analogo è il giudizio di Nietzsche nei confronti dei positivisti: rei di spiegare la realtà mediante leggi meccanicistiche fisse, essi restano afflitti dallo stesso errore di Hegel ed epigoni.
Nietzsche è distante dal pensiero di Hegel anche in ordine alla supposizione hegeliana che esista una forza meramente razionale manifestantesi nella storia, che tratterebbe gli uomini come banali strumenti della propria astuzia.
Nietzsche ripudia la "tirannide della ragione sugli uomini" (per usare le sue parole), per cui biasima Socrate, Platone, Cartesio, gli illuministi ed anche i positivisti del suo tempo. Così facendo respinge e mostra di aborrire le basi stesse del mondo occidentale cui pure appartiene.
Sussistono nondimeno talune analogie. Malgrado il suo netto orientamento antirazionalista, è possibile accostare il pensiero di Nietzsche all'illuminismo quanto al rifiuto generale di metafisica ed ascesi (è significativo che abbia dedicato la sua opera Umano, troppo umano a Voltaire, uno dei principali esponenti dell'illuminismo). Il filosofo tedesco, infatti, pone al di sopra di tutto la forza vitale insita nell'uomo, minacciata (nella sua visione) dall'ideale ascetico.
Rapporti con altri autori
Sulle basi ut supra è incentrata la polemica contro la religione in generale e il Cristianesimo in particolare: anche queste istanze rinnegano la forza vitale innata in ciascuno. La condanna colpisce anche Arthur Schopenhauer, seppur ammirato in gioventù da Nietzsche. Quest'ultimo imputa al suo vecchio maestro di aver generato l'ennesima morale, fondata sulla pietà e, in ultima analisi, sull'ascesi.
Nietzsche, ad ogni modo, approva gli altri concetti di Schopenhauer, convertendone il pessimismo in ottimismo: ammette l'idea di una forza irrazionale che guida il mondo, senza immaginarla cieca e spietata. Egli respinge la nozione sinistra che ne aveva prospettato Schopenhauer e la rinomina volontà di potenza, annoverandola quale forza benevola, esemplificata essenzialmente dal suo famoso oltreuomo.
Decisivo, anche se sottovalutato, è pure l'influsso su Nietzsche di Afrikan Špir. Nietzsche, tuttavia, riprende le dottrine del filosofo russo per giungere ad esiti opposti, demolendo la metafisica e affermando l'unicità del mondo del divenire materiale e la "fedeltà alla terra".
Nietzsche, che pure ben può dirsi avversario del positivismo, è in parziale sintonia con il darwinismo, e più in particolare con le categorie di lotta per la vita, selezione naturale e prevalenza del più forte sul più debole (survival of the fittest).[7] Egli però dilata questo assunto al di là della mera sopravvivenza: secondo Nietzsche c'è un "darwinismo" selettivo anche nella società umana: gli individui mirano a conseguire il predominio e la supremazia, sotto lo stimolo della volontà di potenza. Darwin sarà d'altronde aspramente criticato da Nietzsche per l'ottimismo progressista del naturalista inglese.
Nietzsche, può essere accomunato a Søren Kierkegaard: entrambi hanno un orientamento prettamente individualistico, non si curano della politica e si distaccano da ogni tematica sociale.
Nietzsche ha prodotto influssi di assoluto rilievo in svariati ambienti e su numerose personalità della letteratura e della politica del XX secolo. È inevitabile, a tal proposito, riferirsi a Stefan George, così come in Italia a Gabriele D'Annunzio, che nel suo lavoro mostrò di aver manifestamente recepito il mito dell'Oltreuomo, con la conseguente esaltazione, ai limiti del titanismo, di orgoglio e volontà. Nietzsche venne talora considerato tra i precursori del nazionalsocialismo, anche se l'interpretazione del suo pensiero fornita dal filosofo nazista Alfred Baeumler è tuttora dibattuta e considerata controversa.
Secondo György Lukács, il tentativo di Nietzsche di affrancare l'uomo dalla "morale dei vinti", dal peso della storia e dal giogo della razionalità comportava il pericolo di smarrire la realtà umana medesima.
Evidenti influenze del pensiero di Nietzsche sono altresì riscontrabili nell'originale metafisica concreta di Pavel Aleksandrovič Florenskij; nella filosofia "eraclitea" di Alfred Baumler, così come più in generale nella cosiddetta Konservative Revolution della sfera culturale tedesca tra le due guerre, attraverso tra gli altri Oswald Spengler, Ernst Jünger e lo stesso Martin Heidegger; o ancora nel futurismo italiano, nell'oggettivismo della romanziera russo-americana Ayn Rand, e più recentemente nel transumanesimo e nel postmodernismo critico.
Tra gli autori contemporanei che apertamente rivendicano la propria filiazione nietzschana troviamo tra gli altri Guillaume Faye.
Va rammentata, del resto, la notoria affinità spirituale che legava il pittore Giorgio de Chirico al pensatore che qui si commenta.[8]
La complessità del pensiero di Nietzsche
La particolarità del pensiero di Nietzsche, la sua unicità, ha sempre generato nella critica degli interrogativi. Una delle domande che ci si è posti nella storia della critica a Nietzsche è la considerazione su qual è il "vero" Nietzsche, quale fosse il suo reale intento e cosa volesse comunicare nelle sue opere.[9]
La sua filosofia, infatti, è in bilico tra la negazione totale della cultura e del pensiero occidentale (si veda la sua critica al razionalismo, vera spina dorsale della filosofia occidentale) e la creazione di un nuovo sistema di valori, incentrati sulla figura dell'Oltreuomo, sull'eterno ritorno e sulla volontà di potenza.
Nietzsche, infatti, voleva senza dubbio eliminare il campo da ogni "mito", che appartenesse alla morale religiosa (da lui definita "morale dei vinti") o alla filosofia, con i miti laici di progresso, razionalismo, positivismo e idealismo. Tuttavia è lecito domandarsi se questa volontà distruttrice dei valori sia solo fine a se stessa, frutto di un orientamento nichilista, o sia la base necessaria da cui far partire la creazione di un nuovo sistema di valori.
La filosofia di Nietzsche propone notevoli spunti di riflessione, che in parte spiegano la difficoltà di quest'autore di essere pienamente compreso nel suo tempo, nell'Ottocento, e la sua successiva riscoperta nel XX secolo. È il caso di ricordare che il Novecento vede l'arrivo alla ribalta di un esistenzialismo molto lontano da quello di Kierkegaard e che per molti aspetti Nietzsche è un anti-Kierkegaard in aperta concorrenza con la sua visione del mondo. Lo "scacco" kierkegaardiano per Nietzsche diventa il pretesto per una via a una vittoria sul destino di cui l'Oltreuomo si fa profeta.
Il pensiero di Nietzsche, se da un lato è la negazione di quelle correnti di pensiero basate sull'ottimismo metafisico e deterministico dell'idealismo hegeliano è anche contro l'ottimismo scientistico. Di esso era portatore il Positivismo, con la sua idea di continuità del progresso. Incentrato il primo sul "tutto è bene" perché "così deve andare" necessariamente, l'ideale di progresso del secondo gli suona ingenuo e falso.
Sotto un altro punto di vista, per quanto Il mondo come volontà e rappresentazione sia uno di testi chiave per la formazione di Nietzsche, egli ha poco della semplice considerazione pessimistica della realtà, propria di Schopenhauer. La sua filosofia, infatti, rifiuta ogni passiva accettazione della realtà, sia nel senso del "tutto è bene" hegeliano e sia quella del "tutto progredisce" positivistico e neppure il "tutto è sofferenza", di Schopenhauer. Essa, rivela piuttosto una sorta di titanismo romantico, ma in una nuova Weltanschauung che è post-romantica.
Glossario dei termini filosofici
Amor fati
L'amor fati (letteralmente dal latino "amore per il fato, per il destino") è un atteggiamento di accettazione attiva, non assimilabile alla rassegnazione, che consiste nella capacità di far coincidere la propria volontà con il corso degli eventi così come essi si verificano, ovvero assumendoli nella loro innocente casualità. Si rifiuta in questo modo ogni concezione che tenta di "prevedere" il futuro rinchiudendolo in schemi concettuali che tradiscono il dinamismo proprio dell'esistenza. Questo concetto è strettamente legato all'idea di eterno ritorno. Il concetto di amor fati è mutuato soprattutto da due autori ben noti a Nietzsche: Spinoza, si veda la sua Ethica ed Emerson, si veda il crescendo finale del suo saggio "Fato".
Apollineo (spirito)
Lo spirito apollineo è il tentativo (proprio soprattutto dell'Antica Grecia) di spiegare la realtà tramite costruzioni mentali ordinate, negando il caos che, secondo Nietzsche, è proprio della realtà e non considerando l'essenziale dinamismo della vita. Lo spirito apollineo è la componente razionale e razionalizzante dell'individuo: nasce successivamente allo spirito dionisiaco, del quale rappresenta l'opposto e l'antitesi.
Arte
Nella concezione di Nietzsche l'arte assume un importante valore di liberazione dell'uomo dall'oppressione della razionalità, permettendo all'individuo di esprimere la propria creatività e quindi la sua irrazionalità, in un mondo che tende a distruggerla (parallelismi con Schopenhauer).
Cristianesimo
Il Cristianesimo assume in Nietzsche un valore assolutamente negativo. Il filosofo, infatti, vede nella morale cristiana la negazione della vita, soppiantata da una visione ascetica della stessa in quella che definisce la "morale dei vinti". La sua filosofia nasce anche come negazione di questa morale, ben descritta dalla "morte di Dio", dove "Dio" non è da intendere esclusivamente come la divinità personale, ma anche come il sistema di idee proprie anche del Cristianesimo.
Secondo il filosofo anche i cristiani sono guidati dalla volontà di potenza. In particolare, non potendo sopraffare gli altri per potenza e forza, hanno creato una nuova morale che negasse i veri valori di forza ed esaltasse gli ideali opposti di ascesi e pietà.
Dionisiaco (spirito)
Lo spirito dionisiaco è la parte irrazionale dell'individuo e dell'esistenza, la parte caotica e non rinchiudibile all'interno di una trattazione sistematica e ordinata, vera parte dominante della vita vista come ebbrezza, sensualità, esaltazione ed entusiasmo. Dopo Socrate, questa parte dell'uomo viene negata per far posto esclusivamente alla parte razionale.
Morte di Dio
Il moto critico nietzschiano non s'arresta e giunge così al "concetto dei concetti", ovvero Dio. Idealismo, evoluzionismo, positivismo e romanticismo son tutte teorie ancora "troppo umane", che si presentano cioè come verità eterne ed assolute e che occorre pertanto smascherare. In nome del "sano" istinto dionisiaco dell'uomo greco che ama tutto ciò che la terrestrità sa offrirgli, conduce un attacco a fondo contro il Cristianesimo, la cui vittoria sul mondo antico ha avvelenato l'umanità. Va alla radice della morale tradizionale e ne fa la genealogia, scoprendo che essa è "morale degli schiavi", dei deboli e dei vinti risentiti contro tutto ciò ch'è nobile, bello e aristocratico. «Che ne è di Dio? Io ve lo dirò. Noi l'abbiamo ucciso. Noi siamo i suoi assassini»; il grido dell'uomo folle sulla piazza del mercato nell'aforisma 125 della Gaia Scienza. Ma uccidendo Dio, la civiltà occidentale ha cominciato anche via via ad eliminar quei valori che son stati a fondamento di tutta la storia precedente; si perde di conseguenza ogni punto di riferimento (avvento dell'era del Nichilismo). Dio l'abbiamo ucciso e con lui è scomparso anche l'uomo vecchio, ma quello nuovo (Oltreuomo) è ancor di là dall'apparire.
La Morte di Dio è un fatto del qual non ve ne fu di più grande: un evento che divide la storia dell'umanità. Questo è l'evento annunziato da Zarathustra, profeta dell'epoca nuova, il quale sulle ceneri di Dio innalzerà l'ideale "superumano", novello spirito dionisiaco amante della vita in tutti i suoi risvolti, anche i più tragici e terribili
Nichilismo
Per il filosofo tedesco il concetto di nichilismo assume diverse accezioni a seconda del contesto in cui lo utilizza.
In una prima accezione, il termine viene usato da Nietzsche per descrivere la decadenza cui va incontro la civiltà quando rifiuta la forza vitale e si sottomette alle concezioni razionalistiche ed alle etiche ascetiche. Questa tendenza è propria di tutti i sistemi filosofico-morali che hanno negato la natura imprevedibile e casuale della vita e della realtà e si sono tradotti pertanto in una sorta di rifugio, di protezione dell'uomo all'interno di un mondo "metafisico", inteso nel suo significato originario di mondo "oltre la realtà" (e ciò vale sia per le concezioni religiose, sia per quelle razionalistiche tese a creare una visione ordinata della realtà, com'è il caso dell'Iperuranio platonico).
Per nichilismo, tuttavia, Nietzsche intende anche il percorso compiuto dall'uomo, a partire dall'illuminismo, per giungere a smascherare i valori tradizionali mettendone in luce la falsità. Al contrario del precedente, questo nichilismo è esclusivamente distruttivo, e porta l'uomo ad un senso di impotenza e di smarrimento, ottimamente descritto dall'analisi di Schopenhauer.
Esiste, infine, un nichilismo "attivo" e positivo, proprio dello stesso autore, che consiste nell'accettazione del carattere casuale della realtà e della falsità di tutte le credenze. Questo atteggiamento è proprio dell'Oltreuomo.
Razionalismo
Il razionalismo è la tendenza a spiegare la realtà per mezzo di schemi concettuali, imprigionandola in essi. Questo concetto, dunque, si ricollega a quello di spirito apollineo. L'autore fa coincidere la nascita di questo orientamento con la filosofia di Socrate.
Volontà di potenza
La volontà di potenza è la forza creativa propria dell'uomo e di ogni forma di vita, tale da trascendere ogni formalizzazione. Essa rappresenta l'essenza autentica della vita umana. L'Oltreuomo è colui che è capace di assumere su di sé tutto il peso, e la leggerezza, della piena espressione della volontà di potenza. Volontà di potenza è allora "voler che può", non come volontà di dominio, bensì intesa come un "poter esser-oltre". Volontà in questo caso somigliante a quella schopenhaueriana (Volontà istintiva di vita, non derivante dall'Io che vuole coscientemente, ma da istinto innato/naturale). Potenza è un poter sempre più, qual massima possibilità d'esser, potenzialità assoluta... il poter esser che s'espande al di là e sopra sè, via conducente ad Oltreuomo.
Note
1. Richard Wagner, Mein Leben — pubblicato da F. Bruckmann, 1911 (prima edizione)
2. Nota 31 al testo di Genealogia della morale, pag. 171
3. Storia delle punizioni corporali, Mondadori, Milano, 2006. ISBN 88-04-55899-7 — Prefazione, pagg. IX-X
4. "What Was the Cause of Nietzsche's Dementia?" Journal of Medical Biography 11 (2003): 47-54
5. Anacleto Verrecchia dubita che sia effettivamente avvenuto l'abbraccio: La catastrofe di Nietzsche a Torino (Torino: Einaudi, 1978) alle pag. 208 e 211 ricostruisce la genesi di questo mito, non riportandolo ad altra bibliografia precedente che a un anonimo articolista della Nuova Antologia del 16 settembre 1900, undici anni dopo il fatto.
6. http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaN/NIETZSCHE_%20DIO%20E%20MORTO.htm
7. Evolution and philosophy - Does right make right? by John S. Wilkins
8. Grazia Barbieri, NIETZSCHE E DE CHIRICO - Il paradosso di una comunione tra antimetafisica e metafisica?
9. Mazzino Montinari, Che cosa ha veramente detto Nietzsche Pubblicato da Ubaldini, 1975 ISBN 88-340-0339-X, 9788834003398
▪ 1956 - Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli (Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957), è stato un poeta e scrittore italiano.
«Parlavo vivo a un popolo di morti.
Morto alloro rifiuto e chiedo oblio.» (da Epigrafe)
Nascita e famiglia
Umberto Saba nacque il 9 marzo 1883 a Trieste, da madre ebrea, Felicita Rachele Coen e da Ugo Edoardo Poli, di nobile famiglia veneziana e agente di commercio. Edoardo si era convertito alla religione ebraica in occasione del matrimonio, avvenuto nel 1882, ma essendo cittadino italiano ed irredentista, le autorità asburgiche lo costrinsero a lasciare la città abbandonando la moglie in stato di gravidanza.
Primi anni
Visse una malinconica infanzia, velata dalla mancanza del padre. Venne allevato per tre anni dalla balia slovena Gioseffa Gabrovich Schobar, detta "Peppa" (conosciuta anche come Peppa Sabaz), che avendo perso un figlio, riversò sul piccolo Umberto tutto il suo affetto che il bambino ricambiò, tanto da considerarla, come egli stesso scrisse, «madre di gioia».
Quando la madre lo rivolle con sé, il poeta ebbe il suo primo trauma di cui tratterà nelle poesie raccolte sotto il titolo Il piccolo Berto (1926). Crescerà quindi con la madre e due zie, una vedova e l'altra nubile, impegnate nella conduzione di una bottega di mobili ed oggetti usati.
Frequentò, con scarso rendimento, il Ginnasio Dante Alighieri, dove fu promosso ma gli venne sconsigliato di proseguire gli studi al liceo. Si iscrisse in seguito all' Imperial Regia Accademia di Commercio e Nautica, che abbandonerà a metà anno.
Università
Nel 1903 si trasferì a Pisa per frequentare l'università. Dapprima seguì corsi di letteratura italiana tenuti dal professore Vittorio Cian, ma lasciò presto questi corsi per seguire quelli di archeologia, tedesco e latino.
Nell'estate del 1904, a causa di un litigio con l'amico Chiesa, cadde in forte depressione e decise di ritornare a Trieste. Scriveva intanto versi e qualche articolo per i giornali locali.
Il 14 luglio 1905 apparve sul quotidiano di Trieste Il Lavoratore un articolo sulle esperienze fatte durante un viaggio, compiuto a piedi, nel Montenegro. In questo periodo frequentò il Caffè Rossetti, luogo storico di ritrovo per giovani intellettuali, dove conobbe il futuro poeta Virgilio Giotti. L'anno successivo lasciò Trieste per recarsi a Firenze dove rimase per due anni frequentando i circoli artistici "vociani" della città, dove conobbe fra gli altri Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini.
Durante uno dei rari ritorni a casa, conobbe Carolina Wölfler, la Lina delle sue poesie, che diventò in seguito sua moglie.
Essendo cittadino italiano, pur abitando nell'Impero austro-ungarico, nell'aprile del 1907 partì per il servizio militare destinato a Salerno. Nasceranno da questa esperienza i Versi militari. Ritornato a Trieste nel settembre del 1908 si mise in società con il fratello della futura moglie per gestire due negozi di articoli elettrici e il 28 febbraio, con rito ebraico, sposò Lina. L'anno successivo nacque la figlia Linuccia.
Primi libri di poesie
Nel 1911 pubblicò, a proprie spese e con lo pseudonimo di Saba, il suo primo libro, Poesie, con la prefazione di Silvio Benco a cui fece seguito, nel 1912, nelle edizioni della rivista La Voce la raccolta Coi miei occhi (il mio secondo libro di versi), in seguito nota come Trieste e una donna.
Risale a questo periodo l'articolo Quello che resta da fare ai poeti dove il poeta propone una poetica sincera, senza fronzoli e «orpelli» contrapponendo il modello degli Inni Sacri manzoniani a quello degli scritti dannunziani. L'articolo, presentato per la pubblicazione alla rivista vociana, venne però rifiutato in seguito al veto di Scipio Slataper e sarà pubblicato solamente nel 1959.
Completò anche l'atto unico Il letterato Vincenzo concorrendo ad un premio organizzato dal Teatro Fenice: l'opera, incentrata sul rapporto tra un poeta e la giovane Lena madre di suo figlio, fu criticata e si rivelò un fiasco.
Per superare un periodo di crisi dovuto al tradimento della moglie, nel maggio 1913 il poeta si trasferì con la famiglia dapprima a Bologna, dove collaborò al quotidiano Il Resto del Carlino, e nel febbraio del 1914 a Milano, dove assunse l'incarico di gestire il caffè del Teatro Eden. Il soggiorno milanese ispirerà La serena disperazione.
Prima guerra mondiale
Saba, refrattario a schieramenti politici ma tendente all'interventismo per le sue origini triestine, arriva a collaborare con Il popolo d'Italia diretto da Benito Mussolini.
Allo scoppio della grande guerra venne richiamato alle armi dapprima a Casalmaggiore in un campo di soldati austriaci prigionieri, poi come dattilografo in un ufficio militare, e infine, nel 1917, al Campo di aviazione di Taliedo, dove venne nominato collaudatore del legname per la costruzione degli aerei.
Risale a questo periodo la lettura di Nietzsche e il riacutizzarsi delle crisi psicologiche, per le quali, nel 1918, verrà ricoverato nell'ospedale militare di Milano.
Attività
Terminata la guerra e ritornato a Trieste, dopo aver fatto per parecchi mesi il direttore di un cinematografo del quale era proprietario suo cognato e scritto alcuni testi pubblicitari per la Leoni Films, rilevò la libreria antiquaria Mayländer, in società con Giorgio Fano e grazie all'eredità della zia Regina. Ne rimase presto unico proprietario, dal momento che Fano gli cedette la sua quota.
Prendeva intanto corpo la prima redazione del Canzoniere che vedrà la luce nel 1922 con il titolo Canzoniere (1900-1921), che raccoglieva tutta la sua produzione poetica in redazione leggermente modificata confronto alla bozza del 1919.
Sempre nel 1922 strinse amicizia con Giacomo Debenedetti, ed iniziò a collaborare alla rivista Primo Tempo, sulla quale apparvero alcune sezioni del nuovo libro, Figure e canti, che verrà pubblicato nel 1926. Iniziò a frequentare i letterati riuniti intorno alla rivista Solaria che, nel maggio 1928, gli dedicò un intero numero.
Fra il 1929 e il 1931, a causa di una crisi nervosa più intensa delle altre, decise di mettersi in analisi a Trieste con il dottor Edoardo Weiss, lo stesso di Italo Svevo. Fu Weiss, allievo di Freud, che con la Rivista italiana di psicoanalisi introdusse in Italia gli studi del medico viennese. Con lo psicanalista, Saba indagò la sua infanzia, e rivalutò il ruolo della sua nutrice.
La critica intanto andava scoprendo il poeta e i nuovi giovani scrittori e poeti, come Giovanni Comisso, Pier Antonio Quarantotti Gambini e Sandro Penna, cominciavano a considerarlo un maestro.
Seconda guerra mondiale
Nel 1938, poco prima del secondo conflitto mondiale, a causa delle leggi razziali, fu costretto a cedere formalmente la libreria al commesso Carlo Cerne e ad emigrare in Francia, a Parigi. Ritornato in Italia alla fine del 1939, si rifugia prima a Roma, dove Ungaretti cerca di aiutarlo, ma senza risultato, e poi nuovamente a Trieste, deciso ad affrontare con gli altri italiani la tragedia nazionale.
Dopo l'8 settembre 1943 fu però costretto a fuggire con Lina e la figlia Linuccia, e a nascondersi a Firenze, cambiando spesso appartamento. Gli sarà di conforto l'amicizia di Montale che, a rischio della vita, andrà a trovarlo ogni giorno nelle case provvisorie, e quella di Carlo Levi. Uscirà intanto a Lugano, con una prefazione di Gianfranco Contini, la raccolta Ultime cose, aggiunta poi nella definitiva edizione del Canzoniere, che uscirà a Torino, edita da Einaudi, nel 1945.
Dopoguerra
Negli anni del dopoguerra Saba visse per un periodo di nove mesi a Roma e poi a Milano dove rimase per circa dieci anni, tornando periodicamente a Trieste. In questo periodo collaborò al Corriere della Sera, pubblicò da Mondadori Scorciatoie, la sua prima raccolta di aforismi e Storia e cronistoria del Canzoniere.
Nel 1946 Saba vinse, ex aequo con Silvio Micheli, il primo Premio Viareggio per la poesia del dopoguerra, al quale seguirono nel 1951 il Premio dell'Accademia dei Lincei e il Premio Taormina, mentre l'Università di Roma gli conferì, nel 1953, la laurea honoris causa.
Ormai noto e di grandezza riconosciuta, Saba ebbe un avvicinamento "religioso", si convertì poi al cattolicesimo e si fece battezzare, mentre il suo matrimonio non venne convertito per mancanza di adeguata preparazione.
Morte e sepoltura
Nel 1955, stanco e malato, e sconvolto per la malattia della moglie, si fece ricoverare in una clinica di Gorizia, dalla quale uscì solo in occasione del funerale della moglie, mancata il 25 novembre 1956. Saba muore nove mesi dopo, il 25 agosto 1957, mentre stava lavorando alla stesura di Ernesto, rimasto incompiuto e pubblicato postumo.
▪ 2001 - Germano Maccari, (Roma, 16 aprile 1953 – Roma, 25 agosto 2001) è stato un terrorista italiano, appartenente alle Brigate Rosse.
Germano Maccari è una figura emblematica degli anni di piombo.
Nato nel popolare quartiere romano di Centocelle Maccari si avvicina al mondo della politica ai tempi del liceo, partecipando al movimento studentesco. Aderisce successivamente a Potere operaio dove svolge servizio d'ordine e decide di partecipare alla lotta armata. Conosce Valerio Morucci, Adriana Faranda e Bruno Seghetti, con i quali costituisce il Lap (Lotta Armata Potere Proletario), gruppo che confluirà nelle Brigate Rosse.
Nel 1978 è tra coloro che partecipano al sequestro di Aldo Moro. Maccari, non condividendo la decisione dell'uccisione del presidente, si allontana dall'organizzazione terroristica dopo il tragico epilogo della vicenda. Per anni gli inquirenti si riferirono alla sua figura come a quella del "quarto uomo", quel sedicente ing. Luigi Altobelli che aveva in affitto il covo di via Montalcini.
Nel 1993 Maccari viene arrestato. Contro di lui c'è la testimonianza di Adriana Faranda ma egli nega con forza ogni accusa. Dopo due anni di carcere preventivo torna il libertà per decorrenza dei termini, non essendo ancora iniziato il processo.
Il processo verrà svolto finalmente nel 1996. Maccari decide di ammettere il suo coinvolgimento nella vicenda, anche se afferma di non aver preso parte all'uccisione di Aldo Moro. Viene condannato a 30 anni di carcere, poi ridotti a 26.
La sera del 25 agosto 2001 Maccari muore per un aneurisma cerebrale nel carcere di Rebibbia dove stava scontando la pena.
L'attivita terroristica
Partecipò all'agguato di via Fani, con l'uccisione di 5 uomini della scorta e il rapimento di Aldo Moro.
Processi ed esiti giudiziari
Il 16 luglio 1996, sentenza del processo Moro-quinquies, i giudici della seconda Corte d'Assise condannano per concorso nel sequestro e nell'omicidio di Aldo Moro e nell'eccidio della scorta Raimondo Etro a 24 anni e sei mesi e Germano Maccari all'ergastolo. Il 19 giugno 1996, di fronte ai giudici Maccari ammise di essere lui il “quarto uomo” di via Montalcini, cioè dell'agguato. Il 19 giugno 1997, la Corte d'Assise d'appello riduceva a 30 anni la condanna per Maccari; confermava quella per Etro a 24 anni e sei mesi. Il 28 ottobre 1998, nel processo Moro quinquies la prima Corte d'Assise d'appello di Roma condannava Raimondo Etro a 20 anni e 6 mesi e Germano Maccari a 26 anni, riducendo le condanne precedenti.
▪ 2009 - Edward Moore "Ted" Kennedy (Boston, 22 febbraio 1932 – Hyannis Port, 25 agosto 2009) è stato un politico statunitense, figlio ultimogenito di Joseph P. Kennedy e Rose Fitzgerald e fratello del Presidente John Fitzgerald Kennedy. È stato senatore per il Massachusetts ed ha fatto parte del Partito Democratico.