Associazione Cultura Cattolica

Il calendario del 29 Agosto

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

• 1257 - Firma della Tregua di Parabiago, che scongiura una guerra civile tra popolo e nobili del Comune di Milano

• 1294 - Viene eletto papa Celestino V

• 1475 - Il Trattato di Picquigny pone fine alla Guerra dei cent'anni

• 1521 - I Turchi ottomani occupano Belgrado

• 1526 - Nella battaglia di Mohács, l'esercito ottomano sconfigge quello ungherese guidato da Luigi II, che muore in battaglia

• 1533 - Il conquistatore spagnolo Francisco Pizarro uccide Atahualpa, ultimo imperatore della nazione Inca
.
• 1541 - I Turchi Ottomani occupano Buda, la capitale del Regno d'Ungheria

• 1706 - Pietro Micca salva eroicamente Torino durante l'assedio da parte delle forze franco-spagnole

• 1756 - Federico il Grande attacca la Sassonia, dando il via alla Guerra dei sette anni

• 1831 - Micheal Faraday scopre l'induzione elettromagnetica

• 1862 - Nella giornata dell'Aspromonte l'Esercito Regio ferma la marcia di Garibaldi dalla Sicilia verso Roma

• 1885 - Gottlieb Daimler brevetta la prima motocicletta

• 1898 - Viene fondata la Goodyear

• 1911 - Ishi, considerato l'ultimo nativo americano ad aver vissuto senza conoscere la cultura occidentale, viene scoperto in California

• 1943 - I nazisti sciolgono il governo della Danimarca occupata, che autoaffonda la propria flotta

• 1944 - L'Insurrezione nazionale slovacca prende il via quando 60.000 soldati slovacchi si rivoltano contro i governanti nazisti

• 1949 - L'Unione Sovietica testa la sua prima bomba atomica a Semipalatinsk, Kazakistan

• 1966 - I Beatles tengono il loro ultimo concerto a San Francisco

• 1982 - Viene sintetizzato per la prima volta in laboratorio il meitnerio

• 1991

  1. - A Palermo viene ucciso dalla mafia Libero Grassi, imprenditore impegnato nella lotta alla mafia
  2. - Il Soviet Supremo sospende tutte le attività del Partito Comunista dell'Unione Sovietica

• 1996 - Un Tupolev Tu-154 Vnukovo Airlines si schianta su Spitsbergen, un'isola delle Svalbard: 141 persone rimangono uccise

• 1997 - A Rais, in Algeria, almeno 98 abitanti vengono uccisi dai fondamentalisti islamici del GIA

• 2003 - L'Ayatollah Sayed Mohammed Baqir al-Hakim, il leader dei Musulmani Sciiti in Iraq, viene assassinato in un attacco terroristico che uccide altre 100 persone all'esterno di una moschea a Najaf

• 2005 - L'uragano Katrina comincia ad abbattersi su New Orleans: ucciderà in tutta l'area più di mille persone

• 2006 - Monsignor Angelo Bagnasco è nominato arcivescovo di Genova da papa Benedetto XVI

• 2008 - Viene registrato il Guinness World Records per l'hamburger più grande in commercio

Anniversari

• 1300 - Guido Cavalcanti (Firenze, 1255 c. – Firenze, 29 agosto 1300) è stato un importante poeta italiano del Duecento.
Guido Cavalcanti, figlio di Cavalcante dei Cavalcanti, nacque a Firenze intorno all'anno 1250 in una nobile famiglia guelfa di parte bianca che nel 1260 fu travolta dalla sconfitta guelfa di Montaperti. Sei anni dopo, in seguito alla disfatta dei ghibellini nella battaglia di Benevento, i Cavalcanti riacquistano la preminente posizione sociale e politica a Firenze. Nel 1267 Guido si sposa con Bice, figlia di Farinata degli Uberti, capo della fazione ghibellina. Da Bice Guido avrà i figli Tancia e Andrea. Nel 1280 Guido è tra i firmatari della pace tra guelfi e ghibellini e quattro anni dopo siede nel Consiglio generale al Comune di Firenze insieme a Brunetto Latini e Dino Compagni. Il 24 giugno 1300 Dante Alighieri, priore di Firenze, è costretto a mandare in esilio l'amico nonché maestro Guido con i capi delle fazioni bianca e nera in seguito a nuovi scontri. Cavalcanti si reca allora a Sarzana e si pensa che fu allora che scrisse la celebre ballata Perch'i' no spero di tornar giammai. Il 19 agosto gli è revocata la condanna per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute (ha forse contratto la malaria). Il 29 agosto muore, pochi giorni dopo essere tornato a Firenze probabilmente di malaria che aveva preso in esilio.
È ricordato - oltre che per i suoi componimenti - per essere stato citato da Dante (del quale fu amico assieme a Lapo Gianni) nel celebre nono sonetto delle Rime "Guido, i'vorrei che tu, Lapo ed io". Dante lo ricorda anche nella Divina Commedia (Inferno, canto X e Purgatorio, canto XI) e nel De vulgari eloquentia, mentre Boccaccio lo cita nel Commento alla Divina Commedia e in una novella del Decameron.

• 1799 - Papa Pio VI, nato Giovanni Angelico o Giannangelo Braschi (Cesena, 27 dicembre 1717 – Valence, 29 agosto 1799), è stato il 250° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 15 febbraio 1775 alla morte.

Lo scontro con la rivoluzione francese
Allo scoppio della Rivoluzione francese, Pio VI fu costretto a subire la soppressione dell'antico rito gallicano, la confisca di tutti i possedimenti ecclesiastici in Francia e l'onta di vedere il proprio stesso ritratto dato alle fiamme dalla folla nel Palazzo Reale.
Pio VI cercò di prendere di petto la questione: il 10 marzo 1791 condannò con il breve Quod aliquantum la Costituzione civile del clero, approvata dall'Assemblea nazionale francese nel luglio del 1790. Ma i rivoluzionari, per rappresaglia, invasero Avignone, qui, nell'ambito della lotte fra chi sosteneva l'annessione alla Francia e i sudditi fedeli al pontefice, una sessantina di questi ultimi furono condannati sommariamente a morte e barbaramente uccisi in una delle torri del palazzo dei Papi. Tale tragico evento è ricordato come i «massacri della ghiacciaia» (Massacres de la Glacière).
Pio VI condannò anche la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, provocando in Francia una spaccatura. Anche il clero si divise, fra sacerdoti costituzionalisti, capeggiati dal famoso abbé Grégoire) e fedeli al Papa (i cosiddetti “preti refrattari”). L'assassinio del rappresentante repubblicano francese Ugo di Basseville avvenuto nelle strade di Roma nel gennaio 1793 peggiorò ulteriormente la situazione: la corte papale fu accusata di complicità dalla Convenzione Nazionale.
Nel 1796 Napoleone invase l'Italia e puntò le armi contro lo Stato Pontificio, costringendo il papa all’umiliante armistizio di Bologna: Pio VI dovette cedere Bologna, Ferrara e Ancona, versare 21 milioni di scudi e consegnare numerose opere d’arte. Quando poi il Papa si legò con l'Austria, che stava formando una coalizione contro la Francia, Napoleone riuscì a portare dalla propria parte Ferdinando IV di Napoli che, con un atto arbitrario, ordinò a Tanucci di invadere i feudi papali nel suo territorio. L'esercito pontificio fu sconfitto (10 febbraio 1797) e il 18 febbraio i francesi saccheggiavano il Santuario di Loreto. Il Pontefice fu perciò costretto a siglare il Trattato di Tolentino (febbraio 1797), che allo Stato Pontificio costò altri 25 milioni di scudi e numerosi oggetti d’arte.
La situazione, già di per sé grave, subì un ulteriore peggioramento il 28 dicembre dello stesso anno, quando, nel corso di un tumulto provocato da alcuni rivoluzionari italiani e francesi, il generale Léonard Duphot fu ucciso, e ciò fornì il pretesto per la cosiddetta Occupazione francese di Roma. Il generale Berthier marciò sulla città, occupandola senza incontrare resistenza e dandosi poi al saccheggio dei tesori d’arte del Vaticano. Il 15 febbraio 1798, deposto il Papa come principe temporale, vi proclamò la repubblica.
Pio VI fu fatto subito prigioniero e, il 20 febbraio venne scortato dal Vaticano a Siena, dove rimase tre mesi, e quindi alla Certosa di Firenze, dove fu segregato nel convento. Nel marzo del 1799 venne deciso di trasferirlo nuovamente, in seguito alla dichiarazione di guerra della Francia contro la Toscana.

Si decise di portarlo a Bologna, credendola città anticlericale. Ma, quando i francesi lo esposero al popolo, Pio VI, invece di essere ingiuriato, venne acclamato. Fu allora decretata la sua carcerazione in Francia. Il Papa, ottantaduenne, venne internato prima a Grenoble, poi il 19 luglio fu rinchiuso nella fortezza di Valence, capoluogo della Drôme. Logorato dai patimenti fisici e morali Pio VI si spense in prigione il 29 agosto dello stesso anno, pronunciando queste ultime parole: «Signore, perdonali».

Fu deposto in una cassa, di quelle riservate ai poveri, su cui fu scritto: «Cittadino Gianangelo Braschi - in arte papa». La bara fu gettata in una fossa comune. Dal municipio di Valenza fu notificata al Direttorio la morte del pontefice, cui si aggiungeva la laica profezia che si era sepolto l'ultimo papa della storia.
La salma venne successivamente riportata a Roma ove ottenne le esequie ufficiali e il suo corpo venne deposto nelle grotte vaticane ove ancora oggi si trova. La curiosità della sua tomba è che per accogliere il suo corpo venne scelto un sarcofago romano ritrovato durante gli scavi.

• 1912 - Theodor Gomperz (Brno, 29 marzo 1832 – Baden bei Wien, 29 agosto 1912) è stato uno storico e filosofo austriaco, che ha concentrato i suoi interessi sul pensiero ellenico antico. Imbevuto di cultura illuministica ed empiristica ha introdotto un nuovo metodo anti-idealistico nell'esegesi del pensiero antico. La sua monumentale storia della filosofia greca è un’opera fondamentale, perché si colloca in un filone storiografico filo-scientifico e anti-idealistico trascurato e messo in ombra, soprattutto in Italia.
Convinto sostenitore di un razionalismo laicista, avendo in John Stuart Mill il suo modello filosofico-scientifico, Gomperz opera un'analisi rigorosa e testuale del pensiero greco. Il risultato è un sistematico e acuto ridimensionamento di molti miti della storiografia convenzionale. Tra le sue più importanti rivisitazioni vanno collocate quelle relative al pensiero di Platone e a quello di Aristotele.

• 1922 - Georges Eugène Sorel (Cherbourg, 2 novembre 1847 – Boulogne-sur-Seine, 29 agosto 1922) è stato un filosofo, sociologo e pensatore francese, teorico del sindacalismo rivoluzionario.
Ingegnere civile, dopo aver rassegnato nel 1892 le dimissioni si dedicò interamente allo studio dei problemi sociali. Nel 1893 si dichiarò socialista e marxista. Tra il 1898 ed il 1901 partecipò al dibattito sulla crisi del marxismo schierandosi dalla parte dei revisionisti. Prese le difese di Alfred Dreyfus. A partire dal 1905, fu tra i maggiori teorici del sindacalismo rivoluzionario che consideravano il sindacato, libero da ogni influenza politica, lo strumento essenziale della lotta di classe.
Nel 1908 pubblicò il suo libro più famoso, le Considerazioni sulla violenza (Réflexions sur la violence), già edite nel 1905-1906 in una versione iniziale sulla rivista sindacalista rivoluzionaria di Roma diretta da Enrico Leone, "Il Divenire sociale".
Intrattenne una fitta corrispondenza con Benedetto Croce, con il sociologo Vilfredo Pareto e con i pubblicisti Mario Missiroli ed Agostino Lanzillo, ma anche saltuariamente con i sociologi Guglielmo Ferrero, Gustave Le Bon, con il filosofo Henri Bergson e per un certo periodo con Antonio Labriola. Sorel considerava la violenza necessaria nella lotta contro il capitalismo e rimproverava al marxismo volgare il suo carattere utopistico e dogmatico. Le lotte sociali dei lavoratori, ed in particolare lo sciopero generale proletario (per differenziarlo invece dallo sciopero generale politico), erano da lui ritenute come il mito sociale garante delle trasformazioni.
Dopo un periodo di disillusioni che lo portò a guardare con simpatia all'estrema destra antiparlamentare francese (1909-1912), divenne un oppositore accanito alla guerra scatenata nel 1914 e poi un sostenitore della Rivoluzione russa e dei bolscevichi.
Il suo pensiero destò più fascino in Italia, (dove pubblicò alcuni dei suoi libri, fra cui i Saggi di critica del marxismo), che in ogni altro paese, compresa la stessa Francia. La prima traduzione italiana delle Considerazioni sulla violenza fu realizzata da Antonio Sarno e pubblicata per i tipi della Casa Editrice Giuseppe Laterza e figli nel 1909 con una introduzione di Benedetto Croce.

Pensiero politico
Il proletariato non ha bisogno di guide e, attraverso l'auto-organizzazione, può rendersi consapevole della sua funzione rivoluzionaria. Contro la tesi marxista del proletariato organizzato da un partito, Sorel auspica - senza per questo riprendere le idee anarchiche di Michail Bakunin ma semmai quelle di Proudhon - che l'azione diretta, senza mediazione alcuna, sia lo strumento dell'azione rivoluzionaria. Sorel esalta il primato dell’azione: un elogio del "fare" che ha un risvolto filosofico in quanto si richiama alla tesi di Giambattista Vico, ripresa da Marx, secondo cui l'uomo conosce solo quello che fa. Da qui, in Sorel, una particolare idea della coscienza di classe che non è data in sé, ma si forma nell'azione con l'acquisizione progressiva di capacità tecniche e morali. Questa crescita può esistere solo se i gruppi operai rimangono completamente scissi dalla società borghese, dal punto di vista organizzativo e ideologico : è questo il principio dell'autonomia operaia che è al centro della tematica soreliana.
Nel suo saggio Riflessioni sulla violenza contrappone al mondo storico un mondo fantastico creato dall'azione, che diviene mito sociale quando viene assimilato dalla masse come punto di riferimento. Il mito sociale è espressione della volontà e non dell'intelletto, ben diversamente dalla utopia che è un prodotto intellettuale.
Nel suo altro libro fondamentale, Le illusioni del progresso, edito nel 1908, Sorel critica il positivismo che veicola una fiducia sproporzionata nella capacità della scienza a risolvere tutti i problemi e l'ideologia illuministica del progresso che crea l'illusione pericolosa della felicità prodotta naturalmente dall'operare borghese. Da qui l'accostamento con il pensiero antipositivista di Bergson, anche se non proprio con la sua teoria dello "slancio vitale" dalla quale si discosta esplicitamente.
Il pensiero di Sorel si caratterizza, dunque, per una feroce critica antiborghese: la borghesia si accontenta della propria mediocrità ed è attirata solo dalla vita comoda e dal denaro; il parlamento è il tipico luogo politico della borghesia, è utile solo al mantenimento dello status quo, e vi si palesa quel chiacchiericcio vuoto che è tipico dell’essenza borghese.
Il socialismo parlamentare è degenerazione del socialismo in quanto legittima lo Stato e finisce, perciò, per legittimare la borghesia; l’alternativa è l’azione rivoluzionaria del proletariato (che non deve condividere nulla con le istituzioni e le organizzazioni borghesi). Visto che si sta consolidando la prassi di un socialismo parlamentare, va da sé che la rivoluzione non potrà essere condotta dal partito, bensì dal sindacato. Si arriverà alla rivoluzione attraverso lo sciopero che, secondo Sorel, è un vero e proprio “tirocinio rivoluzionario”: attraverso lo sciopero il proletariato acquisisce coscienza di classe. Dallo sciopero generale condotto non tanto per motivi sindacali quanto per motivi politici, si genererà prima il fastidio per lo sconvolgimento dell'ordine sociale, e, in seguito la reazione repressiva violenta della borghesia che farà nascere la spontanea e violenta controreazione rivoluzionaria del popolo guidato dal proletariato. Lo sciopero generale è punto creatore della rivoluzione: porta all’abolizione delle differenziazioni sociali; non ha, però, una tempistica e dei confini precisi, è un’essenza di riscatto sempre presente nelle coscienze dei proletari. Lo sciopero generale è “il mito nel quale si racchiude tutto intero il socialismo”; lo sciopero non potrà mai essere strumento di contrattazione in quanto “tirocinio rivoluzionario”.

Sorel su Mussolini e il fascismo
Per anni la questione dei rapporti di Sorel con Mussolini e il fascismo fu controversa in particolare a causa di testimonianze da parte di giornalisti di destra come Daniel Halévy o Jean Variot. Quest'ultimo, che simpatizzava con il fascismo, pubblicò nel 1922 una necrologia di Sorel (su "L'Eclair", 11 settembre), e nel 1935 Propos de Georges Sorel; in entrambi erano attribuite a Sorel delle pretese dichiarazioni filofasciste fatte nel 1912 e anche in seguito. Oggi conosciamo la posizione di Sorel attraverso le corrispondenze pubblicate, che mostrano un atteggiamento critico, in particolare nel 1921. È comunque assodato che Mussolini fu ispirato dal pensiero di Sorel.

• 1938 - Béla Kun, all'anagrafe Ábel Kohn (Szilágycseh Ungheria, oggi Cehu Silvaniei, Romania, 20 febbraio 1886 – 29 agosto 1938), è stato un politico comunista ungherese, che governò l'Ungheria per un breve periodo nel 1919.
Il padre di Kun, un notaio di villaggio, era ebreo, mentre la madre protestante. Béla cambiò il suo cognome dall'ebraico Kohn all'ungherese Kun. Anche se Béla Kun era ateo e rimase sempre ostile a tutte le forme di religione, il suo cognome originale ebraico fu il pretesto di molti pregiudizi anti-semiti contro di lui nel corso della sua vita.
Nonostante l'educazione laica in famiglia, frequentò un collegio riformato nella città di Kolozsvár (l'odierna Cluj-Napoca, Romania). Al collegio Kun vinse il premio per il miglior saggio di letteratura ungherese che gli permise di passare ad un Ginnasio; il saggio di Kun era sul poeta Sándor Petőfi.
Prima della prima guerra mondiale, era un giornalista con simpatie per il Partito Socialdemocratico Ungherese. Inoltre Kun fece parte del Consiglio Assicurativo Sociale di Kolozsvár, dal quale fu poi accusato di peculato. Kun aveva un carattere impetuoso e fu spesso coinvolto in duelli. Nel maggio 1913, Kun si sposò con l'insegnante di musica Iren Gal.

Carriera nel movimento dei lavoratori
Durante la sua giovinezza a Kolozsvár, Kun divenne amico del poeta Endre Ady, che gli fece conoscere diversi intellettuali di sinistra di Budapest.
Kun combatté per l'Impero Austro-Ungarico nella prima guerra mondiale, e fu catturato e fatto prigioniero di guerra nel 1916 dai russi. Fu mandato in un campo di prigionia sugli Urali, dove divenne comunista. Nel 1917 Kun rimase affascinato dalla rivoluzione russa. Egli, del resto in accordo con la teoria marxista, riteneva che il Comunismo fosse più adatto a nazioni "civilizzate" come l'Ungheria invece che alla "barbarica" Russia. Durante il periodo in Russia, Kun imparò il russo (inoltre conosceva bene il tedesco e l'inglese).
Nel marzo 1918, a Mosca, Kun fondò il Gruppo Ungherese del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (il predecessore del Partito Comunista Ungherese). Kun viaggiò molto, anche a Pietrogrado e a Mosca. Lì conobbe Lenin, ma all'interno del Partito lui formò l'opposizione ultra-radicale di sinistra a Lenin e alla corrente bolscevica. A differenza del pragmatismo di Lenin, Kun e i suoi amici (fra cui Umberto Terracini e l'ungherese Mátyás Rákosi) si aggregarono a Grigorij Zinov'ev o a Karl Radek, sostenendo la politica dell'"offensiva rivoluzionaria con tutti i mezzi". Lenin spesso li chiamava "kuneristi".
Nella guerra civile russa nel 1918, Kun combatté per i bolscevichi. Durante questo periodo, per la prima volta iniziò a preparare dettagliati piani per esportare il Comunismo in Ungheria. Nel novembre 1918, Kun, con almeno diverse centinaia di altri comunisti ungheresi, e con parecchio denaro datogli dai sovietici, ritornò in Ungheria.

Fino alla repubblica sovietica
In Ungheria, le risorse di un governo ormai in frantumi furono ulteriormente messe sotto pressione dai rifugiati delle regioni conquistate dagli Alleati durante la guerra e sembrarono perse definitivamente con il Trattato del Trianon. L'inflazione inarrestabile, la mancanza di alloggi, la disoccupazione di massa, la mancanza di cibo e di carbone indebolirono ulteriormente l'economia e stimolarono proteste popolari. Nell'ottobre 1918, la cosiddetta "Rivoluzione Aster" stabilì un'instabile coalizione democratica di governo. Kun fondò il Partito Comunista Ungherese a Budapest il 4 novembre 1918.
Kun immediatamente iniziò una campagna di propaganda molto attiva contro il governo: lui e i suoi seguaci ingaggiarono forti attacchi contro il Presidente, Conte Mihály Károlyi e i suoi alleati Socialdemocratici.
I discorsi di Kun avevano un considerevole impatto sugli ascoltatori.
Inoltre i comunisti organizzavano frequenti marce e scioperi. Desiderando tentare una rivoluzione comunista, che, mancando il supporto delle masse, poteva solo essere un colpo di stato, Kun comunicò per telegrafo con Lenin. Kun accumulò un seguito considerevole, sebbene i socialdemocratici, che erano il più grande partito d'Ungheria, continuassero a sottostimare i comunisti.
Il 22 febbraio 1919, i comunisti condussero una rumorosa manifestazione davanti alla sede del giornale socialdemocratico Népszava che finì in una sparatoria che uccise quattro poliziotti. Dopo questo incidente, Kun fu arrestato. La polizia di Budapest malmenò duramente Kun, facendolo anche oggetto di ingiurie anti-semite. Al pestaggio assistette un giornalista.
La notizia delle violenze subite da Kun gli portarono molte simpatie fra la popolazione. Kun perdonò i suoi nemici. Rimase in prigione fino al 21 marzo 1919.
Il 19 marzo 1919 il Colonnello francese Fernand Vyx presentò la "Nota Vyx", ordinando che le forze ungheresi si ritirassero ulteriormente dalle loro postazioni. Si sapeva che la conferenza di pace fra l'Ungheria e gli Alleati avrebbe scelto il fronte come nuovo confine. La Nota Vyx creò una enorme ondata d'indignazione nazionalista, e gli ungheresi scelsero di combattere gli Alleati invece di accettare i nuovi confini. Károlyi si dimise in favore dei Socialdemocratici. Da parte loro, i Socialdemocratici compresero che l'Ungheria aveva bisogno di alleati per affrontare una guerra, e l'unico alleato possibile era l'Unione Sovietica. Essendo nota l'amicizia fra Kun e Lenin, si pensò che una sua partecipazione al governo avrebbe convinto i sovietici ad aiutare l'Ungheria.
I Socialdemocratici cercarono di convincere Kun a formare una coalizione di governo. Kun accettò, ma pretese l'unione dei partiti Socialdemocratico e Comunista, la proclamazione di una Repubblica Sovietica e diversi altri provvedimenti radicali. Il 21 marzo 1919 fu annunciata la creazione della Repubblica Sovietica Ungherese; i Socialdemocratici e i Comunisti confluirono nel Partito Socialista Ungherese, e Béla Kun fu scarcerato e assunse il suo incarico.
I Socialdemocratici continuarono a detenere la maggioranza dei seggi nel governo. Di 33 Commissari del Popolo del Consiglio Rivoluzionario di Governo, quattordici erano ex-Comunisti, diciassette erano ex-Socialdemocratici, e due non appartenevano ad alcun partito. Con l'eccezione di Kun, ogni Commissario era un ex-Socialdemocratico e ogni Commissario Deputato era un ex-Comunista.

La repubblica sovietica ungherese
Il 21 marzo 1919 Kun e il Partito Comunista fecero la loro mossa, stabilendo la Repubblica Sovietica Ungherese, il secondo governo comunista in Europa dopo la stessa Russia. Nella Repubblica Sovietica Kun ricoprì la carica di Commissario per gli Affari Esteri, ma fu in realtà la personalità dominante nel governo durante la sua breve esistenza. Come Kun disse a Lenin: "La mia personale influenza nel Consiglio Rivoluzionario di Governo è tale da garantire la stabilità della dittatura del proletariato, dal momento che le masse mi sostengono".
Il primo provvedimento del nuovo governo fu di nazionalizzare tutta la proprietà privata. Contrariamente al parere di Lenin e dei Bolscevichi, il governo di Béla Kun si rifiutò di ridistribuire i terreni ai contadini, alienandosi così la maggioranza della popolazione. Invece Kun dichiarò che tutti i terreni dovevano essere riconvertiti in cooperative agricole e, per la mancanza di qualcuno qualificato a gestirle, mantenne gli ex proprietari e dirigenti delle tenute come dirigenti delle nuove aziende collettive.
In un tentativo di guadagnare un maggiore supporto popolare, Kun cancellò tutte le imposte delle zone rurali, ma ottenne l'effetto contrario, in quanto i contadini consideravano qualsiasi governo che non esigesse le tasse un governo debole. La Repubblica Sovietica inasprì la già alta inflazione aumentando la moneta in circolazione e si dimostrò anche incapace di risolvere il problema della carenza di abitazioni. Per fornire cibo alle città, il governo se lo procurò requisendolo nelle campagne.
All'interno del Partito Socialista, era in corso una diatriba aspra e inutile sul nome definito del partito. Gli ex-Socialdemocratici preferivano Partito Socialista Ungherese dei Lavoratori, invece gli ex-Comunisti Partito Comunista Socialista Ungherese dei Lavoratori. Nei ranghi degli stessi ex-comunisti, si andava formando una scissione fra fazione rurale e fazione urbana.
Dopo un fallito tentativo di colpo di stato anti-comunista il 24 giugno, il governo rispose instaurando una feroce repressione attraverso la polizia segreta e tribunali rivoluzionari. I cadetti dell'accademia militare furono quindi arrestati e condannati a morte e successivamente salvati grazie all'intervento del colonnello Guido Romanelli, unico rappresentante degli Alleati a Budapest. Si pensa che il maggior limite all'instaurazione di questo clima di terrore furono gli ex-Socialdemocratici.
L'opposizione sembrava essere concentrata nella città di Szeged e attorno al Contrammiraglio Miklós Horthy, che formò un Esercito Nazionale per combattere la Repubblica Sovietica. Comunque l'Esercito Nazionale non fu mai visto in azione ma solo marciare a Budapest dopo la ritirata dei rumeni nel novembre 1919. È importante notare che anche Horthy, una volta preso il potere, non esitò a instaurare un regime del terrore nel biennio 1919-20.
Il governo dei Soviet durò solo 133 giorni e cadde il 1 agosto 1919. La Repubblica Sovietica e conseguentemente anche l'Armata Rossa Ungherese erano state create per opporsi alla Nota Vyx. Dato che la disparità militare fra l'Ungheria e gli Alleati era notevole, le possibilità di vittoria dell'Ungheria erano minime. Per prendere tempo, Kun cercò di negoziare con gli Alleati, incontrando il Primo Ministro Sudafricano, il Generale Jan Smuts, ad un summit a Budapest ad aprile. Si dimostrò impossibile giungere ad un accordo e l'Ungheria fu presto in guerra contro il Regno di Romania e la Cecoslovacchia, entrambe aiutate dalla Francia. L'Armata Rossa Ungherese ottenne qualche vittoria sui cecoslovacchi, conquistando la maggior parte della Slovacchia entro giugno.
Comunque gli ungheresi furono ripetutamente sconfitti dai rumeni. A metà del luglio 1919, Kun decise di concentrarsi completamente in un'offensiva contro i rumeni. L'Unione Sovietica promise di invadere la Romania, d'accordo con Kun. Però le disfatte subite dall'Armata Rossa in Ucraina fermarono l'invasione della Romania prima che iniziasse. I rumeni poi invasero l'Ungheria, presero Budapest, sconfissero i comunisti e il 1 agosto 1919 li forzarono a lasciare il potere ad un Partito Socialdemocratico.

Attività in Austria e in Crimea
Béla Kun successivamente andò in esilio a Vienna, controllato dal Partito Socialdemocratico d'Austria. Fu arrestato e internato in Austria, ma fu rilasciato in cambio di prigionieri austriaci in Russia nel luglio 1920.
Una volta in Russia, Kun rientrò nel Partito Comunista dell'Unione Sovietica e fu messo a capo del regionale Comitato Rivoluzionario in Crimea.

L'“azione di marzo” in Germania
Kun divenne un leader importante all'interno del Comintern, come alleato di Grigory Zinoviev. Nel marzo 1921, Kun fu mandato in Germania a coordinare il Partito Comunista di Germania (KPD). Incoraggiò il KPD a seguire la "Teoria dell'Offensiva", supportata da Zinoviev e da altri kuneristi.
Il 27 marzo i leader del KPD presero la decisione di lanciare un'offensiva rivoluzionaria in supporto dei minatori della Germania centrale. Kun fu la forza motrice dietro questo colpo di stato comunista chiamato "l'azione di Marzo".
All'inizio di aprile, Otto Horsing, l'Oberpräsident della Sassonia del Partito Socialdemocratico Tedesco, diede istruzione alla polizia e alle forze paramilitari di occupare le miniere di rame e le industrie chimiche presso Halle, "per prevenire sabotaggi e attacchi ai dirigenti". Il vero motivo era di prevenire la presa del potere da parte dei comunisti e di pacificare l'area, con la forza se necessario, e di purgare le unioni e organizzazioni locali riconducibili ai comunisti.
Sotto la leadership dell'anarchico Max Hoelz, sorse un'opposizione armata allo Stato. Il KPD esortò la classe lavoratrice ad armarsi in solidarietà con l'opposizione armata. Ma avevano un giudizio completamente erroneo dell'umore del popolo tedesco, e la sommossa rimase circoscritta alla Germania centrale. Anche uniti, gli anarchici di Hoelz e il KPD non avevano un reale supporto di massa, e le forze governative agivano senza un'opposizione significativa (gli scioperanti non volevano essere coinvolti in un conflitto armato contro la polizia). Si verificarono casi (come la fabbrica delle Industrie Krupp o il cantiere navale di Amburgo) di operai che cacciavano via gli agitatori comunisti dai posti di lavoro con i manganelli.
I retroscena e l'organizzazione dell'"Azione di Marzo" sono a tutt'oggi oscuri. Ci furono alcuni (come Ruth Fischer, leader del KPD) che insinuarono che i leader comunisti sovietici cercassero di distogliere l'attenzione pubblica dai problemi interni del Comintern e del Partito Comunista. Altri dicevano che l'"Azione di Marzo" era un risultato diretto del radicalismo eccessivo dell'opposizione kunerista a Lenin, la quale era ansiosa di verificare il proprio peso nel Partito.
Alla fine, Lenin si arrabbiò con se stesso per aver dato l'incarico a Kun e lo sostituì per la sua responsabilità nel fallimento della rivoluzione tedesca. Lenin era irritato dalle azioni di Kun e dal suo fallimento nell'assicurare una rivolta generale in Germania. In un Congresso del Comitato Operativo - come scrive Victor Serge - definì le sue azioni idiote ("les bêtises de Béla Kun"). Comunque Kun rimase membro del Comitato Operativo, e il documento conclusivo redatto alla fine della seduta ammise formalmente lo "spirito di battaglia" dei Comunisti tedeschi.
Kun non fu privato dei suoi incarichi nel Partito, ma l'"Azione di marzo" rappresentò la fine dell'opposizione radicale e della teoria dell'"Offensiva Permanente":
«L'analisi finale della situazione mostra che Levin era politicalmente nel giusto in diversi casi. La tesi di Thallheimer e Béla Kun è politicamente totalmente falsa.»
Durante gli anni venti Kun rimase un importante membro del Comintern, operando soprattutto in Germania, Austria e Cecoslovacchia, ma nell'ultimo periodo la sua notorietà lo rese meno utile per lavori sotto copertura.

La morte
L'ultimo incarico sotto copertura di Kun finì nel 1928, quando fu arrestato a Vienna dalla polizia locale per aver viaggiato con un passaporto falso. Quando Kun giunse a Mosca, spese la maggior parte del suo tempo vendicandosi degli altri comunisti ungheresi emigrati, diversi dei quali egli denunciò alla polizia segreta sovietica, la OGPU, che li arrestò negli ultimi anni venti e nei primi anni trenta.
Béla Kun fu accusato di trotskismo e venne ucciso alla fine degli anni trenta, durante le purghe staliniane contro la vecchia guardia comunista.
Le fonti differiscono sulla data precisa e su come sia morto Kun. È stato accertato che Kun fu torturato dalla NKVD, ma le fonti divergono su ciò che gli accadde dopo. Alcuni arrivarono a stabilire che Kun fu giustiziato segretamente nel 1937. Altre fonti riportano che Kun fu mandato in un gulag e ucciso lì nel 1938 o nel 1939. Nel 1989 il governo sovietico annunciò che Kun era stato giustiziato nel gulag il 29 agosto 1938. Secondo l'edizione del 2002 dell'Enciclopedia Britannica, Kun fu giustiziato il 30 novembre 1939. Anche la vedova di Kun fu mandata nel gulag, come sua figlia e il suo figliastro. Kun fu riabilitato nel 1956, durante la destalinizzazione.

• 1975 - Eamon de Valera, alla nascita Edward George de Valera, grafia in gaelico Éamonn de Bhailéara (New York, 14 ottobre 1882 – Dublino, 29 agosto 1975), è stato un politico e patriota irlandese. È stato una tra le figure di spicco della lotta irlandese per l'indipendenza dalla Gran Bretagna nella prima parte del XX secolo. Successivamente è stato tre volte Capo del Governo della Repubblica d'Irlanda (dal 29 dicembre 1937 al 18 febbraio 1948, dal 13 giugno 1951 al 2 giugno 1954 e dal 20 marzo 1957 al 23 giugno 1959). Ha fatto parte del Sinn Féin prima di fondare il Fianna Fáil.
Ha terminato la carriera politica come Presidente d'Irlanda, carica che ha coperto per due mandati consecutivi dal 25 giugno 1959 al 24 giugno 1973.
Fu tra i capi dell'insurrezione di Pasqua del 1916, per l'indipendenza. Nel 1922 ricusò il trattato Anglo-Irlandese che stabiliva la nascita delle due Irlande. Durante uno dei suoi mandati come primo ministro, ruppe gli ultimi legami che univano l'Irlanda alla Gran Bretagna e nel 1937 riuscì a far adottare la nuova costituzione.

• 1980 - Franco Basaglia (Venezia, 11 marzo 1924 – Venezia, 29 agosto 1980) è stato uno psichiatra italiano, rappresentante della psichiatria italiana del Novecento.
A lui si deve l'introduzione in Italia della "legge 180/78", dal suo nome chiamata anche Legge Basaglia, che introdusse una importante revisione ordinamentale sui manicomi e promosse notevoli trasformazioni nei trattamenti psichiatrici sul territorio.
«Dal momento in cui oltrepassa il muro dell'internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale ([...]); viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione. Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell'individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell'internamento. L'assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l'essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l'aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che – proprio in quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell'asilo» (Franco Basaglia, 1964)
Nel 1971 sottoscrive l'appello pubblicato sul settimanale L'Espresso sul caso Pinelli.
Nel gennaio 1977 viene annunciata la chiusura del manicomio "San Giovanni" di Trieste entro l'anno. L'anno successivo, il 13 maggio 1978, in Parlamento viene approvata la legge 180 di riforma psichiatrica. Nel 1979 Basaglia parte per il Brasile, dove, attraverso una serie di seminari raccolti successivamente nel volume Conferenze brasiliane, testimonia la propria esperienza. Nel novembre del 1979 lascia la direzione di Trieste e si trasferisce a Roma, dove assume l'incarico di coordinatore dei servizi psichiatrici della Regione Lazio.
Nella primavera del 1980 si manifestano i primi sintomi di un tumore al cervello, che in pochi mesi lo porterà alla morte, avvenuta il 29 agosto 1980 nella sua casa di Venezia. A distanza di 30 anni, benché sia stata più volte oggetto di discussione e di tentativi di revisione, la legge 180 è ancora la legge quadro che regola l'assistenza psichiatrica in Italia.[3][4][5]

Il pensiero
Già durante gli anni di studio universitario e di specializzazione in neuropsichiatria presso l'Ateneo padovano, Basaglia tenta di integrare la rigida impostazione medica di matrice positivista, con un nuovo approccio filosofico di stampo fenomenologico-esistenziale. Egli è alla ricerca di nuovi strumenti di validazione funzionali alla nuova idea psichiatrica che gradualmente sta maturando in lui proprio grazie alle letture filosofiche.

Impostazione positivista e fenomenologica in psichiatria
Basaglia supera la semplice visione positivista, facendo proprie istanze di una visione fenomenologica della psichiatria:
Secondo l'impostazione positivista, i sintomi della malattia vengono considerati "dati oggettivi", "fatti" osservati empiricamente, per classificare in modo oggettivo la malattia, ipotizzare una eventuale prognosi, con un approccio non dissimile al metodo di osservazione tipico delle scienze naturali.
Secondo l'impostazione fenomenologica, la psichiatria non può ridurre il malato ad una serie di sintomi classificati, sebbene la loro osservazione e la loro descrizione dettagliata rimangano strumenti preziosi. Il paziente non si può osservare solamente dall'esterno, poiché la psiche umana è decisamente più complessa e misteriosa, la psichiatria non deve “oggettivizzare” il malato in una diagnosi.
Basaglia sostiene che il medico non deve solo saper osservare la malattia, soffermarsi sui suoi sintomi, pretendere di darne una spiegazione. Il medico deve anche saper avvicinare il paziente mettendosi dalla sua parte, stabilire una relazione con un ascolto attento e partecipe senza temere l'esperienza dell'immedesimazione e della sofferenza. Lo psichiatra avvicinandosi al paziente deve prendere in carico tutta la persona, il suo corpo e la sua mente, il suo essere nel mondo e dunque la sua storia e la sua vita.
«Comprendere significa avvicinarsi all'esperienza vivente nei suoi stessi termini, mobilitando non il semplice intelletto, ma tutte le capacità intuitive del nostro animo, per penetrarne l'intima essenza senza ridurla ad ipotesi casuali precostituite [6] »
È evidente, in questa prima elaborazione l'influenza del pensiero di Karl Jaspers.

Influenza del pensiero fenomenologico
Negli anni '50, studiando Ludwig Binswanger, Basaglia entra in contatto con l'esperienza fenomenologica di Edmund Husserl.
Basaglia riprende da Husserl la sua analisi del corpo, in particolare la distinzione tra:
• Körper: il mero corpo fisico, la cosa, la corporeità oggettuale, il corpo esteso
• Leib, il corpo proprio, il mio corpo, il corpo vivente.
Tale distinzione è trattata da Husserl nelle Meditazioni cartesiane, in particolare nella Quinta:
«..appartiene alla mia proprietà, purificata da ogni senso di soggettività estranea, un senso di mera natura che ha perduto anche l’esserci-per-ciascuno e che perciò non può in alcun modo esser preso per una falda astrattiva del mondo stesso, o meglio del suo senso. Tra i corpi di questa natura presi come appartenenti-a, io trovo allora in una determinazione unica il mio corpo, che è appunto l’unico a non essere mero corpo fisico o cosa [Körper], ma invece mio corpo, corpo umano, corpus [Leib], oggetto unico al di dentro della mia falda di mondo astrattiva, alla quale ascrivo il campo di esperienza sensibile, sebbene in modi diversi di appartenenza (campo di sensazioni tattili, campo di sensazioni termiche ecc.); ed il mio corpo è la sola ed unica cosa in cui io dispongo ed impero immediatamente e comando singolarmente in ciascuno dei suoi organi [7].»
Con la nozione di corpo vissuto, Husserl sancisce il superamento definitivo della divisione tra res cogitans e res extensa, ovvero tra psiche e soma, il dualismo cartesiano di anima/corpo, la cui opposizione aveva caratterizzato la psicologia e la psichiatria, con vicende alterne, fino ad allora. Il corpo non dovrebbe essere sentito come ostacolo da superare ma come veicolo che immette la persona nel mondo. Basaglia a proposito scrive:
«L'opaca impenetrabilità del corpo che noi avvertiamo e viviamo come la resistenza delle cose è, dunque, la precategorialità di cui parla Husserl, per il quale il corpo si dà come materia (impenetrabile, opaco, passivo) ma proprio nel suo essere tale è contemporaneamente una modalità del corpo-proprio di esperire la materia […] in me c’è dunque un'enigmatica qualità per cui la materia, costitutiva di me stesso, è — nel mio rapporto con le cose — il mio modo di esperire, la mia possibilità di vivere in mezzo all’oggettualità delle cose [8].»
Basaglia approfondisce anche il concetto di epoché di Husserl, inteso come sospensione del giudizio sul mondo, sulla sua naturalità, ovvietà, per diventare, prima ancora che un oggetto a sè stante, un puro fenomeno di coscienza. L'epoché non è un annullamento del mondo che continua ad esistere, ma si configura come spostamento dello sguardo dal mondo a come il mondo si presenta alla coscienza, o come, quest'ultima, si protende nel mondo.

Influenza del pensiero esistenziale
Negli anni '50, Basaglia entra in contatto anche con l'Esistenzialismo di Martin Heidegger, da cui riprende la tesi ontologica della struttura fondamentale dell'esserci come essere-nel-mondo (In-der-Welt-sein).
La Daseinsanalyse permette la comprensione delle modalità con le quali si manifesta nel mondo l'essere umano, sia esso sano o malato. Superando la visione dualistica soggetto/oggetto, la Daseinsanalyse permette di sciogliere l'incomprensibilità della malattia mentale, mettendo sullo stesso piano di possibilità tutte le modalità esistenziali, abolendo la distinzione normativa sano/malato di matrice positivista. Si sposta l'attenzione ormai in maniera definitiva dall'osservazione e catalogazione delle manifestazioni sintomatologiche del malato, all'indagine delle modalità con le quali la persona sofferente esprime se stessa nel mondo.
Secondo Heidegger l'essere dell'uomo come essere-nel-mondo consiste nel prendersi cura (Sorge) delle cose e degli altri. Il prendersi cura è dunque l'essenza dell'esistere umano. L'uomo è legato alla finitezza dei suoi bisogni e dei suoi progetti, non conosce la sua origine e non sa la sua fine. Egli deve imparare a convivere con il nulla, con il non senso radicale della vita. Egli deve imparare a convivere con l’angoscia che tutto ciò implica.

Influenza del pensiero di Minkowski
Basaglia rielabora la visione del tempo proposta da Eugéne Minkowski, partendo dalla concezione della durée (durata) di Henri Bergson.
Minkowski esamina la vita alla stregua di un flusso e polemizza con la considerazione che vuole accostare il tempo ad una visione lineare attraverso una sua spazializzazione. Minkowski riflette sullo slancio vitale che, ponendo l’essere umano nei confronti della sua durata con lo sguardo rivolto verso l’avvenire (provenendo dal passato), fa sì che si possa sviluppare autenticamente quello che lui chiama contatto vitale con la realtà. Egli scrive:
«Il contatto vitale con la realtà sembra rapportarsi ai fattori irrazionali della vita. I concetti ordinari, elaborati dalla fisiologia e dalla psicologia, quali stimolo, sensazione, riflesso, atto motorio ecc., le passano accanto senza raggiungerla, senza nemmeno sfiorarla. […] Il contatto vitale con la realtà riguarda molto di più il fondo stesso, l’essenza della personalità vivente nei suoi rapporti con l’ambiente. E questo ambiente, ancora una volta, non è né un insieme di stimoli esterni, né di atomi, né di forze o energie; è un’onda mobile che ci avvolge da ogni parte e che costituisce il mezzo senza il quale non potremmo vivere[9].»
Per Minkowski la caratteristica principale dello schizofrenico è proprio «la mancanza di contatto vitale con la realtà»[10].
Il contatto vitale con la realtà si configura dunque come un flusso. Come per Binswanger, secondo Minkowski chi soffre di disturbi mentali subisce la fossilizzazione del proprio flusso temporale che si riduce ad essere una sosta continua in un presente costante e sempre attuale.
Altro tema che affascina Basaglia è la riflessione sulla simpatia. Questa è essenziale perché si verifichi l’autenticità del contatto vitale con la realtà:
«La simpatia non potrà essere istantanea, vi è sempre in essa della durata, e in questa durata vi sono due divenire, i quali, in perfetta armonia, fluiscono l’uno accanto all’altro. Così facendo essi si penetrano tanto intimamente che, anziché ammettere l’esistenza di un sentimento che quasi per risonanza evocherebbe un sentimento analogo in un altro individuo, si sarebbe piuttosto inclini a considerarlo un sentimento solo che, pur restando uno, si integri in due vite individuali diverse. Si tratta qui di vera partecipazione [11].»
Così come la comprensione, la simpatia (e con essa la partecipazione) ha bisogno di chiarire la propria appartenenza al tempo e al flusso del divenire (la tensione verso l’avvenire in particolar modo), inteso come una durata costante, per nulla lineare e per nulla spaziale, in cui si accetta silenziosamente la linea tendenziale di uno scorrere frammentato eppure continuo, peculiare e denso dei rimandi che ad esso provengono dal mondo tutto, quello spaziale e quello temporale. L'incontro profondo, sintonico, tra medico e paziente, su cui si fonda il metodo di Minkowski, promuove un atto di conoscenza: quella che il medico acquisisce della struttura del malato e la consapevolezza che il malato acquista di sé.
Basaglia fa proprio il metodo di Minkowski, dichiarando di preferirlo ad un'indagine psicoanalitica o ad una “logoterapia”, poiché si propone di osservare l'individuo nella sua globalità e perché considera la cura un tentativo di ricondurre la persona alle sue piene possibilità esistenziali. L'opera dello psichiatra dunque non si esaurisce nell'atto medico di affrontamento dei sintomi e risoluzione della sofferenza, ma si sviluppa in tutti i tentativi possibili per consentire alla persona che è di fronte di ritornare nell'ambiente sociale dal quale in passato è stata esclusa.

Influenza del pensiero di Merleau-Ponty e J.P. Sartre
Dalla seconda metà degli anni cinquanta fino agli ultimi scritti il pensiero di Basaglia è stato fortemente influenzato da Merleau-Ponty e Jean-Paul Sartre. La rivista da loro fondata Les Temps Modernes e i loro due testi principali, Fenomenologia della percezione (1945) e L'essere e il nulla (1945), sono i capisaldi della formazione di un'intera generazione di psichiatri di quegli anni, e testi continuamente citati negli scritti dello stesso Basaglia. Lo psichiatra non solo studia Sartre, ma lo incontra in più occasioni, non nascondendosi la reciproca stima.
In questo periodo la preoccupazione principale di Basaglia è il recupero dell'entità corporea, dando nuovo valore al corpo custodito all'interno delle istituzioni manicomiali. Egli adotta la nozione di corpo vissuto che caratterizza il pensiero di Sartre. Per Sartre si scopre il proprio corpo come oggettività, datità, fattità, corpo per altri, esposto allo sguardo degli altri, ma anche come soggettività mai completamente oggettivabile: corpo per me, grazie al quale si è situati in un mondo, si esiste in un mondo. Nel suo testo L'essere e il nulla, Sartre distingue la coscienza, il per-sé, dal mondo, l’in-sé, e mostra come questa sia sempre coscienza di qualcosa. Pur essendo sempre nel mondo, nell’essere in sé, è radicalmente diversa da esso, è possibilità, è libertà. Pertanto l’uomo, una volta gettato nella vita, è responsabile di tutto ciò che fa e progetta. L’uomo deve scegliere, deve scegliersi, ma l’esperienza della libertà incondizionata, del nulla, genera angoscia. Spesso egli tenta di sfuggire a questa ansia, illudendosi di essere all’interno di un mondo razionale o cercando sicurezze attraverso finalismi e valori trascendenti. Oppure è condannato a convivere con questa situazione di fatto, con la sua “fattità”.
Per quanto riguarda più strettamente l’analisi del corpo, non sono da trascurare i riferimenti a Maurice Merleau-Ponty che, a differenza di Sartre, è rimasto più vicino alla matrice fenomenologica dell’esistenzialismo. Il filosofo non condivide la rigida distinzione sartriana tra corpo per sé e corpo per altri e neppure l'antitesi tra per sé e in sé, in quanto si rischia di ricadere nel dualismo di matrice cartesiana. Secondo Merleau-Ponty uomo e mondo non possono mai distinguersi nettamente, il loro intrecciarsi è complesso e ambiguo. Questa complessità ed ambiguità, è rispecchiata proprio dal corpo, che è il mezzo per avere un mondo. Tale ambiguità mostra, infatti, come la libertà possa esistere ma sia condizionata, proprio perché l'essere umano è mescolato al mondo e agli altri in una confusione inestricabile. Questa è la situazione naturale per l’uomo ed egli deve accettarla, senza tentare di superarla, per essere libero. Basaglia afferma che il corpo non è “soltanto oggetto complementare alla soggettività dell’io, ma rappresenta, come dice Merleau-Ponty, l’esperienza più profonda ed insieme la più ambigua delle percezioni: proprio questa ambigua bipolarità del corpo, contemporaneamente presente e dimenticato, soggetto e oggetto delle percezioni, fa dell’esperienza corporea la più fragile delle esperienze.”[12]

Altri testi fondamentali
Nel 1961 vengono pubblicati altri tre libri fondamentali per gli sviluppi successivi del pensiero di Basaglia:
I dannati della terra di Frantz Fanon,
Asylums, la condizione sociale del malato di mente e di altri internati di Erving Goffman,
Storia della follia nell’età classica di Michel Foucault.

Rielaborazione originale
Studiando questi filosofi Basaglia prende sempre più coscienza che gli insegnamenti dei diversi modelli si integrano nella concezione della dimensione corporea come prioritaria, sulla quale il lavoro della psichiatria deve affondare i propri strumenti, proprio in ragione della natura specifica del corpo stesso.
Egli matura l'urgenza di migliorare la gestione e la custodia dei malati mentali. Da questa analisi teorica parte la critica radicale dell'istituzione del manicomio, come luogo di emarginazione e non di cura, e il perentorio mandato di ridare dignità al malato in quanto persona, fuoriuscendo dall'etichettamento della malattia.
Basaglia si convince che il folle ha bisogno non solo delle cure per la sua malattia, ma anche di un rapporto umano con chi lo cura, di risposte reali per il suo essere, di denaro, di una famiglia e di tutto ciò di cui anche i medici che lo curano hanno bisogno. Insomma il folle non è solamente un malato, ma un uomo con tutte le sue necessità. Trattato come uomo, il folle non presenta più una "malattia", ma una "crisi", una crisi vitale, esistenziale, sociale, familiare che sfugge a qualsiasi "diagnosi" utile solo a cristallizzare una situazione istituzionalizzata.
Basaglia si occupa da psicopatologo della malattia mentale con la preoccupazione di salvaguardare la soggettività del malato di fronte alla violenza del sapere psichiatrico e di riscoprire la dimensione più misteriosa, e dunque più particolare, dell'essere umano. La follia non è malattia. L'analista deve restare in ascolto dell'altro e spogliarsi d'ogni certezza, per poter far questo, avverte sempre più pressante la necessità di operare una sospensione, una epoché, di tutte le categorie sclerotizzate per poter ridare parola al paziente. Il pensiero esistenziale e fenomenologico eviscerato in questi anni di studio gli dà anche un'altra certezza: non si può trasformare il mondo senza trasformare se stessi, senza esporsi al rischio di diventare altri da ciò che si è.

Riconoscimenti
A Franco Basaglia è intitolata la biblioteca comunale del Municipio XIX a Primavalle (Roma)[13].

Note
1. Mille anni di scienza in Italia: Biografia di Franco Basaglia.
2. Questo testo proviene in parte o integralmente dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera dell'Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page) rilasciata sotto licenza Creative Commons CC-BY-3.0
3. Legge 180: Come è nata e in quale contesto. URL consultato il 2-02-2010.
4. De Girolamo et al. (August 2008). Franco Basaglia, 1924–1980. American Journal of Psychiatry 165 (8): 968. DOI:10.1176/appi.ajp.2008.07111761.
5. Speciale trent’anni di 180: Indice dei documenti. URL consultato il 6-12-2009.
6. Speciale «Vent’anni di 180»: Indice generale. URL consultato il 6-12-2009.
7. M. Colucci, P. Di Vittorio: Franco Basaglia, Bruno Mondadori, 2001, Milano
8. E. Husserl: Meditazioni cartesiane, Bompiani, Milano 1960, pp. 146-147
9. F. Basaglia: Corpo, sguardo e silenzio, in Scritti, I, pp. 295-296
10. E. Minkowski, La schizophrénie, 1953, trad. it. La schizofrenia, Einaudi, Torino, 1998, p. 49.
11. E. Minkowski, La schizophrénie, 1953, trad. it. La schizofrenia, Einaudi, Torino, 1998, p.69.
12. E. Minkowski, Il tempo vissuto, cit., p.64
13. F. Basaglia, Il corpo nell'ipocondria e nella depersonalizzazione. La struttura psicopatologica dell'ipocondria, 1956, in Scritti I, 1953-1968. Dalla psichiatria fenomenologica all'esperienza di Gorizia, Torino, Einaudi, 1981. vol. 1 p. 137
14. Biblioteca Franco Basaglia. URL consultato il 03-05-2010.
15. Estratti da "Che cos'è la psichiatria?".
16. Estratto da "Franco Basaglia" di Mario Colucci e Pierangelo Di Vittorio
17. Giraldi F. La Città di Zeno. youtube.com. URL consultato il 4-08-2010.
18. Agapito E. I grandi della Scienza del Novecento: Franco Basaglia (documentario in inglese, 1/3). youtube.com. URL consultato il 10-08-2010.
19. Agapito E. I grandi della Scienza del Novecento: Franco Basaglia (documentario in inglese, 2/3). youtube.com. URL consultato il 10-08-2010.
20. Agapito E. I grandi della Scienza del Novecento: Franco Basaglia (documentario in inglese, 3/3). youtube.com. URL consultato il 10-08-2010.

• 1982 - Ingrid Bergman (Stoccolma, 29 agosto 1915 – Londra, 29 agosto 1982) è stata un'attrice svedese.
Più volte premiata con l'Oscar, ha lavorato prevalentemente in Svezia, Stati Uniti e Italia, ed è considerata una delle più celebri attrici di tutti i tempi.
Unica figlia di Justus Samuel Bergman, pittore e fotografo svedese, e dell'ebrea tedesca Friedel Adler, a tre anni perde la madre e trascorre con il padre un'infanzia solitaria. A tredici anni si ritrova orfana di entrambi i genitori e viene adottata da parenti; studia alla scuola del Reale Teatro Drammatico (Royal Dramatic Theater) di Stoccolma e a vent'anni conosce Peter Lindstrom, un dentista che la presenta a un dirigente dell'industria cinematografica svedese (Svenskfilmindustri) e riesce a farle ottenere una piccola parte in Il Conte della città vecchia (Munkbrogreven, 1935). In questo suo primo film, inedito in Italia, Ingrid interpreta il ruolo di una cameriera di un modesto albergo della "città vecchia" di Stoccolma.
Grazie a questa piccola parte, viene notata dal regista Gustaf Molander, che decide di lanciarla in Svezia come una grande promessa: in soli quattro anni, dal 1935 al 1938, Ingrid interpreta così un'altra dozzina di film, tra cui Senza volto (En Kvinnas Ansikte), di cui verrà girato un remake con Joan Crawford nella parte della protagonista, e il celebre Intermezzo, che sarà il suo passaporto per Hollywood.
Nel 1937 sposa Lindstrom, e nel 1938 nasce Pia Friedal.

Il successo negli Stati Uniti
Il produttore David O. Selznick, intenzionato a girare una versione americana di Intermezzo, la convoca negli Stati Uniti per offrirle un contratto allettante: per sette anni la Bergman potrà scegliere personalmente i copioni da recitare, i registi e perfino i partner. Privilegi insoliti per l'epoca, ma che fanno capire quanto prestigio abbia già raggiunto la Bergman, prima ancora di sbarcare in America.
È verosimile che Selznick abbia pensato alla Bergman come alla possibile erede di Greta Garbo, attrice di soli dieci anni maggiore di lei, ma che dopo il passaggio dal muto al sonoro si trova nella fase discendente della sua carriera (di lì a qualche anno si sarebbe ritirata per sempre dalle scene). Ingrid rifiuta: suo marito deve terminare i nuovi studi intrapresi (diventerà neurochirurgo) e la bambina ha solo un anno, per cui firma solo per un anno e con la clausola di poter tornare in patria se il film non avrà successo.
Il remake di Intermezzo ottiene invece enormi consensi. Così, dopo essere tornata in Svezia e aver completato alcuni altri film, nel 1940 torna negli Stati Uniti unitamente alla famiglia e appare in tre film di successo.
Nel 1942 Selznick la cede in prestito alla Warner per la realizzazione di un film a basso costo, accanto a Humphrey Bogart. Casablanca sarà destinato a diventare un classico di tutti i tempi. Nel 1943 Ingrid riceve la sua prima nomination all'Oscar come migliore attrice per il film Per chi suona la campana (For Whom the Bell Tolls, 1943).
L'anno successivo vince la statuetta per il thriller Angoscia (Gaslight, 1944). La sua terza candidatura consecutiva all'Oscar come migliore attrice arriva per l'interpretazione di Le campane di Santa Maria (The Bells of St. Mary's, 1945).
Nel 1946 esce Notorious, l'ultimo film che la Bergman gira sotto contratto con Selznick. Lindstrom convince la moglie che Selznick l'ha ampiamente sfruttata, incassando milioni di dollari in cambio di un compenso di soli 80 mila dollari annui, e così Ingrid firma con una nuova casa di produzione per interpretare Arco di trionfo con Charles Boyer, dall'omonimo romanzo di Remarque.
Il film, velleitario e confuso, non avrà il successo sperato e l'attrice, che per anni aveva chiesto invano a Selznick di poter interpretare sullo schermo il ruolo di Giovanna D'Arco, decide che è venuto il momento di rischiare: costituisce una società di produzione indipendente e, con un costo di ben cinque milioni di dollari (cifra astronomica per l'epoca), realizza il suo Giovanna d'Arco (Joan of Arc, 1948), produzione ricca di costumi sfarzosi, di personaggi e di scenografie spettacolari.
Pur fruttandole la quarta nomination all'Oscar, il film sarà un clamoroso fallimento. La crisi matrimoniale con Lindstrom, di cui si chiacchierava già da tempo, si fa più acuta, e la delusione per l'insuccesso alimenta la convinzione della Bergman sull'eccessiva importanza che Hollywood attribuisce al lato commerciale del cinema, a scapito dell'aspetto artistico.

Ingrid in Italia
Spinta dall'amico Robert Capa, famoso fotoreporter col quale intreccia una breve relazione, Ingrid si interessa alla nuova ondata di cinema che viene dall'Europa, e in particolare al neorealismo italiano. Dopo aver visto Roma città aperta e Paisà, scrive al regista italiano Roberto Rossellini una lettera rimasta famosa, e si dichiara pronta a recitare per lui:
«... Se ha bisogno di un'attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo "ti amo", sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei...»
Rossellini non può lasciarsi scappare l'opportunità: nel cassetto ha un copione destinato in origine ad Anna Magnani, al tempo sua compagna, e ambientato a Stromboli. La Bergman è in Europa, impegnata nelle riprese di Il peccato di Lady Considine e il regista si precipita a Parigi, dove riesce a incontrarla e a proporle il progetto del film.
Ottenuto nel frattempo un finanziamento da Howard Hughes, grazie alla notorietà della Bergman, Rossellini riceve per telegramma una risposta positiva dall'attrice e, nel marzo 1949 parte la lavorazione di Stromboli terra di Dio. Il set è assediato da fotografi e giornalisti e cominciano a trapelare indiscrezioni sulla relazione sentimentale fra il regista e la sua interprete. Alla fine dell'anno la stampa pubblica la notizia della gravidanza della Bergman.
Per l'opinione pubblica americana è uno scandalo enorme: Ingrid Bergman, fino a quel momento considerata una santa, diventa improvvisamente un'adultera da lapidare e la stampa la definisce Hollywood's apostle of degradation (apostolo della degradazione di Hollywood), montando a suo sfavore una campagna denigratoria senza precedenti. Il dottor Lindstrom chiede il divorzio e ottiene l'affidamento della figlia Pia, che a sua volta dichiara di non aver mai voluto bene a sua madre.
Nel 1950 Rossellini e la Bergman si sposano e nasce Roberto Rossellini jr, detto Robertino: nella clinica romana che ospita la puerpera devono intervenire le forze dell'ordine per sedare le folle di paparazzi e di curiosi. Intanto esce nelle sale Stromboli: in Italia avrà un buon numero di spettatori, attirati più che altro dalla curiosità, mentre negli USA il film registra un clamoroso fiasco, sia per l'atteggiamento sfavorevole dei media, sia per le pressioni dei finanziatori del film, che hanno preteso un montaggio che non rispecchia minimamente le intenzioni dell'autore.
Nel giugno 1952 nascono le gemelle Isotta Ingrid e Isabella; la Bergman riconquista lentamente le simpatie del pubblico, la stampa la ritrae in pose da casalinga e da mamma felice e la stessa attrice afferma di aver trovato finalmente la serenità a Roma, anche se i film che continua a girare sotto la direzione di Rossellini (tra cui almeno due vanno ricordati: Europa '51 e Viaggio in Italia) vengono ignorati dal pubblico.

Il ritorno a Hollywood
Nel 1956 la Bergman riceve dagli Stati Uniti una favolosa offerta da parte della Fox, per il ruolo di protagonista in una pellicola ad alto budget sulla superstite dell'eccidio della famiglia dello zar di Russia. Con questo ruolo, nel film Anastasia (1956), la Bergman fa il suo ritorno trionfale a Hollywood dopo lo scandalo, e vince l'Oscar come "migliore attrice" per la seconda volta.
L'unione con Rossellini è in crisi: il regista parte alla volta dell'India per realizzare un documentario e ne torna dopo qualche tempo con una nuova compagna, Sonali das Gupta. Ingrid intanto riprende a interpretare successi (i primi due titoli sono Indiscreto e La locanda della sesta felicità, entrambi usciti nel 1958) e conosce un impresario teatrale svedese, Lars Schmidt, che diventerà il suo terzo marito nel dicembre 1958.

Gli ultimi anni della carriera
Negli anni successivi continua ad alternare interpretazioni in film americani ed europei, ma nello stesso tempo si dedica anche al teatro e alla televisione. Il suo terzo premio Oscar (il primo come miglior attrice non protagonista) arriva per il suo ruolo nel film Assassinio sull'Orient Express (Murder on the Orient Express, 1975). Ritirando la terza statuetta, Ingrid dichiara pubblicamente che, secondo la sua opinione, l'Oscar sarebbe dovuto andare all'amica Valentina Cortese, nominata per Effetto notte di François Truffaut.
Nel 1978 arriva dalla sua madrepatria la proposta di lavorare assieme al più prestigioso dei registi svedesi: Ingmar Bergman. Ingrid accetta con coraggio una duplice sfida: reduce da un intervento chirurgico e da una pesante chemioterapia per un tumore al seno, decide di calarsi nel difficile ruolo di una madre cinica ed egoista che ha anteposto la sua carriera all'affetto per i figli. Sinfonia d'autunno (Autumn Sonata), per il quale riceverà la sua settima nomination agli Oscar e che costituisce la sua ultima interpretazione per il grande schermo, è considerato una prova di recitazione tra la sue migliori.
Nel 1980, mentre la malattia dà i segni della sua ripresa, Ingrid dà alle stampe il suo libro di memorie, scritto assieme ad Alan Burgess: Ingrid Bergman - La mia storia. Nello stesso anno, è la presentatrice del Lifetime Achievement Award ad Alfred Hitchcock, conferito dall'AFI. Nel anno successivo recita per la televisione nel suo ultimo lavoro, una biografia del primo ministro israeliano Golda Meir per la quale riceverà un premio Emmy postumo nel 1982 come "migliore attrice".
Il 29 agosto del 1982, giorno del suo compleanno, Ingrid Bergman muore a Londra, Inghilterra. Cremata in Svezia, le ceneri vengono sparse insieme a dei fiori sulle acque svedesi; l'urna, ora vuota, che le conteneva, si trova al Norra Begravningsplatsen (cimitero settentrionale) di Stoccolma.
Per il suo contributo all'industria cinematografica, Ingrid Bergman ha una stella nella Hollywood Walk of Fame, all'altezza del numero 6759 di Hollywood Boulevard.

• 1991 - Libero Grassi (Catania, 19 luglio 1924 – Palermo, 29 agosto 1991) è stato un imprenditore italiano, ucciso dalla mafia dopo aver intrapreso un'azione solitaria contro una richiesta di estorsione (conosciuta in Sicilia come "pizzo"), senza ricevere alcun appoggio, per il meritevole gesto, da parte delle associazioni di categoria.
Nato a Catania, ma trasferitosi a 8 anni a Palermo, i genitori gli diedero il nome di Libero in ricordo del sacrificio di Giacomo Matteotti. La famiglia è antifascista e il ragazzo matura anch'egli una posizione avversa al regime di Benito Mussolini. Nel 1942 si trasferisce a Roma, dove studia in Scienze Politiche durante la seconda guerra mondiale. Per non andare in guerra, entra in seminario, da cui però esce dopo la liberazione, tornando a studiare. Passa però a Giurisprudenza, all'Università di Palermo.
Malgrado voglia fare il diplomatico, prosegue l'attività del padre come commerciante. Negli anni cinquanta si trasferisce a Gallarate, dove entra nel meccanismo dell'imprenditoria. Torna a Palermo per aprire uno stabilimento tessile. Nel 1961 inizia a scrivere articoli politici per vari giornali e successivamente si dà anche alla politica attiva con il Partito Repubblicano Italiano, che lo mette a capo dell'azienda municipale del gas.

Minacce di Cosa nostra e assassinio
Dopo aver avuto alcuni problemi con la fabbrica di famiglia, viene anche preso di mira da Cosa nostra, che pretende il pagamento del pizzo. Libero Grassi ebbe il coraggio di opporsi alle richieste di racket della mafia, e di uscire allo scoperto denunciando gli estorsori. I suoi dipendenti lo aiutano facendo scoprire degli emissari, ma la situazione peggiora.
La condanna a morte di Grassi arriva con la pubblicazione sul Giornale di Sicilia di una lettera sul suo rifiuto a cedere ai ricatti della mafia. La sua lotta prosegue in televisione, intervistato da Michele Santoro a Samarcanda su Rai 3, e anche su una rivista tedesca colpita dal suo comportamento positivo volto a denunciare i mafiosi. Libero Grassi fu lasciato solo nella sua lotta contro la mafia, senza alcun appoggio da parte dei suoi colleghi imprenditori. Per questo fu assassinato il 29 agosto 1991. Il 20 settembre 1991, Santoro e Maurizio Costanzo dedicano una serata televisiva a reti unificate (Rai 3 e Canale 5) alla figura di Libero Grassi.
Per il suo omicidio sono stati condannati nel 2004 vari boss, tra cui Totò Riina, Bernardo Provenzano e Pietro Aglieri.


• 1992 - Pierre-Félix Guattari (Villeneuve-les-Sablons, 30 aprile 1930 – Parigi, 29 agosto 1992) è stato un medico, psicanalista, filosofo e politico francese. È principalmente noto per le sue collaborazioni intellettuali con Gilles Deleuze, e per le opere con lui scritte qualiL'Anti-Edipo (1972) e Millepiani (1980).
Giovane studente di medicina e indirizzato verso farmacia viene attratto molto presto dalla psichiatria e se ne interessa approfonditamente ma, per ragioni ideologiche, decide di non specializzarvisi. In seguito diviene psicanalista presso la scuola di Jacques Lacan e aderisce alla Scuola Freudiana di Parigi.
Militante politico di orientamento comunista, per le sue posizioni estremiste e antistaliniste viene allontanato dal Partito Comunista Francese e diviene redattore del bollettino di opposizione della sinistra "La voie communiste".
Come psicanalista fu esponente del movimento dell'antipsichiatria e nel 1953 fondò, insieme a Jean Oury e altri - in continuità con l'esperienza di Francois Tosquelles che pose le basi della "Psicoterapia Istituzionale" nell'ospedale di Saint-Alban - la Clinica psichiatrica per psicotici di La Borde a Cour-Cheverny dove lavorò per quarant'anni sino alla morte nel 1992.
Come psicanalista e filosofo, ma anche come militante politico, Guattari giunse alla notorietà soprattutto per il sodalizio dopo il maggio 1968 con Gilles Deleuze, filosofo esponente della "renaissance nietzschenne", con il quale scrisse "L'Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia" nel 1973 un testo in cui gli Autori accusano la psicoanalisi, di "familiarismo", ovvero di ripiegare il desiderio sul cosiddetto "romanzo familiare" con la pretesa reificazione della metafora dell'Edipo.
Nel 1987 fonda la rivista "Chimères - Revue des schizoanalyses".

Filosofia
Capitalismo e schizofrenia

«Freud scopre il desiderio come libido, desiderio che produce; ma non smette di ri-alienare la libido nella rappresentazione familiare (Edipo). La psicoanalisi è la stessa storia dell'economia politica come la vede Marx: Adam Smith e Ricardo scoprono l'essenza della ricchezza come lavoro che produce e non smettono di ri-alienarla nella rappresentazione della proprietà."» (Felix Guattari, "Una tomba per Edipo")
In un'intervista di presentazione del loro lavoro, lo psicoanalista e il filosofo dissero: "Abbiamo scritto L'Antiedipo in due. Siccome ognuno di noi era parecchi, faceva già molta gente".
Questo libro fin dal suo apparire ha suscitato, e questo è senz'altro uno dei suoi principali meriti, un dibattito vivacissimo.
Al banco degli accusati veniva posta la psicoanalisi, tutte le scuole della psicoanalisi, nessuna esclusa, ma soprattutto la psicoanalisi di matrice freudiana. E, per far questo pensano bene di mirare al nucleo centrale fondante la scienza psicoanalitica: il complesso di Edipo scoperto da Freud per autoanalisi e in seguito formulato come teoria generale.
E a proposito della vicenda edipica svolta da Jung, se da un lato trova il consenso dei duo psicoanalista/filosofo, dall'altro non viene risparmiato alle loro critiche: "Jung ha dunque assolutamente ragione nel dire che il complesso di Edipo significa tutt'altro da sé, e che la madre è anche la terra, e l'incesto, una rinascita infinita (il suo torto è solo di credere di «superare» in tal modo la sessualità)."[1]

La stessa cosa dicasi per la teoria del transfert: "Quando si parla della rottura Freud-Jung si dimentica troppo spesso il punto di partenza modesto e pratico: Jung notava che lo psicoanalista nel transfert appariva spesso come un diavolo, un dio, uno stregone, e che i suoi ruoli andavano singolarmente al di là delle immagini parentali. Tutto è peggiorato in seguito, ma il punto di partenza era buono." [2]
Dopo la parte critica della psicoanalisi strumento di difesa del capitalismo e repressore sofisticato del desiderio rivoluzionario, ma anche della schizofrenia come tentativo rivoluzionario sì ma fallimentare, passando alla parte propositiva espongono il loro progetto che svilupperanno nei libri seguenti ("Millepiani",1980, II° volume di "Capitalismo e schizofrenia") della fondazione di una nuova psicoanalisi che denominano "schizoanalisi" il cui compito è quello di fare in modo che il processo schizofrenico di fuga del desiderio dalla sua riduzione/repressione nella struttura edipica non incorra più in quel limite che costituisce anche il suo fallimento: la schizofrenia non come processo ma come malattia mentale.
Per Deleuze/Guattari questo loro progetto costituisce anche un aiutare la psicoanalisi stessa a liberarsi dalle sue collusioni con il Capitale/Edipo e a ritrovare i suoi primitivi intenti sovversivi a livello della micropolitica del desiderio per ridurre il microfascismo e attuare la rivoluzione molecolare quale prospettiva rivoluzionaria della liberazione del desiderio che è creatore di un nuovo ordine altro dai modelli rivoluzionari che puntavano alla presa del potere statale affermatisi nel secolo scorso e agli inizi del novecento.
È questo concetto della rivoluzione che fa dire a Guattari: "...io sono di un'euforia completa per quanto riguarda il processo rivoluzionario, perché al limite anche se non ci saranno dei rivoluzionari, se non ci sarà un movimento rivoluzionario, ci sarà comunque la rivoluzione. Una ragione in più per farla." [3]. Infatti "La rivoluzione sociale a venire sarà anche molecolare, oppure non sarà" [4]
E per ritornare al loro "aiutare" la psicoanalisi:
«Dopo lunghi anni di formazione e di pratica io sono arrivato poco a poco alla convinzione che la psicoanalisi doveva riformare radicalmente i suoi metodi ed i suoi riferimenti teorici, perché in caso contrario sarebbe rimasta a vegetare nella sclerosi e nel conformismo che la caratterizzano attualmente, o forse a perdere ogni credibilità e scomparire del tutto. Poco importa, secondo me, che le società, le scuole psicoanalitiche e la professione stessa di psicoanalista scompaiano - sia ben chiaro - purché l'analisi dell'inconscio continui ad esistere in quanto pratica, secondo modalità nuove." »("Il capitale mondiale integrato", 1982))
Siccome, molti, all'uscita dell'"Antiedipo" hanno equivocato il discorso degli autori e l'hanno affrettatamente definito come un'apologia irresponsabile della schizofrenia come attitudine rivoluzionaria, val la pena di citare un brano di Guattari tratto da un'intervista in cui gli veniva chiesto:
"Vi si dirà forse che voi valorizzate la schizofrenia in modo romantico e irresponsabile. Ed anche che avete la tendenza a confondere il rivoluzionario con lo schizofrenico."
Al che, nella risposta, Guattari precisa:
"Noi poniamo un problema semplice come quello che Burroughs ha proposto sulla droga: è possibile captare la potenza delle droghe senza drogarsi, senza prodursi come uno straccio d'uomo drogato? È la stessa cosa per la schizofrenia." [5]

Doppio legame e schizofrenia
Di rilievo all'interno dell'"Antiedipo", che va inteso però come essi hanno specificato nel senso di "Anedipo" cioè "privo di Edipo", è la loro critica alla rivoluzionaria teoria del doppio legame, elaborata negli anni Sessanta dal pensatore Gregory Bateson e dalla scuola di Palo Alto in California che nel frattempo era divenuto il nucleo centrale delle elaborazioni di una nuova generazione di psichiatri che venivano ormai chiamati antipsichiatri per il loro porsi come nuova psichiatria alternativa alla psichiatria tradizionale ritenuta disumanizzante in quanto trattante la persona come un oggetto. Questa nuova generazione di operatori sanitari dei manicomi proprio in quegli anni intorno al sessantotto venivano creando nuove comunità psicoterapeutiche dove talvolta medici infermieri e pazienti si costituivano in veri comitati di autogestione che in alcuni casi sembravano assomigliare a vere e proprie comuni anarchiche dell'istituzione psichiatrica per il clima di libertà che in essi si respirava.
Gli autori dell'antiedipo tuttavia non sono così entusiasti della teoria del doppio legame come invece per esempio Ronald David Laing e David Cooper e le altre comunità antipsichiatriche che a loro facevano riferimento. Per Deleuze-Guattari infatti ci vuol ben altro che un doppio legame per produrre la schizofrenia. Del resto, essi osservano, il doppio legame pervade completamente l'intera struttura sociale: chi non è vittima o artefice di doppi legami? Ciò tuttavia non produce in tutti la schizofrenia. Il doppio legame pertanto non spiega la schizofrenia che invece è una strategia del desiderio rivoluzionario, una "linea di fuga" per usare il linguaggio dei due filosofi-psicoanalisti. Una strategia che, senza avere un'idea romantica della schizofrenia, malgrado gli intenti rivoluzionari della suddetta strategia talvolta è fallimentare producendo solo un matto da manicomio.

Note
1. "Capitalismo e schizofrenia", vol.I° "Antiedipo", cap.III - "Selvaggi, barbari e civilizzati".
2. Antiedipo- capitalismo e schizofrenia- cap.I "Le macchine desideranti" )
3. Felix Guattari,"Desiderio e rivoluzione"
4. Felix Guattari, "Il capitale mondiale integrato"
5. Guattari, "Una tomba per Edipo"