Il calendario dell'8 Settembre

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 70 - Tito, incaricato da suo padre Vespasiano di concludere la prima guerra giudaica, conquista Gerusalemme

▪ 1298 - Andrea Dandolo, ammiraglio della flotta veneta, viene sconfitto dai Genovesi presso l'isola dalmata di Curzola; si ucciderà sbattendo ripetutamente il capo dopo esser stato catturato.

▪ 1380 - Battaglia di Kulikovo - Le forze russe, guidate dal Gran Principe di Mosca Dimitrii Ivanovich sconfiggono un'armata mista di Mongoli e Tartari, fermando la loro avanzata

▪ 1420 - Francesco Bussone, detto Carmagnola, condottiero al soldo dei Visconti, sconfigge l'esercito del Malatesta presso Brescia.

▪ 1449 - Battaglia della Fortezza di Tumu - I Mongoli catturano l'imperatore cinese

▪ 1565 - I Cavalieri di Malta fermano l'assedio turco a Malta (assedio che era iniziato il 18 maggio)

▪ 1636 - Una votazione della Grande Corte Generale della Colonia della Baia di Massachusetts, fonda il College di Harvard. Prima università degli Stati Uniti d'America.

▪ 1796 - Guerre napoleoniche: Battaglia di Bassano - le forze francesi sconfiggono le truppe austriache a Bassano del Grappa

▪ 1810 - La Tonquin salpa dal Porto di New York con a bordo 33 impiegati della appena fondata Pacific Fur Company di John Jacob Astor. Dopo sei mesi di viaggio attorno al Sud America, la nave arriverà alla foce del fiume Columbia, e gli uomini di Astor fonderanno la città di Astoria

▪ 1855 - Sebastopoli, in Crimea, cade nelle mani degli anglo-francesi dopo 11 mesi d'assedio

▪ 1863 - Guerra di secessione americana: Seconda battaglia di Sabine Pass - Sul confine tra Texas e Louisiana, alla foce del fiume Sabine, un piccola forza Confederata impedisce l'invasione del Texas

▪ 1870 - Inizia la Presa di Roma: 60.000 soldati del Regno d'Italia al comando del generale Cadorna convergono sulla città

▪ 1907 - Vaticano: il papa Pio X pubblica la Lettera Enciclica Pascendi Dominici Gregis, (condanna del modernismo) sugli errori ormai sostenuti anche da cattolici e da ecclesiastici e sulla condanna del modernismo e dei modernisti

▪ 1930 - La 3M inizia a commercializzare lo Scotch (nastro adesivo)

▪ 1941 - Seconda guerra mondiale: inizia l'Assedio di Leningrado da parte dell'esercito nazista

▪ 1943

  1. - Seconda guerra mondiale: con il Proclama Badoglio, che fa seguito a quello del generale Dwight D. Eisenhower lanciato da Radio Algeri un'ora prima, viene reso pubblico l'armistizio di Cassibile firmato per l'Italia il 3 settembre dal generale Giuseppe Castellano a nome del Presidente del Consiglio maresciallo d'Italia Pietro Badoglio fedele al re Vittorio Emanuele III. Brindisi diviene sede del governo e quindi capitale del Regno d'Italia.
  2. - Seconda guerra mondiale: Frascati è colpita da un pesante bombardamento alleato: circa 500 morti tra i civili e 200 tra i militari tedeschi.
  3. - Seconda guerra mondiale: Julius Fučík viene giustiziato dai Nazisti

▪ 1944
  1. - Seconda guerra mondiale: Londra viene colpita da una V2 per la prima volta.
  2. - Seconda guerra mondiale: Mentone viene liberata dagli Alleati.
  3. - Seconda guerra mondiale: Gli inglesi bombardano, al largo di Capodistria il Transatlantico Rex, che affonda

▪ 1945 - Guerra Fredda: Truppe statunitensi prendono il controllo della parte sud della Corea in risposta all'occupazione della parte nord da parte delle truppe sovietiche avvenuta un mese prima

▪ 1951 - Trattato di San Francisco: A San Francisco, 48 nazioni firmano un trattato di pace con il Giappone, mettendo formalmente fine alla Guerra del Pacifico

▪ 1951 - Fondazione World Confederation for Physical Therapy (http://www.wcpt.org/): A Copenhagen, Danimarca, fra 11 organizzazioni fondatrici (Australia, Canada, Danimarca, Finlandia, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Norvegia, Sud Africa, Francia, Svezia e Stati Uniti d'America), si costituisce la Confederazione Mondiale di Fisioterapia; da allora ogni anno l'8 settembre è festeggiato come Giornata mondiale della fisioterapia.

▪ 1954 - Viene fondata la Southeast Asia Treaty Organization (SEATO)

▪ 1960 - A Huntsville (Alabama), il presidente statunitense Dwight D. Eisenhower inaugura formalmente il Marshall Space Flight Center (la NASA aveva già attivato il centro il 1º luglio)

▪ 1966 - Va in onda il primo episodio della serie televisiva Star Trek

▪ 1974
  1. - Scandalo Watergate: il presidente statunitense Gerald Ford perdona l'ex-presidente Richard Nixon per tutti i crimini che questi potrebbe aver commesso mentre era in carica
  2. - Renato Curcio e Alberto Franceschini vengono arrestati a Pinerolo
  3. - Roma - nella borgata di San Basilio, negli scontri tra polizia e manifestanti a seguito degli sgomberi degli occupanti delle case del quartiere, viene ucciso con un colpo d'arma da fuoco Fabrizio Ceruso, di 19 anni, militante del Comitato Proletario di Tivoli, organismo dell'Autonomia Operaia

▪ 1984 - In Lombardia viene istituito il Parco regionale del Mincio

▪ 1991 - La Repubblica di Macedonia dichiara l'indipendenza dalla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia

▪ 1999 - Il procuratore generale degli USA, Janet Reno, nomina l'ex senatore John Danforth per guidare una commissione indipendente di indagine sulla sparatoria del 1993 nel complesso dei Davidiani a Waco (Texas)

▪ 2007
  1. - Modena: funerali di Luciano Pavarotti
  2. - Roma: funerali di Gigi Sabani
  3. - V-Day di Beppe Grillo in oltre 200 piazze italiane e del mondo, con oltre 5 milioni di persone complessivamente scese in piazza.

▪ 2009
  1. - Terremoto di magnitudo 6.0 in Georgia
  2. - Montecarlo: Decesso di Mike Bongiorno

Anniversari

▪ 1148 - Guglielmo di Saint Thierry (Liegi, circa 1075 – Signy, 8 settembre 1148) è stato un teologo e filosofo francese.
Nacque a Liegi o nei suoi dintorni, in una data imprecisata, che tuttavia dovrebbe oscillare intorno al 1075; della sua infanzia non si sa nulla: anche la tradizione che lo vuole nato da famiglia nobile si fonda unicamente sulla posteriore considerazione che una persona della cultura e della sensibilità di Guglielmo avrebbe dovuto avere origini nobili.
Studiò dapprima a Liegi le cui sette chiese, nel XII secolo, se erano tutte dotate di una scuola, non potevano competere, per modernità e completezza, con quelle francesi; è forse per questo motivo che Guglielmo sia andato a completare lo studio delle arti liberali nella scuola della cattedrale di Reims. È dubbio se egli abbia studiato anche a Laon, alla scuola di Anselmo, dove avrebbe potuto conoscere anche Abelardo.
Anche la data del suo ingresso nel monastero benedettino di Saint-Nicase a Reims è ignota e oscilla dal 1000 al 1110 circa, né sono noti i motivi che l'avrebbero indotto alla scelta della vita monastica.
Nel 1121 fu eletto abate del monastero di Saint-Thierry, presso Reims, posto sull'altura del Mont d'Hor; qui compone le sue prime opere, il De contemplando Deo e la De natura et dignitate amoris.

Le prime opere
Il rapporto fra l'uomo e Dio è essenzialmente un rapporto d'amore: «Tu ci ami in quanto fai di noi tuoi amanti e noi ti amiamo in quanto riceviamo il tuo Spirito. Il tuo Spirito è il tuo amore che penetra e possiede le intime fibre dei nostri affetti [...] Mentre il nostro amore è affectus, il tuo è effectus, un'efficacia che ci unisce a te grazie alla tua unità, allo Spirito santo che ci hai donato».
L'amore di Dio per noi si è manifestato in due fasi: la passione di Cristo suscita in noi l'amore per lui e l'opera dello Spirito realizza l'unione del cristiano in Dio.
La natura dell'amore non è tuttavia soltanto sentimento: vi partecipa anche la ragione. Guglielmo, identificando la carità con la vista posseduta dall'anima per vedere Dio, afferma che i due occhi della vista sono «l'amore e la ragione. Se uno dei due opera senza l'altro, non andrà lontano. Possono però molto soccorrendosi a vicenda, diventando un solo occhio».
Il compito della ragione sta nell'istruire l'amore, mentre il compito dell'amore è d'illuminare la ragione, così che la ragione divenga essa stessa amore e l'amore non oltrepassi i confini della ragione».

L'incontro con Bernardo di Chiaravalle
Nel 1118 conosce Bernardo di Chiaravalle; scriverà (Vita di san Bernardo, 7, 33) che «se quel giorno avessi potuto scegliere, l'unica cosa che avrei voluto sarebbe stata di rimanere sempre con lui per servirlo». La conoscenza dell'abate di Clairvaux fu certamente decisiva per la futura decisione di lasciare la sua carica di abate, ma fu importante anche per l'elaborazione delle sue opere successive.
Scrive Guglielmo che, nel 1128 quando, pur malato, si recò nell'abbazia di Chiaravalle dove anche Bernardo era ricoverato nell'infermeria, «lui mi spiegava con dolcezza e senza reticenze i giudizi della sua intelligenza e i risultati della sua esperienza, nel tentativo di insegnare a un inesperto tante cose che si possono imparare solo con l'esperienza». Risultato di queste conversazioni fu il Breve commento sui primi due capitoli del Cantico dei cantici, scritto verso il 1130 e le raccolte di commenti tratte dagli scritti di sant'Ambrogio e di san Gregorio, relativi al Cantico.
Ma il maggior frutto della meditazione di Guglielmo sul Cantico biblico è il Commento al Cantico dei cantici.

Inadatto a occuparsi dei problemi pratici dell’amministrazione dell’abbazia, abbandonò nel 1135 il monastero di Saint-Thierry per ritirarsi come semplice monaco nell’abbazia cistercense di Signy, nelle Ardenne.
Nel 1138 inizia la controversia contro Abelardo che, con l’intervento determinante di Bernardo, porterà alla condanna del filosofo parigino nel concilio di Sens. Segnala ancora a Bernardo quelli che lui considera gli errori contenuti nella Summa philosophiae di Guglielmo di Conches.

▪ 1654 - Pietro (Pedro) Claver Corberó (Verdú, 25 giugno 1581 – Cartagena, 8 settembre 1654) è stato un gesuita e missionario spagnolo.
Apparteneva alla Compagnia di Gesù e operò a Cartagena in Colombia. È stato dichiarato santo da papa Leone XIII nel 1888 ed è patrono delle missioni cattoliche tra i popoli dell'Africa nera e afroamericani.
Figlio di un contadino della Catalogna, si laureò nell'Università di Barcellona.
A venti anni incominciò il noviziato nei Gesuiti a Tarragona.
Mentre studiava psicologia a Maiorca nel 1605, il padre portinaio del collegio, pensando di essere ispirato da Dio, ritenne di conoscere quale dovesse essere la missione futura del suo giovane confratello e da quel momento in poi non smise mai di esortarlo a partire per evangelizzare i possedimenti spagnoli in America.
Pietro obbedì, e nel 1610 sbarcò a Cartagena, dove per 44 anni fu missionario tra gli schiavi afroamericani in un periodo in cui ferveva la tratta degli schiavi africani.
Educato alla scuola del missionario Alfonso de Sandoval, Pietro si dichiarò Aethiopum semper servus ovvero "schiavo degli africani per sempre"; da persona timida ed insicura delle proprie capacità, diventò un organizzatore caritatevole, ardito ed ingegnoso.
Ogni mese, quando veniva segnalato l'arrivo di nuovi schiavi, stipati nelle stive delle navi, Claver usciva in mare con il suo battello per incontrarli; portando loro cibo, soccorso e conforto, guadagnandosi la loro fiducia. Per insegnare a così tante persone che parlavano dialetti diversi, Claver riunì a Cartagena un gruppo di interpreti di varie nazionalità e li fece diventare dei catechisti.
Mentre gli schiavi stavano rinchiusi a Cartagena, aspettando di essere acquistati e sparpagliati, Claver li istruiva e li battezzava. Nelle domeniche di Quaresima li riuniva, li interrogava riguardo alle loro necessità e li difendeva contro i loro oppressori. Questo lavoro causò a Claver difficili prove, e i mercanti di schiavi non erano i suoi soli nemici.
Fu accusato di incauto zelo e di avere profanato i sacramenti, dandoli a creature che "a malapena possedevano un'anima". Le donne della buona società di Cartagena si rifiutavano di entrare nelle chiese dove Claver aveva riunito i suoi "negri". I superiori di Claver furono spesso influenzati dalle molte critiche che arrivavano ai loro orecchi. Nondimeno Claver continuò la sua missione, accettando tutte le umiliazioni e aggiungendo penitenze rigorose alle sue opere di carità. Gli mancava l'aiuto degli uomini, ma riteneva di avere forza da Dio. Durante la sua vita battezzò e istruì nella fede più di 300.000 neri.
Morì l'8 settembre 1654.

Il culto
Fu beatificato il 16 luglio 1850 da Pio IX e canonizzato il 15 gennaio 1888 da Leone XIII, lo stesso giorno di Alfonso Rodríguez. La sua ricorrenza si celebra il 9 settembre.
Il 7 luglio 1896 fu proclamato patrono di tutte le missioni cattoliche tra i neri.

▪ 1853 - Frédéric Antoine Ozanam (Milano, 23 aprile 1813 – Marsiglia, 8 settembre 1853) è stato uno storico e giornalista francese. Apologista cattolico, fu il fondatore della Società San Vincenzo De Paoli (inizialmente conosciuta come "Conferenza di Carità"). Fu beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1997.

Frédéric Antoine Ozanam nacque a Milano il 23 aprile 1813, quinto dei quattordici figli di Antoine Ozanam. Il padre aveva prestato servizio nell'esercito di Napoleone, dopo la caduta della Repubblica, esercitò le attività di precettore, commerciante e medico. La sua famiglia aveva radici ebraiche, e si era stabilita nella zona di Lione da varie generazioni. Suo bisnonno, Jacques Ozanam (1640-1717), fu un importante matematico.
All'età di 2 anni nel 1815, si trasferì con la famiglia a Lione, dove ebbe inizio la sua formazione scolastica. Qui fu fortemente influenzato da uno dei suoi professori, l'abate Noirot, che lo introdusse al cattolicesimo. Nel 1831 pubblicò un pamphlet contro le idee di Henri de Saint-Simon, che attirò le attenzioni di Alphonse de Lamartine.
L'anno seguente partì per Parigi per studiare Giurisprudenza, qui soggiornò presso la famiglia di André-Marie Ampère, che gli fece conoscere François-René de Chateaubriand, Jean-Baptiste Henri Lacordaire, Charles Forbes René de Montalembert e altri intellettuali cattolici francesi.
Durante il periodo degli studi collaborò a vari giornali, in particolare alla Tribune Catholique, che dal 1º novembre 1833 si chiamò L'Univers.
In questo periodo organizzò numerose conferenze di Storia. In seguito alla domanda di un saint-simoniano che gli chiese perché egli s'interessasse al passato, mentre c'erano molti poveri d'assistere, la sua vita si orientò verso l'assistenza ai più indigenti. Così, nell'aprile del 1833 insieme ad alcuni amici, come lui parrocchiani della chiesa parigina di Saint-Étienne-du-Mont, prese la decisione di fondare una piccola società votata all'aiuto dei poveri, che prese il nome di Conferenza di carità. Nel 1835 la conferenza si mise sotto la protezione di San Vincenzo de' Paoli mutando la denominazione in Società di San Vincenzo de' Paoli, ancor oggi una delle maggiori organizzazioni cattoliche.
Nel 1836 si laureò in Giurisprudenza e nel 1838 in Lettere con una tesi su Dante, che sarà alla base di una delle sue opere più importanti.
L'anno dopo fu nominato professore di Diritto Commerciale a Lione e nel 1840 fu nominato professore assistente di letteratura straniera alla Sorbona, si stabilì quindi a Parigi dove iniziò un'intensa carriera accademica e giornalistica.
Nel giugno del 1841 si sposò con Amélie Soulacroix, originaria di Lione. Nel viaggio di nozze visitò l'Italia. Da questo matrimonio nascerà una figlia nel 1845.
Nel 1844, dopo la morte di Charles-Claude Fauriel, fu nominato professore ordinario di letteratura straniera alla Sorbona. Nonostante i numerosi impegni, non cessò le sue regolari visite ai poveri come membro della Compagnia di San Vincenzo.
Durante la Rivoluzione del 1848, alla quale si oppose, tornò per un breve periodo al giornalismo, essendo tra i fondatori del giornale Ere Nouvelle e di altri periodici.
Fece numerosi viaggi, tra i quali uno a Londra durante l'Esposizione Universale del 1851.
Nel 1853, ammalatosi, si dimise dai suoi incarici universitari e partì per l'Italia in cerca di sollievo. Morì a Marsiglia, durante il viaggio di ritorno, probabilmente per un problema renale.
Molte delle sue opere furono pubblicate postume. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 22 agosto 1997 nella Cattedrale di Notre-Dame di Parigi, nel corso della XII Giornata Mondiale della Gioventù.

Opere
Ozanam fu tra i principali esponenti del movimento neocattolico in Francia, durante la prima metà del XIX secolo, distinguendosi come storico e critico letterario. Era più colto e più logico nelle sue asserzioni rispetto a François-René de Chateaubriand e meno fazioso e accorato che Charles de Montalembert.
Impegnato nei principali movimenti sociali della sua epoca, fu assertore dell'incontro tra cattolicesimo e democrazia, lottando affinché la Chiesa si adattasse alle condizioni politiche e sociali emerse dalla Rivoluzione Francese.
Nei suoi scritti espose gli importanti contributi storici del cristianesimo nella formazione della società europea, difendendo la posizione della Chiesa Cattolica, che, continuando la tradizione romana, fu il fattore più importante per l'integrazione delle popolazioni barbariche che invasero l'Europa durante le migrazioni che segnarono la fine dell'Impero Romano, e nella conseguente conservazione della cultura greco-latina durante il Medioevo.
Il suo obiettivo era quello di dimostrare la tesi contraria a quella di Edward Gibbon. Nonostante fosse convinto che lo storico che affronta il suo lavoro con un'idea preconcetta sia destinato a fallire, Ozanam ebbe un certo successo nel combattere l'idea secondo cui la Chiesa durante i secoli abbia agito più per schiavizzare che per elevare lo spirito dei popoli.
La sua conoscenza della letteratura medievale, in particolar modo francese e italiana, e la maniera in cui descrisse l'organizzazione sociale e la vita quotidiana nel Medioevo, diedero alle sue opere una qualità eccezionale, che fa sì che esse mantengano la loro attualità a centocinquant'anni dalla loro pubblicazione.
Tutte le sue opere furono pubblicate in 11 volumi (Parigi, 1862-1865). Tra esse ricordiamo:
▪ Deux chanceliers d'Angleterre, Bacon de Verulam et Saint Thomas de Cantorbury (Paris, 1836);
▪ Dante et la philosophie catholique au XIIIeme siècle (Paris, 1839; 2.ª ed., rivista dall'autore, nel 1845) trad.it. Dante e la filosofia cattolica nel tredicesimo secolo (Napoli, 1843);
▪ Études germaniques (2 voll., Paris, 1847-1849) trad.it Studi germanici;
▪ Documents inédits pour servir a l'histoire de l'Italie depuis le VIII.eme siècle jusqu'au XIIeme (Paris, 1850);
▪ Les poètes franciscains en Italie au XIII.me siécle (Paris, 1852) trad.it. I poeti francescani in Italia nel secolo decimoterzo (Parigi, 1854)
▪ Il suo epistolario è stato edito in varie lingue (l'edizione italiana, Lettere, Lettres de Frédéric Ozanam, è di mons. Nicola Pavoni, Città del Vaticano, 1994).

Bibliografia
Gérard Cholvy, Frédéric Ozanam, l'engagement d'un intellectuel catholique au XIXe siècle. Paris : Fayard, 2003, 783 p. Prix Prix Roland de Jouvenel (ISBN : 2-213-61482-2).

▪ 1892 - Enrico Cialdini (Castelvetro di Modena, 8 agosto 1811 – Livorno, 8 settembre 1892) è stato un generale e politico italiano.

Gli esordi e l'esilio
Studiò medicina fino al 1831 quando, coinvolto nei moti di rivolta dei ducati e della Romagna, fu costretto ad emigrare prima in Francia poi in Portogallo.
Combatté contro i Carlisti in Spagna, come il conterraneo Manfredo Fanti, col grado di colonnello. Cialdini, d'altra parte, era di madre (Luigia Santyan y Velasco) e moglie (Maria Martinez de Leon) spagnole.

La guerre di indipendenza
Rientrato in Italia nel 1848, nel corso della Prima guerra d'indipendenza servì sotto il generale Durando e i pontifici alla battaglia di Monte Berico (Vicenza) dove venne ferito. Rimasto nell'esercito piemontese, partecipò al corpo di spedizione italiano alla guerra di Crimea col grado di generale.
Nel corso della Seconda guerra d'indipendenza fu a Palestro nel 1859 e l'anno successivo all'assedio di Ancona venendo promosso a Generale d'armata il 6 ottobre 1860, dopo l'importante vittoria sui pontifici, ottenuta a Castelfidardo il 18 settembre, transitando attraverso Porta Rimini a Pesaro l'11 settembre. Proseguendo a sud fu comandante all'assedio di Gaeta, al termine del quale gli venne conferito il titolo di Duca di Gaeta.
Nel corso della Terza guerra d'indipendenza ebbe il comando di una delle due armate italiane, quella schierata a sud del Po verso Mantova e Rovigo. Per tutta la prima parte della guerra non assunse alcuna posizione offensiva, limitandosi a dimostrazioni, sino a neppure iniziare l'assedio della fortezza austriaca di Borgoforte, a sud del Po. Dopo che il capo di Stato Maggiore generale Alfonso La Marmora era stato sconfitto dagli austriaci a Custoza causa la sua ignavia, a Cialdini venne affidato il grosso dell'esercito e seppe guidare l'avanzata italiana dal Po di Ferrara ad Udine.

Missioni militari
Nell'agosto 1861 Cialdini venne inviato a Napoli, con poteri eccezionali per affrontare l'emergenza del brigantaggio (pochi giorni prima, il 15 luglio, era stato nominato Luogotenente dell'ex Regno delle Due Sicilie). Egli seppe rafforzare il partito sabaudo, arruolando militi del disciolto esercito meridionale di Garibaldi e perseguendo il clero e i nobili legittimisti.
In una seconda fase, comandò una dura repressione messa in atto attraverso un sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni sommarie, distruzione di casolari e masserie, vaste azioni contro centri abitati: cannoneggiamento di Mola di Gaeta (oggi è un rione di Formia) del 17 febbraio 1861, eccidio di Casalduni e Pontelandolfo, nell'agosto 1861. L'obiettivo strategico consisteva nel ristabilire le vie di comunicazioni e conservare il controllo dei centri abitati. Gli strumenti a sua disposizione venivano, nel frattempo, incrementati con l'istituto del domicilio coatto e la moltiplicazione delle taglie. Le forze a sue disposizione consistevano in circa 22 000 uomini, presto passate a cinquantamila unità nel dicembre del 1861.
A cavallo degli anni 1862 e 1863 le truppe dedicate alla repressione vennero aumentate sino a centocinquemila uomini (circa i due quinti delle forze armate italiane del tempo) e Cialdini poté riassumere l'iniziativa, giungendo a eliminare le grandi bande a cavallo ed i loro migliori comandanti e, soprattutto, ad estinguere il cosiddetto "focolaio lucano".
Con l'azione di Cialdini la lotta contro il brigantaggio aveva raggiunto il risultato strategico principale, cancellando le premesse per una possibile sollevazione generale delle province meridionale. Con estrema crudeltà non solo contro i Briganti stessi, ma anche contro la popolazione accusata di appoggiarli, talvolta senza alcun fondamento, il generale ottenne lo scopo di annientare completamente la resistenza del sud, la quale non era ancora terminata, ma era venuto meno qualsiasi carattere di azione collettiva, e si era anche affievolito l'appoggio popolare. La resistenza degenera, sempre più spesso, in mero banditismo. Nel 1867, Francesco II delle Due Sicilie sciolse il governo borbonico in esilio e, solo nel gennaio 1870, il governo italiano soppresse le zone militari nelle province meridionali, sancendo così la fine ufficiale del brigantaggio.

La carriera politica
Eletto deputato al primo (1860) ed al secondo (1861) parlamento italiano nella circoscrizione di Reggio Emilia, il 13 marzo 1864 venne nominato senatore da Vittorio Emanuele II di Savoia.
Nel 1869, venne nominato da Vittorio Emanuele II ambasciatore speciale in Spagna, al fine di favorire un esponente della Casa Savoia al trono vacante (successione spagnola del 1870). Il tentativo ebbe successo il 6 novembre del 1870, quando le cortes designarono Amedeo d'Aosta quale nuovo re di Spagna, con il titolo di Amedeo I di Spagna.
Alla caduta di Amedeo, l'11 febbraio del 1873, Cialdini passò ad ambasciatore italiano in Francia fino al 1881.

Esito
Nel 1881 prese definitivo congedo dalla vita politica. Morì nel 1892.

Valutazioni complessive del personaggio
La figura di Cialdini fu tra quelle più controverse nella storia d'Italia: Efferato spargitore di sangue per alcuni, eroe della patria per altri.

Notizie sparse
Era cavaliere di gran croce dell'Ordine militare di Savoia.
«Enrico Cialdini, plenipotenziario a Napoli, nel 1861, del re Vittorio. In quel suo rapporto ufficiale sulla cosiddetta "guerra al brigantaggio", Cialdini dava queste cifre per i primi mesi e per il solo Napoletano: 8 968 fucilati, tra i quali 64 preti e 22 frati; 10 604 feriti; 7 112 prigionieri; 918 case bruciate; 6 paesi interamente arsi; 2 905 famiglie perquisite; 12 chiese saccheggiate; 13 629 deportati; 1 428 comuni posti in stato d'assedio. E ne traevo una conclusione oggettiva: ben più sanguinosa che quella con gli stranieri, fu la guerra civile tra italiani» (Vittorio Messori, Le cifre del generale Cialdini, tratto da: La sfida della fede. Fuori e dentro la Chiesa: la cronaca in una prospettiva cristiana, Paoline, Milano 1993)

Onorificenze
Cavaliere dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata
Cavaliere di Gran Croce Sovrano Militare Ospedaliero Ordine di Malta
Cavaliere di Gran Croce Ordine militare di Savoia
— 19 novembre 1860 - Medaglia d'Argento al Valor Militare

▪ 1894 - Hermann von Helmholtz (Potsdam, 31 agosto 1821 – Berlino-Charlottenburg, 8 settembre 1894) è stato un fisico e fisiologo tedesco. Un vero homo universalis, fu uno degli scienziati più poliedrici del suo tempo e venne soprannominato Cancelliere della fisica.
Genitori di von Helmholtz furono August Ferdinand Julius H. u. Caroline Penne (1797-1854). Figlio di un insegnante, studiò medicina all'Istituto medico-chirurgico "Friedrich-Wilhelm" a Berlino, dove si laureò nel 1842. Visto che questo corso di studi prevedeva un successivo servizio militare di otto anni, Helmholtz dal 1843 servì come medico militare a Potsdam. In questo periodo, svolse ricerche sul principio di conservazione dell'energia, pubblicando nel 1847 un fondamentale articolo.
Nel 1848, su raccomandazione di Alexander von Humboldt, fu prematuramente rilasciato dal servizio e in prima istanza iniziò ad insegnare anatomia all'accademia d'arte di Berlino. Nel 1849 ottenne una cattedra come professore di fisiologia e patologia a Kaliningrad, allora nota come Königsberg; qui svolse importanti ricerche sulla velocità di trasmissione degli impulsi nervosi e iniziò a interessarsi di acustica e di ottica fisiologica (nel 1850 inventò, tra l'altro, l'oftalmoscopio).
Nel 1855 passò alla cattedra di anatomia e fisiologia a Bonn, nel 1858 quella di fisiologia a Heidelberg (dove rimase fino al 1871). A Heidelberg, compì ampi studi sui moti dell'atmosfera e, in particolare, sulla dinamica dei vortici in un fluido perfetto che verranno ripresi da Lord Kelvin e Peter Guthrie Tait nell'ambito del modello dell'atomi-vortice; svolse, inoltre ricerche sui fondamenti della matematica e della geometria (in particolare delle geometrie non-euclidee).
Nel 1870 Helmholtz divenne membro dell'Accademia delle scienze Prussiana. Nel 1871 si trasferisce a Berlino come professore di fisica. Gli anni berlinesi sono particolarmente importanti per i suoi studi sull'elettrodinamica: nel 1881, in un famoso intervento, suggerì, tra i primi, l'idea di atomo di elettricità, e in seguito sostenne il lavoro del suo allievo Hertz.
Nel 1888 Helmholtz divenne il primo presidente dell'appena fondato Istituto Nazionale di Fisica e Tecnica (Physikalisch-Technischen Reichsanstalt) a Charlottenburg.
Von Helmholtz ebbe due mogli [26 agosto 1849 Olga von Velten (1827-1859) e 16 maggio 1861 Anna von Mohl (1834-1899)] e 5 figli (3 maschi e 2 femmine).

Attività scientifica
All'inizio del suo lavoro scientifico Helmholtz, tramite ricerche sulla fermentazione, decomposizione e la produzione di calore degli esseri viventi (che ricondusse soprattutto all'attività muscolare), giunse alla formulazione della legge di conservazione dell'energia. Nel suo libro "Sulla conservazione dell'energia" (Über die Erhaltung der Kraft, 1847) formulò il principio in maniera più dettagliata di Julius Robert von Mayer nel 1842, e in questo modo contribuì in maniera significativa all'accettazione di questo principio inizialmente molto controverso. Applicando il principio di conservazione agli esseri viventi, Helmholtz contraddisse il Vitalismo, che poneva una "forza vitale" a fondamento della vita. Successivamente Helmholtz precisò il principio per le reazioni chimiche e nel 1881 introdusse il concetto di energia libera, distinguendola dall'energia legata.
Già nel 1842 Helmholtz dimostrò l'origine delle fibre nervose dai gangli. Nel 1852 gli riuscì la misurazione della velocità di propagazione di impulsi nervosi. Continuando le sue ricerche fisiologiche sul sistema nervoso, si occupò della fisiologia dell'orecchio, dell'occhio, dell'udito e della vista.
Oggi è considerato uno dei padri di ottica ed acustica, per le sue modifiche sostanziali del concetto classico di percezione. Sviluppò una teoria matematica per spiegare il timbro in base agli armonici naturali, la teoria della risonanza su cui basò la sua opera "La teoria delle sensazioni tonali come base fisiologica della teoria musicale" ("Die Lehre von den Tonempfindungen als physiologische Grundlage für die Theorie der Musik", 1863). Helmholtz portò la teoria tricromatica sviluppata da Thomas Young al successo, inventò nel 1850 l'oftalmoscopio per studiare l'occhio, nel 1851 l'oftalmometro per stabilire il grado di curvatura della cornea e nel 1857 il telestereoscopio. In chiusura del suo "Manuale di Fisiologia Ottica" del 1856-67, spiegò il ruolo che il "riflesso incondizionato" gioca nel processo percettivo.
Con la creazione di una "teoria sui vortici" (1858 e 1868) riguardante il comportamento ed il moto dei vortici in flusso laminare, Helmholtz pose i fondamenti dell'idrodinamica.
Nelle sue ricerche sull'elettrodinamica Helmholtz cercò un compromesso tra la teoria di Franz Ernst Neumann e James Clerk Maxwell. Le sue ricerche su trombe d'aria, temporali, e ghiacciai resero Helmholtz tra i fondatori della teoria scientifica della meteorologia.
Nella teoria della cognizione Helmholtz discusse di calcolo e misurazione ed anche della validità generale del principio di minima azione.
In contrapposizione ad Immanuel Kant rifiutò il concetto di forma a priori e pertanto appoggiò lo sviluppo delle geometrie non euclidee.

Bobina di Helmholtz
Una semplice geometria, spesso utilizzata, per la produzione di campi magnetici uniformi. Il dispositivo consiste di due bobine, con ugual numero di convoluzioni, ed ugual raggio,poste ad una distanza uguale al raggio delle bobine stesse. Attraverso tali bobine scorre una corrente, che ha la stessa direzione per entrambe le bobine. Il dispositivo fu chiamato così in suo onore.

Risonanza di Helmholtz
Nell'analisi dei suoni, Helmholtz utilizzò un risonatore (un dispositivo oscillante che comincia ad oscillare a determinate frequenze, dette autofrequenze di risonanza), consistente in una sfera cava sulla cui superficie era stata praticata un'apertura. Il risonatore di Helmholtz è usato ancor oggi, per esempio nei motori Porsche, per ottimizzare il flusso dei gas di scarico a determinati regimi di giri, ciò conferisce il caratteristico "sound" ai motori della casa tedesca. Anche le casse acustiche bass reflex si basano su questo dispositivo.

Equazione differenziale di Helmholtz
Ad Helmholtz si deve anche una equazione alle derivate parziali.
È usata in fisica, per esempio nella soluzione dell'equazione delle onde, consentendo la separazione delle variabili e la determinazione di una soluzione armonica dipendente dal tempo.

Onorificenze
Cavaliere dell'Ordine di Massimiliano per le Scienze e le Arti — 1867

* 1949 - Richard Strauss (Monaco di Baviera, 11 giugno 1864 – Garmisch-Partenkirchen, 8 settembre 1949) è stato un compositore e direttore d'orchestra tedesco.
Noto soprattutto per i suoi poemi sinfonici e le sue opere liriche, Richard Strauss non era imparentato con gli Strauss viennesi, famosi compositori di valzer.

▪ 1991 - Luigi Pareyson (Piasco, 4 febbraio 1918 – Milano, 8 settembre 1991) è stato un filosofo italiano.

VITA E RIASSUNTO GENERALE (A cura di Gianmario Lucini)
Nato a Piasco (Cuneo) il 4 febbraio 1918, Luigi Pareyson si laurea in filosofia all'università di Torino nel 1939 e segue i corsi di Karl Jaspers ad Heidelberg. Professore a Cuneo, durante la guerra partecipa alla Resistenza insieme a Pietro Chiodi. Nel 1950 diviene professore ordinario prima a Pavia e poi, dal 1952 al 1988 , a Torino, dove insegna Estetica e Filosofia teoretica, succedendo ad Augusto Guzzo . A Torino sono stati suoi allievi Valerio Verra, Umberto Eco, Gianni Vattimo, Sergio Givone e numerosi altri studiosi italiani. E' stato accademico dei Lincei, membro delll'Institut international de philosophie e direttore della Rivista di estetica. E' morto a Rapallo l'8 settembre 1991.
Pareyson è indubbiamente uno dei maggiori filosofi italiani del XX secolo: egli sviluppa l'esistenzialismo in direzione personalistica, elaborando contemporaneamente un'estetica nella quale è centrale la considerazione del momento formativo della produzione artistica. Su questo presupposto, egli ha anche costruito una teoria dell'interpretazione come "conoscenza di forme da parte di persone", infinitamente molteplice nella molteplicità delle prospettive personali, ciascuna delle quali è in rapporto costitutivo con la verità. Egli è approdato infine ad una forma di pensiero "tragico", preoccupato del problema del male, che ha le sue radici nella libertà che permea la stessa essenza di Dio. Che Pareyson fosse destinato a divenire un grande filosofo lo si comprese presto. Nel 1937, ad esempio, presentò un’esercitazione scritta a un seminario universitario del suo maestro Augusto Guzzo, dal 1934 titolare della cattedra di filosofia morale all'Università di Torino. Questi, apprezzandola, la fece leggere a Giovani Gentile, in quanto all'epoca direttore della maggiore rivista italiana di filosofia, il "Giornale critico della filosofia italiana". Stupito per la profondità e l'originalità del testo, Gentile chiese a Guzzo di quale filosofo torinese si trattasse, non pensando certo ad un diciannovenne.
Nel 1938 uscì quindi sulla rivista di Gentile la prima pubblicazione di Pareyson, le famose Note sulla filosofia dell'esperienza. E proprio del particolare rapporto di Pareyson con l'esistenzialismo è possibile avviare un tentativo di comprensione della sua originalità nell'ambito della filosofia novecentesca. Pareyson fu il primo filosofo a far conoscere in Italia la filosofia dell'esistenza, tedesca soprattutto, sviluppando egli stesso una forma personalistica ed ontologica di esistenzialismo. Con irruente purezza e semplicità giovanile Pareyson ruppe l'unico coro neo-idealista (rarissime eccezioni degli isolati, se non esiliati, quali Giuseppe Rensi, Piero Martinetti, Adriano Tilgher) - unente sino ad allora, nelle figure esemplari di Gentile, Croce e Gramsci, accademia soggetta al regime, pubblicistica liberale, opposizione politica incarcerata - presentando l'esistenzialismo non solo come filosofia capace di comprendere le tragiche problematiche contemporanee: fatte di guerra e sofferenza, di fallimento dei totalitarismi politici e intellettuali, dei falsi egualitarismi collettivi, nelle varie versioni borghesi, cameratesche, comuniste, ma anche come antidoto radicale alle filosofie e ideologie ottocentesche all'origine delle catastrofi novecentesche, cogliendo in Kierkegaard il padre dell'esistenzialismo e la vera alternativa a Hegel, così rinvigorendo per giunta le pure fonti religiose dello stesso ateismo esistenzialista novecentesco, nonché aprendo nuove prospettive di lettura e comprensione di profonde correnti di pensiero e filosofi tacitati dall'hegelismo imperante, quali l'idealismo e il romanticismo, Fichte e Schelling in particolare. Sin dalle sue prime opere: La filosofia dell'esistenza e Carlo Jaspers (1939, 1940), Studi sull'esistenzialismo (1943, 1950), Esistenza e persona (1950), Pareyson individua quello che sarà il nucleo incandescente alimentante perennemente il suo pensiero successivo, nei suoi continui approfondimenti ulteriori, ereditandolo dalla concezione di Kierkegaard dell'esistenza come coincidenza paradossale di autorelazione ed eterorelazione. Varco di accesso non solo alla mia vita personale, ma alla realtà in genere, è l'esistenza: l'esistenza di questo singolo che io sono. Tuttavia il singolo non è un separato individuo, soggetto assolutamente autonomo e autosussistente. L'esistenza è, in quanto tale, coincidenza di ciò che parrebbe non poter coincidere - e che è quindi coincidente in modo paradossale -, paradossale coincidenza cioè non necessaria articolazione o relazione - di autorelazione ed eterorelazione, della relazione con sé, autofondantesi, che ogni singola esistenza è, e della relazione con altro, che altrettanto imprescindibilmente, seppur coincidente in maniera paradossale, essa stessa è. L'esistenza è se stessa e comprende se stessa in quanto è in relazione con altro e comprende l'altro, e viceversa. Secondo questa profonda radice kierkegaardiana dell'esistenzialismo, Pareyson propone quindi la propria autentica versione di esso come esistenzialismo personalistico e ontologico . Personalistico perché è la singola persona vivente, non un astratto a priori trascendentale o esistenziale, a qualificare l'esistenza e la sua inaggirabilità, pena l'intransitabilità di qualsivoglia minimo senso della realtà e della vita umana. Ontologico perché è nell'apertura all'essere che ci trascende, che mi trascende, che io posso scegliere ed essere me stesso. Che l'esistenzialismo non possa che essere personalistico e che il personalismo non possa che essere ontologico ci dice allora che l'esistenza è quia talis apertura di trascendenza, quindi possibilità di esperienza religiosa. Infatti che l'esistenza sia paradossale coincidenza nel tempo di autorelazione e di eterorelazione mostra quanto la relazione con sé, nell'apertura alla relazione con altro, che ogni singolo è non possa esistere se non in quanto posta, istituita, donata a se stessa e al suo aprirsi all'alterità da una trascendenza che è tale non in quanto posta dalla autorelazione coincidente con la eterorelazione, ma perché trascendente la stessa relazione, e nel momento stesso in cui istituisca tale relazione, cioè perché è l'irrelativo che pone la relazione fra il relativo e l'irrelativo stesso, quindi senza cessare di essere irrelativo nell'istituire liberamente il relativo come possibile relazione con l'irrelativo. Grazie a questo ritorno a Kierkegaard Pareyson può risalire la nefasta storia degli effetti hegeliana. Leggendo la filosofia e la storia contemporanea come dissoluzione dell'hegelismo , Pareyson ne individua due correnti, quella risalente a Kierkegaard, che conduce all'esistenzialismo, e quella che attraverso Feuerbach giunge sino al marxismo e all'attualismo. Kierkegaard dissolve il sistema hegeliano negando l'identità fra pensiero e realtà, la conciliazione dialettica fra storia ed eternità, ancorando ogni possibile verità alla soggettività del singolo, incoercibile a qualsivoglia sistema assoluto del sapere. Tuttavia, a detta di Pareyson, mantenendo la concezione negativa del finito, tipicamente luterana, già propria a Hegel. Feuerbach risolve invece la filosofia di Hegel antropomorfizzandone gli aspetti più ideali, riducendo a ciò che è reale il razionale e il reale a ciò che è sensibilmente percepibile o desiderabile. Tuttavia la posizione atea di Feuerbach e dei suoi epigoni è ricomprendibile, in un orizzonte più ampio, nella kierkegaardiana, nella concezione dell'esistenza come innanzi tutto autorelazione, che se inospitale giunge alla disperazione, malattia mortale, e se invece aperta nella eterorelazione alla trascendenza, ed eventualmente all'esperienza religiosa, possibile nella sua stessa misura finita e temporale, corrisponde alle questioni stesse dell'ateismo, assumendolo in sé e vincendone tuttavia l'egoismo mortale. Ecco che ritornare a Kierkegaard e all'origine teorica delle vicende contemporanee significa per Pareyson porsi nuovamente e più consapevolmente ancora di fronte al dilemma: pro o contro il cristianesimo? E per Pareyson si tratta di scegliere un cristianesimo tragico , dialettico, paradossale, esso soltanto capace di dare risposta alla deriva atea del pensiero e della storia contemporanea, vivendo e vincendo l'ateismo in sé, sino alla morte in croce per rivelare nella abissale libertà dell'uomo la eterna libertà che è Dio. L'ontologicità dell'esistenzialismo, la apertura alla trascendenza dell'essere, prima ancora che alla libertà di Dio, dell'autocomprendersi dell'esistenza umana, conduce inevitabilmente Pareyson, come già Heidegger prima di lui, ad approfondire il proprio esistenzialismo in filosofia ermeneutica , che intenda l'esistenza in quanto tale come comprensione dell'essere trascendente. Prima che Gadamer e Ricoeur, i due più noti filosofi ermeneutici dopo Heidegger, Pareyson elaborò negli anni quaranta e cinquanta una propria filosofia dell'interpretazione o ermeneutica. Oltre che in Esistenza e persona (1950) e in articoli precedenti, i risultati maturi di tale elaborazione sono contenuti in Estetica. Teoria della formatività (1954) e infine in Verità e interpretazione (1971), opera che chiude questo secondo periodo ermeneutico nel cammino di pensiero di Pareyson. Se la realtà è accessibile solo e sempre singolarmente, attraverso l'esistenza personale che io sono, ogni mio atto o pensiero o esserci è interpretazione, personale incarnazione dell'essere che trascende la mia situazione. Non che l'interpretazione sia parziale attingimento dell'essere, bensì ogni vera e autentica interpretazione è il darsi stesso dell'essere in essa: essere che non sta quindi come un oggetto intangibile al di là delle proprie interpretazioni, e che tuttavia non si riduce alle interpretazioni, non ne è esaurito, ma mantiene la propria differenza ontologica. Qui sta lo specifico della posizione di Pareyson rispetto a gran parte delle restanti filosofie ermeneutiche: il mantenimento, anzi la sottolineatura della imprescindibilità della verità per una concezione interpretativa della realtà. L'ermeneutica non solo non mette in crisi, ma cerca di comprendere ed esige ancora più fortemente di ogni altra filosofia la verità. Perché la verità trascendente e assieme immanente alle sue esistenziali e personali interpretazioni non si riduca a ideologia, a mera espressione della condizionatezza storica dell'interprete, anziché mostrarsi simultaneamente a ciò anche rivelazione di inesauribile e inoggettivabile ulteriorità, essa non può tuttavia esser semplicemente intesa come fonte incessante eppure imperscrutabile suscitatrice di infinite interpretazioni proprio approfondendo la concezione ermeneutica della verità attraverso un riattingimento delle proprie origini esistenzialistiche, Pareyson nell'ultima tappa del suo pensiero si dedica all'elaborazione di una ontologia della libertà , un discorso sull'essere che lo intenda come libertà. Libertà quindi non solo in quanto primaria essenza della esistenza umana, ma anche nel suo significato originario, metafisico, ontologico: l'essere stesso come libertà. Infatti solo comprendendo l'essere come libertà se ne potrà rivelare pienamente la trascendenza veritativa: una necessità logica o semplicemente eventuale, quale l'inesauribile e inesorabile imperscrutabile darsi dell'essere, ne legherebbe circolarmente al finito ogni possibilità di eccedenza significativa. Solo se l'essere trascendente è libero di darsi o di non darsi in una forma finita, solo se l'irrelativo è libero di porsi o di non porsi nella relazione che esso stesso istituisce, e in un istituirla che non sia un vincolarvisi necessitante, la verità non è fagocitata dall'interpretazione né l'infinito reso vuoto prodotto del finito. Si raccolgono in estrema concentrazione, lungo tutta l'ultima tappa del cammino filosofico di Pareyson, il suo esistenzialismo personalistico, la sua ermeneutica veritativa e la sua ontologia della libertà (originaria e finita, indivisibilmente), capaci assieme della forza per affrontare la scoscesa realtà della sofferenza e del male. In opere uscite, nella loro complessività, postume, come Dostoevskij (1993), Ontologia della libertà (1995), Essere libertà ambiguità (1998), Pareyson ripropone quindi una coraggiosa teoria dell'essere, una ontologia, ma non nel comune senso necessitaristico della cosa, bensì un'ontologia della libertà, che comprenda l'essere originario stesso come libertà. Libertà assolutamente iniziale, arbitraria, imperscrutabile, eppure ontologica, propria all'essere stesso nella sua eterna positività, indiscutibile e immemorabilmente attuale. Pareyson concepisce paradossalmente e dialetticamente la libertà come inizio e assieme come scelta, unità originaria irrevocabile in Dio di inizio e scelta, di eternità e unicità nell'iniziare, se stessa e ogni altro ente o creatura, e di assolutezza e arbitrio positivo nello scegliere: nel decidere quindi di essere il bene e l'essere dall'eternità e per l'eternità, significante simultaneamente e retroproiettivamente l'esclusione e la vittoria sul male e il nonessere, posti nell'atto di sconfiggerli e senza che alcuna alternativa precedesse tale eterna e irrevocabilmente positiva autooriginazione divina. Ma in quanto ontologica, caratterizzante essenzialmente l'essere stesso, la libertà implica allora l'indivisibilità della libertà umana e divina. E se in Dio la libertà (originaria) è unità eterna e indissolubile e positiva di inizio e scelta: sconfitta del male e vittoria sul nonessere solo in quanto autoposizione nello scegliersi come bene ed essere, tuttavia nell'uomo la libertà (finita) è solo coincidenza di inizio e scelta, paradossale coincidenza nella finitezza esistenziale di tempo ed eternità, autorelazione ed eterorelazione. Cosicché quel male eternamente vinto in Dio, senza che ne precedesse temporalmente o ontologicamente l'eterna autopositività, nell'uomo dallo stato latente può essere riattivato, essendo l'eterna e irrevocabile unità divina nell'uomo solo coincidenza temporale sempre faticosamente da realizzare. Da qui la sofferenza quale creaturale schiavitù alla caducità, il male come realtà pienamente umana, frutto di esistenziale libertà: non corrodente l'essere divino stesso, al punto da farne fallire il progetto di autooriginazione come positività, irrevocabile anche nel suo estendersi alla creazione dell'altro da Dio facendo kenotico spazio in sé, dell'universo creato con a suo radicalmente libero vertice l'uomo, tuttavia capace di sospenderne indefinitivamente la compiuta realizzazione. Eppure, elaborando intrecciata alla propria esistenza una ermeneutica filosofica dell'esperienza religiosa cristiana, Pareyson riesce con estremo e umile atto esistenzialmente speculativo ad ascoltare la tacita presenza del Cristo sulla terra come rivelazione, attraverso la sofferenza, dell'unione cosmoteandrica che vincola uomini, creature, Dio in un'unica vicenda segnata sì tragicamente dall'abissalità della morte e del male, ma anche riscattabile mediante l'energia e la scommessa del balzo della libertà.

IL PENSIERO
Personalismo ontologico, espressione e rivelazione, interpretazione.

Il panorama filosofico in cui si muove Luigi Pareyson (Piasco 1918, Milano 1991) è l' esistenzialismo (o, forse più propriamente, la filosofia dell'esistenza); non però un esistenzialismo vittimistico, né materialistico o immanentistico, né spiritualistico, né nichilistico. Pareyson adotta il termine di personalismo ontologico: l'uomo, da un lato, è costitutivamente apertura verso l'essere, rapporto ontologico; dall'altro, non è né individuo singolo né funzione della società, bensì propriamente persona, ovvero fusione di apertura ontologica (aspetto universale) e di carattere storico (aspetto particolare). Non unicamente trascendenza (perderemmo la ricchezza e l'unicità della singola esistenza concreta), non unicamente storicità (perderemmo la speranza del dialogo alla luce di un qualche principio universale). L'uomo è persona, e la persona è rapporto verso l'essere, ed ha storia (non ha l'essere, non lo possiede interamente; non è storia, non si riduce alla storicità dell'esistenza). La stessa filosofia non può essere semplice pensiero espressivo, portavoce unicamente dell'aspetto storico e particolare dell'esistenza umana, ma deve essere invece pensiero rivelativo, al tempo stesso ascolto dell'essere e considerazione della storicità umana. Dimentico della verità dell'essere, il pensiero espressivo distorce la natura dell'uomo e diviene pensiero strumentale, vuota ideologia, occasione per la volontà di potenza. Come può essere conosciuta la verità? Non la si può possedere interamente, in quanto trascendente; ma non siamo neppure condannati all'assoluto silenzio, poiché è la verità stessa che si offre al nostro ascolto. D'altro canto, non è che la conoscenza della verità sia talmente ardua da divenire sostanzialmente vana ed impossibile: nel conoscerla, la possediamo davvero, per quanto non la esauriamo, così come ad una sorgente inesauribile ci si abbevera davvero, ma non la si finisce. La verità si dona a noi, ma nessuno può dire di possederla del tutto, né di essere l'unico a possederla; la verità si nasconde, ma nessuno deve scoraggiarsi dal cercarla ponendosi in ascolto. Una tale forma di conoscenza è l' interpretazione . E' interpretazione della verità, non arbitraria espressione del soggetto; è sempre personale, cioè accompagna l'aspetto rivelativo con quello espressivo, per cui la storicità del soggetto, lungi dal corrompere la conoscenza o dal farci cadere nel relativismo, è piuttosto lo strumento prezioso con cui possiamo penetrare la verità; è dialettica di presenza e nascondimento della verità; è rispettosa delle altrui interpretazioni, essendo il dialogo possibile (unica è la verità) e necessario (come strumento della sociabilità umana); è testimonianza personale, richiedendo che il soggetto scelga, scommetta, metta in gioco se stesso, senza sufficienza, presunzione, scetticismo. Una siffatta conoscenza interpretativa mette capo ad una teoria ermeneutica dal carattere insieme ontologico e personalistico (sulla quale Pareyson ha modellato anche una originale teoria estetica della formatività , su cui non ci soffermiamo). Probabilmente, il rischio costante di tale impostazione è quello del relativismo; ma non si deve chiedere alla filosofia di essere ricetta univoca e sistematica per risolvere le controversie, altrimenti cadremmo di nuovo in un pensiero strumentale, tecnico, ideologico. Ogni interpretazione è un impegno personale, e il dialogo fra gli uomini è cosa ardua senza soluzioni precostituite, con il costante rischio della sconfitta. La risposta va cercata di continuo, questa è la responsabilità dell'esistenza.

Filosofia della libertà ed ermeneutica dell'esperienza religiosa.
Ora, alla luce di quanto detto a proposito di personalismo ontologico, di pensiero rivelativo e di ermeneutica, qual è la filosofia possibile? Innanzitutto una filosofia che sia universalizzante e rivelativa, e non solo storicistica ed espressiva dei tempi che cambiano; e ciò è possibile, ammettendo la presenza non muta della verità. In secondo luogo, la filosofia non può più ambire ad essere oggettivante, assolutamente razionalistica, astratta. Non oggettivante perché l'essere e la verità non possono venire rinchiusi nelle definizioni e nelle categorie umane; l'uomo partecipa dell'essere, è rapporto con l'essere, benché non sia l'essere, da cui invece è sempre trasceso, e incommensurabilmente distanziato. Non razionalistica, in senso assoluto ad acritico, perché di nuovo l'essere non può essere limitato negli angusti recinti della ragione umana; e non si può muovere a tal proposito l'accusa di irrazionalismo o superstizione, giacché è semmai il razionalismo acritico a peccare irrimediabilmente di cecità, nel momento in cui non vuole, anzi non può riconoscere la premessa gratuita e non razionale che ne sta alla base, ovvero il principio che tutto sia conoscibile razionalmente (se non ora, in futuro). Non astratta, poiché la filosofia deve in primo luogo rendere conto dell'esistenza concreta dell'uomo, senza perdersi in fantasiosi sistemi totalizzanti che pretendono di spiegare l'universo e Dio, mentre finiscono per dimenticare chi è l'uomo, con le sue speranze e i suoi drammi. Soprattutto, per poter sperare di capire la natura delle vicende dell'intero universo e della storia umana in particolare, la filosofia non può più essere necessitaristica. La necessità è uno strumento comodo per imbrigliare la realtà e l'essere stesso in un qualche principio di ragione, per alleggerire la coscienza morale affidandosi all'inevitabilità del fato, per eludere l'incombente problema del male, per giustificare azioni prepotenti. E' un peso legato al collo di Dio, del cosmo e dell'uomo. Ciò che invece va riscoperta - e Pareyson lo fa rileggendo e correggendo l'ultimo Schelling e Heidegger - è la libertà . Libero è l'agire di Dio, le cui azioni arbitrarie l'uomo non è degno di giudicare; libertà è l'essenza di Dio, che fu libero di scegliere il suo stesso essere, senza essere vincolato da alcuna legge di necessità; libertà è il cuore del reale, senza alcun fondamento metafisico, a cui si oppone semmai il nulla, non in senso nichilistico, ma come abisso assoluto che precede il primo atto libero di Dio, la sua autooriginazione (così come dire che Dio è il nostro nulla, cioè è totalmente altro dall'uomo, non implica alcuna caduta nichilistica); libera è la caduta dell'uomo, e tutta dell'uomo la responsabilità del peccato e del male reale; libero è il sacrificio di Cristo per assumere su di sè il peccato e la sofferenza dell'uomo e per redimerli; libero è ogni atto umano, nella scelta per l'essere o contro l'essere; libero è ogni evento, e cioè irruzione nella realtà, non prevista da alcuna possibilità e non schiava di alcuna necessità; la stessa situazione storica in cui l'uomo vive va pensata non tanto come prigione ed impedimento, quanto come occasione, spunto, suggerimento, appello alla libertà, punto di partenza e non di arrivo; la realtà non è com'è perché così deve essere, ma deve essere com'è perché così è. Naturalmente è evidente la natura tragica della libertà, della costante scelta fra le alternative, dell'inevitabile responsabilità delle proprie azioni, dell'incombente rischio del fallimento. E la stessa rinuncia alla libertà, è già una presa di posizione, una scelta, un atto di libertà. Siamo allora non in una ontologia della necessità, e nemmeno in una ontologia del nulla, ma in una ontologia della libertà , più agile e più fedele alla tragicità dell'esistenza umana del necessitarismo, più costruttiva del nichilismo. Se la libertà è il cuore del reale, allora la filosofia non può essere dimostrativa, non deve cercare leggi necessarie che spieghino alcun determinismo. La realtà, divina ed umana, è costituita di fatti, di eventi, è una storia libera di cui non si può teorizzare, ma di cui invece si deve narrare. E quando ci si avvicina all'agire divino e alla sua relazione con l'uomo, il compito di narrare gli eventi è affidato al mito . Mito non inteso come espressione irrazionale, arbitraria, superstiziosa: invece come unico modo di parlare di fatti che sfuggono alla ragione umana, senza però disperderne la carica rivelativa. Come nell'interpretazione, il mito fonde armonicamente la verità rivelata e l'espressione storica, artistica, fantastica. Il mito non fa violenza alla ragione, ma diventa l'unica via di accesso ad una verità che non può essere dimostrata, pena fare violenza alla verità. E senza ancora uscire dalla filosofia, che resta pensiero razionale e rigoroso, possiamo indagare la rivelatività del mito cercando di interpretarlo, cercando di attingere alla verità non già per trasformarla in dimostrazione scientifica, bensì per problematizzarla, interrogarla, universalizzarla. Questo è quanto si propone di fare Pareyson negli ultimi scritti, attraverso l' ermeneutica dell'esperienza religiosa (del cristianesimo in particolare).

Il problema del male in Dio, nell'uomo e nel mondo.
Questa filosofia, che chiaramente si contrappone alla tradizione metafisica culminata in Hegel, porta in dote la capacità di ammettere l'esistenza del male, di comprenderlo, di darne ragione. Finché il pensiero è ancorato all'idea della necessità, e dell'essere come qualcosa di oggettivo a cui affibbiare le varie idee umane di perfezione, il male non può esistere: tutto è razionale, tutto è previsto, tutto è necessario alla storia, tutto è giustificato, tutto è com'è perché così deve essere. Al più il male è semplice sofferenza, al più è privazione dell'essere. Ma il male che si presenta nel mondo quale forza negativa e distruttrice, che non dovrebbe essere ma è, non viene e non può venire ammesso. Ciò che avviene invece nell'ontologia della libertà: ogni atto è atto di libertà, è scelta, e la scelta può avvenire per l'essere, o contro l'essere. Ecco il male reale : non come semplice privazione dell'essere, ma come consapevole rivolta contro l'essere. Il male compare a livello di pura possibilità già nell'autooriginazione divina: scegliendo di esistere Dio sceglie il bene, e scarta il male (non esistere); Dio esclude per sempre la possibilità del male che gli si presenta; Dio vince per sempre il male. Ma questo male possibile è come un'ombra in Dio, nel senso che è una possibilità sopita pronta ad essere ridestata (Pareyson usa l'espressione efficace ma ambigua di "male in Dio", rischiando di far credere in un Dio demonizzato). Sarà l'uomo, liberamente, a cogliere questa possibilità, a ribellarsi a Dio, a realizzare realmente il male, finora solo possibile; e con la caduta dell'uomo fallisce la creazione, subentrano la storia e la morte, il male si insedia nel cuore della realtà. Il male si accumula sempre più, travolgendo il mondo, e l'umanità intera ne è responsabile, è solidale nel peccato. Ma il male può essere vinto. Da parte dell'uomo, l'unica opposizione al male è data dalla sofferenza : che non è solo punizione per il peccato commesso, ma diviene strumento di espiazione, al di là della logica retributiva per cui ogni uomo dovrebbe soffrire solo per le colpe individuali e determinate commesse da lui stesso. Invece nessuno è innocente, e ciascuno deve soffrire per lavare la colpa dell'umanità intera. Ma l'uomo da solo non potrebbe compensare il male commesso ed accumulato con la sofferenza patita; occorre che addirittura Dio si faccia carico del male destato dall'uomo, assuma su di sè il peccato, divenga sofferente, si faccia mortale e patisca sulla croce; e qui, al culmine del sacrificio divino, il Cristo grida, chiede ragione al Padre, e ottiene solo silenzio: Dio abbandonato da Dio , Dio contro Dio. E' qui che la sofferenza, di per sè negativa, viene completamente ribaltata e diventa strumento per fare il bene, per riscattare il male, per tornare all'essere. E' la sofferenza di Dio stesso, è la passione di Cristo a rendere sopportabile la sofferenza umana, altrimenti disperata e vana. Così, il solo modo per dare ragione del male e della tragedia umana (e divina) è nel cristianesimo (altre filosofie negano il male; altre religioni negano non solo il male ma l'intera realtà, che sarebbe illusoria); e il cristianesimo trova una vera risposta positiva al problema del male, e pure un autentico rapporto con Dio, solo attraverso la cristologia , e non tramite una metafisica oggettivante. Il cristianesimo indicato da Pareyson è quello arricchito dalle meditazioni di Pascal e Kierkegaard e dalla sensibilità di Dostoevskij; è un cristianesimo attuale e problematico, che deve capire i problemi dell'uomo moderno per dare loro la risposta più convincente; è un cristianesimo della sofferenza, ma non masochistico o lamentoso, in contrapposizione a certo spiritualismo annacquato; è un cristianesimo consapevole della tragicità dell'esistenza, in contrapposizione a certo facile ed ingenuo ottimismo; è un cristianesimo che si rende conto della scelta sofferta e continua che richiede la testimonianza di fede, in contrapposizione ai molti cristiani nominali per abitudine; è un cristianesimo dialettico, non nel senso hegeliano, per cui ci sarebbe sempre una sintesi pronta a dissolvere lo scontro dei contrari, ma nel senso del dualismo pascaliano, per cui permane la tensione dei contrari, ciascuno dei quali è veritativo solo se accostato al proprio opposto (così la sofferenza e il sacrificio di Cristo sono inseparabili dalla redenzione e dalla resurrezione); è un cristianesimo non fatalistico, e quindi necessitaristico, ma consapevole della libertà di Dio e dell'uomo, e delle conseguenze che derivano dalle libere scelte (Dio ha vinto il male per sempre, l'uomo ha scelto il male); è un cristianesimo che si oppone con forza al tentativo di essere secolarizzato e ridotto ad una morale e ad una espressione storica.

Cristianesimo e pensiero tragico.
Siamo quindi all'interno di un pensiero tragico , nel senso che non risolve le contraddizioni radicate nella realtà (anzi si ispira al paradosso kierkegaardiano come categoria logica della verità rivelata), ammette l'esistenza sia di Dio sia del male, e vede nella sofferenza, umana e divina, il solo modo per riscattare e vincere il male. Questo pensiero tragico si oppone alla teodicea, sistema filosofico tradizionale che cerca di conciliare l'onnipotenza di Dio con la sua infinita bontà, tramite la concezione del male come semplice privazione dell'essere; la teodicea ha un duro avversario in quell'ateismo che arriva a negare Dio in forza dell'esistenza del male, un male reale, che sarebbe incompatibile con l'esistenza di Dio. Ma il fatto è che l'esistenza di Dio non è incompatibile con quella del male, anzi ne è imprescindibile: il male reale esiste in quanto rivolta contro Dio; e il Dio-libertà e non necessario, il Dio vivente, prevede la possibilità (scartata da lui, accolta dall'uomo) della trasgressione e quindi del male. Allora, combinando i termini "esistenza di Dio" ed "esistenza del male" nelle varie possibilità, otteniamo quattro tipiche correnti di pensiero: nel cristianesimo esiste Dio ed esiste il male; nella teodicea esiste Dio ma non esiste il male (reale); nel nichilismo classico esiste il male ma non esiste Dio (termini che come visto sopra sono in realtà inseparabili); infine, c'e' la possibilità dell'inesistenza tanto di Dio quanto del male. Quest'ultima è la via del nichilismo consolatorio, dell'ateismo confortevole: non più tragicità, non più sofferenza, non più negatività. Resta da vedere quanto questa visione del mondo possa realmente essere compatibile con l'esperienza concreta dell'uomo. A meno di invocare l'illusorietà del dolore e infine della realtà stessa, come in molte religioni orientali; o di degradare il peccato a semplice senso di colpa, come nello psicologismo; o di sostituire la responsabilità con la necessità del fato, come nel paganesimo; o di dissolvere la tragicità in un disincantato naturalismo secondo cui la morte e il dolore sono eventi semplicemente naturali e necessari. Non così nel cristianesimo, il quale non nega la realtà tragica, ma la accetta, e le offre una soluzione grazie alla salvezza in Cristo; e non rifiuta la sofferenza, ma la assume, senza evitarla, e senza tentare di annullarla in una rassegnazione stoica in fondo più facile della sopportazione e della accettazione della propria condizione di peccatori sofferenti.

▪ 1997 - Sabatino Moscati (Roma, 24 novembre 1922 – Roma, 8 settembre 1997) è stato un archeologo italiano.

“Non dimentichiamoci mai che l'archeologia è una scienza nuova, che le sue strutture sono esili”. (Sabatino Moscati, 1969, convegno del CNR sulle ricerche puniche nel Mediterraneo)

Attratto dal mondo orientale, si laureò presso il Pontificio Istituto Biblico (Roma) ancora molto giovane.
Nella sua notevole carriera - ricca di importanti contributi alla storia islamica e poi fenicia (con particolare attenzione all'esperienza cartaginese) - Moscati annoverò diverse cariche importanti, fra le quali la docenza all'Università "La Sapienza" e a Tor Vergata (dagli anni ottanta), la lunga vice-presidenza dell'Istituto per l'Oriente, la presidenza dell'Istituto per il Medio ed Estremo Oriente (1978-79), la presidenza all'Accademia Nazionale dei Lincei (fino a giugno 1997), la direzione dell'Enciclopedia Archeologica presso l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, e la fondazione della rivista Archeo (1985).
Nel 1969 ha fondato il Centro di Studio per la Civiltà Fenicia e Punica del CNR (oggi Istituto per la Civiltà Fenicia e Punica), precedentemente legato all'Istituto di Archeologia Orientale dell'università romana.
È stato fra i principali promotori della serie di mostre a tema archeologico di Palazzo Grassi a Venezia, di cui si ricorda soprattutto quella sui Fenici del 1988. Il suo importante contributo alla divulgazione scientifica era evidenziato anche dalla sua partecipazione al programma televisivo Almanacco del giorno dopo, per cui curava e presentava la rubrica Le pietre raccontano, nonché dalla direzione del mensile Archeo, edito dalle ed. De Agostini, che Moscati resse dal 1984, anno di fondazione del periodico, fino alla sua morte.
Attualmente l'Accademia Nazionale dei Lincei ha istituito un "Premio Moscati" per gli studi sulle civiltà del Mediterraneo.

▪ 2009
- Aage Niels Bohr (Copenaghen, 19 giugno 1922 – 8 settembre 2009) è stato un fisico danese.
Aage Niels Bohr è figlio d'arte: nasce, infatti, da Margrethe e Niels Bohr, illustre fisico che diede importanti contributi allo studio dell'atomo e alla meccanica quantistica.
Cresciuto tra fisici del calibro di Wolfgang Pauli e Werner Karl Heisenberg, ha scelto, con successo, la strada del fisico nucleare.
Ha frequentato il Sortedam Gymnasium di Copenaghen e quindi fisica all'Università di Copenaghen a partire dal 1940 (pochi mesi dopo l'occupazione tedesca). In questo periodo aiutava il padre nella corrispondenza e nella stesura dei suoi articoli scientifici prendendo piano piano confidenza con gli esperimenti di fisica.
Nell'ottobre 1943, fuggì con la famiglia in Svezia e poi in Inghilterra. Fece ritorno in Danimarca nell'agosto 1945. In questo periodo entrò a far parte, accanto al padre, di un team di ricerca al Dipartimento di Ricerca Scientifica e Industriale di Londra.
Tali studi gli valsero un Master al suo ritorno in Danimarca nel 1946 e in particolare su alcuni aspetti sulla teoria atomica.
Ha vinto il Premio Nobel per la fisica nel 1975, cinquantadue anni dopo che il padre aveva ricevuto lo stesso premio.

- Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, noto come Mike Bongiorno OMRI (New York, 26 maggio 1924 – Monte Carlo, 8 settembre 2009), è stato un conduttore televisivo, conduttore radiofonico e partigiano italiano.
Insieme a Corrado, Raimondo Vianello, Enzo Tortora e Pippo Baudo è stato tra i volti più noti della televisione italiana.