Attualità di san Benedetto 2 - La regola benedettina e lo spirito di impresa

Autore:
Rivolta, Guido
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Questa la tesi che gli autori formulano e condividono: le aziende, le imprese, il mondo del lavoro, in generale, possono ritrovare slancio e dinamismo solo a condizione di possedere una ‘vision’ che sappia tradursi in una ‘mission’. (E’ curioso che anche il linguaggio specialistico faccia uso di tale terminologia religiosa). Ovvero, solo a condizione di identificare uno scopo, una meta finale, capace di muovere e motivare, di suscitare energia e indicare obiettivi, di incarnarsi in valori e attivare decisioni, di influenzare comportamenti e produrre risultati. In questo senso, se la Regola è la ‘vision’, la sua applicazione alla strategia d’impresa e al lavoro manageriale è la ‘mission’. Allora, come emerge dal Prologo di San Benedetto, il primo e fondamentale scopo non è fornire l’elenco delle cose da fare, quanto indicare le ragioni ultime che le motivano. E’ necessario, di conseguenza, lavorare, innanzitutto, sulle persone. Accompagnandole in un processo di chiarificazione di quelli che sono i valori e le motivazioni affettive e razionali che stanno alla base delle loro azioni. E, successivamente, aiutandole a confrontare ed, eventualmente, allineare questi valori e queste motivazioni con la mission dell’impresa. Emerge così il principio metodologico sotteso a queste considerazioni: una persona, valorizzata nell’unità delle sue caratteristiche affettive e razionali, lavora di più e meglio quando ha presente lo scopo e i motivi per cui lavora. Ciò che conta non è solo che cosa fare, ma soprattutto come fare le cose: dimensione soggettiva ed esistenziale, caratteristiche affettive e valoriali, stile e personalità sono altrettanto importanti degli aspetti più strettamente economici e materiali. Infatti, sono le qualità umane, il carattere, gli atteggiamenti, in una parola, le disposizioni (potenzialmente) ‘virtuose’ della persona a essere determinanti nella gestione e organizzazione di un’impresa: risorse umane, aspetti decisionali e relazionali, dinamiche della comunicazione, risoluzione dei conflitti, etc. La Regola, da questo punto di vista, è fondamentale perchè richiama la preziosità di un percorso formativo volto alla ricerca di un’identità basata su virtù e valori condivisi e condivisibili: senza di essi non è possibile né guidare se stessi e gli altri, né costruire alcun modello aziendale valido ed efficace. Ecco, allora, l’importanza della virtù dell’accoglienza: essere uomini è essere attesi e accettati; è prestare attenzione ai bisogni propri e altrui e fare in modo che ciascuno tenda ad un miglioramento personale. Della virtù dell’ascolto: per imparare a comunicare, bisogna imparare ad ascoltare e ad ascoltarci; ascoltare il proprio maestro interiore e lasciare spazio agli altri. Della virtù del silenzio: è ciò che dà profondità e tempo alle nostre parole, ai nostri gesti, alle nostre relazioni. Della virtù dell’umiltà (da: humus): è imparare ad amare la realtà e la verità più di se stessi e delle proprie meschinità; è mettersi in gioco e cercare il vero senso, l’autentica radice delle cose. Della virtù dell’obbedienza (da: ob-audire): non è imposizione o subordinazione, ma proposta e ascolto, comprensione e condivisione di un valore trasmesso.
Questa visione personalistica del lavoro, questo porre l’uomo al centro dell’organizzazione aziendale non si realizza soltanto attraverso valori e virtù di tipo personale, ma si attua anche attraverso dinamismi ‘generativi’ di tipo relazionale, che riguardano la singola persona nei suoi rapporti orizzontali con la comunità e verticali con chi la guida e dirige. Il metodo pedagogico e la logica sapienziale della Regola trovano, infatti, il loro centro nella comunione fraterna, vista nelle sue implicazioni culturali, spirituali e sociali. In questo modo, la comunità diventa il luogo in cui si sviluppano relazioni interpersonali capaci di motivare le persone a tendere verso il meglio di sé e degli altri, in vista di obiettivi condivisi. In essa, ogni gesto è modellato secondo il criterio della comunione, ovvero della reciproca crescita e della corresponsabilità. Rispetto a queste finalità formative che implicano un lavoro sia personale che relazionale -siamo responsabili di noi stessi e gli uni degli altri- determinante, inoltre, è la figura dell’Abate, di colui che, in gergo aziendale, detiene la leadership. Egli, incarnando la Regola, è la ‘regola vivente’. All’interno dei problemi della vita quotidiana indica l’ideale. Trasmette, insieme, valori e virtù, “l’affetto severo del maestro e quello tenero del padre”. Conoscendo gli uomini nella loro debolezza, li guida con “discernimento e moderazione”, senza false illusioni ed eccessive pretese. “Odia i vizi, ma ama i fratelli”. Persuade e riprende, corregge ed esorta, alternando, secondo l’indole e le capacità di ciascuno, “rigore e dolcezza” . “Si sforza di essere amato più che temuto”. (San Benedetto, sia detto per inciso, sembra qui differenziarsi sia dal pessimismo radicale di Machiavelli, sia dall’ingenuo ottimismo di Rousseau).