"Il mio nome è Asher Lev" 4 - Gli anni del terrore in Russia

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Il padre
Ma questo dono da subito è guardato con stupore e sospetto da chi gli è più vicino e dal padre Aryev in particolare, che lo richiama invitandolo a non buttare via il tempo, a non sprecarlo in sciocchezze, come lui definisce i suoi primi incerti disegni.
“Tuo nonno non sarebbe stato contento di vederti sprecare tanto tempo in sciocchezze” gli dice, ma il bambino risponde: “Un disegno non è una sciocchezza papà”.
Spesso Aryeh deve allontanarsi dalla famiglia per lunghi viaggi e alle domande del bambino sulle sue destinazioni, egli si limita a rispondere che deve partire perché questo gli ha chiesto il Rebbe, la suprema autorità religiosa della sua comunità.
Il padre di Asher è presentato nel romanzo come un uomo molto generoso, profondamente innamorato della moglie e dedito alle sorti del suo popolo. E’ stato incaricato, per le sue capacità e coraggio, di salvare gli Ebrei dell’Europa Orientale, che sotto Stalin sono stati perseguitati e sterminati, negli anni ’50. Affronta continui viaggi, rischi e pericoli e per questo tutta la comunità ebraica lo riconosce come un grande uomo, un eroe, un modello indiscusso per rettitudine morale e abnegazione.
Gli anni del terrore in Russia (1938-1953)
Il 13 gennaio 1953, il governo sovietico annunciava al mondo che nove medici del Cremlino, sei dei quali avevano nomi ebraici, avevano ucciso, tra il 1945 e il 1948, alcuni stretti collaboratori di Stalin e, per ordine degli imperialisti occidentali e dei sionisti, stavano preparandosi a colpire i vertici del partito e dell'esercito dell'Unione Sovietica.
Viene ricordato come il tristemente celebre "complotto dei medici", e fu interpretato come il segnale che, dopo le purghe degli anni Trenta, Stalin stava per lanciare un nuovo Terrore.
Infatti, nelle sei settimane seguenti i giornali non facevano che riferire di ebrei che erano stati arrestati, licenziati o giustiziati per "crimini economici" o "spionaggio". L'epilogo era segnato: si verificò la deportazione di due milioni di ebrei russi nei gulag della Siberia e del Kazakhstan.
Potok ripetutamente nel suo romanzo attraverso la missione e i viaggi del padre di Asher, la morte del cognato e gli studi di Rivkeh ricorda sia negli anni della seconda guerra mondiale, sia dell’immediato dopoguerra, le ripercussioni della tragedia della Shoà sulla comunità ebraica di New York, che con angoscia si teneva informata su ciò che accadeva e non voleva abbandonare i propri fratelli perseguitati.
In quegli anni per molti ebrei, ci testimonia Potok, l’America ha rappresentato una via di salvezza e gli emissari inviati in Russia come il padre di Asher, avevano il compito di strappare da morte certa quanti più ebrei riuscivano, trovando il modo ogni volta più problematico, di portarli in America e di trovare poi per loro una casa e un lavoro, con il sostegno economico della intera comunità ebraica.
Uno squarcio improvviso
Durante la sua assenza il bambino rimane affidato alle amorose cure della mamma e della fedele governante.
Ma l’universo sicuro in cui si muove il piccolo protagonista subisce uno squarcio improvviso quando la mamma improvvisamente un giorno sta male, urla e le sue grida continuano per un tempo indeterminato e indimenticabile.
E’ morto il fratello di Rivkeh, di 27 anni, in uno dei viaggi di cui l’aveva incaricato il Rebbe.
Da quel lutto Rivkeh non si rimetterà per lungo tempo e tornata dall’ospedale, Asher la ricorda mentre si aggira come un fantasma, scheletrica, con gli occhi spenti, i corti capelli disordinati privi di parrucca, incapace di riconoscere chi le sta attorno.
Lo sgomento e il senso di impotenza invadono il cuore di Asher e i suoi disegni riflettono il suo stato d’animo: non sono più leggiadri e lieti come un tempo. La sua angoscia e il suo senso di abbandono li invade: spirali rosse e nere li attraversano e occhi grigi e uccelli morti li popolano.
Aryeh lo accudisce amorevolmente, lo veste la mattina, recita con lui le preghiere della sera, gli prepara l’aranciata per la colazione, si interessa dei suoi risultati scolastici, lo porta spesso in ufficio con sé per non lasciarlo solo e non farlo assistere alla follia della moglie.
Ma già nelle prime pagine del romanzo si delinea una sorta di rigidezza, di indisponibilità a riconoscere e valorizzare i talenti particolari del figlio. E la sua diversità, la possibile apertura a interessi nuovi lo trovano chiuso, e questo forse, vuol dirci l’Autore, è il rischio che può correre anche lo stesso mondo ebraico, davanti alla sfida di realtà nuove con le quali non intende entrare in contatto.