2023 08 16 Armenia, intervenire prima che sia troppo tardi!!!
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Il patriarca della Chiesa armeno cattolica chiede di intervenire sulla tragedia in atto nel territorio bloccato dagli azeri, nel Caucaso meridionale, dove 120mila persone vivono in condizioni disumane. L’Armenia chiede una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
Vatican News
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Servono passi concreti, non solo manifestazioni di solidarietà. Il patriarca della Chiesa armeno cattolica, Raphael Bedros XXI Minassian, parla con sconforto al Sir, l’agenzia di Stampa della Conferenza episcopale italiana, e lancia l’ennesimo allarme su quanto accade attorno al corridoio di Lachin, piccolo fazzoletto di terra del Caucaso meridionale, che è l’unico collegamento terrestre tra l’Alto Karabakh e la Repubblica d’Armenia, di fatto bloccato dagli azeri dal dicembre del 2022, e dove 120 mila armeni , di cui 30 mila bambini, sono sempre più isolati, senza cibo, né medicinali, né carburanti, da dove nessuno entra e nessuno esce, e dove la situazione umanitaria è ormai allo stremo. Una tragedia che ha visto più volte il Papa mostrare la sua preoccupazione e invocare soluzioni pacifiche per il bene delle persone. Minassian chiede a chiunque sia coinvolto nella tutela dei diritti umani di trasformare le dichiarazioni in azioni.
“Avevano promesso – dice il patriarca al Sir – di mantenere la via aperta e invece il corridoio è rimasto circondato e bloccato” ormai da 8 mesi: “È un crimine, un crimine contro l’umanità. Ci sono bambini, vecchi, malati, persone affamate. E di fronte a questo scenario di disperazione, nessuno fa nulla. Si dichiari almeno che è in atto un nuovo genocidio”. Minassian si rivolge alle grandi potenze, all’Europa, agli Stati Uniti, alla Russia, “testimoni di un genocidio del 21mo secolo” ma che “non fanno nulla”, esattamente come accadde nel 1915, ricorda, quando “gli ambasciatori di tutto il mondo erano presenti, testimoni di quello che stava accadendo ma non hanno fatto nulla per fermare il genocidio. Oggi quella storia si ripete. È stato presentato un patto di pace ma non è rispettato. Siamo aperti alla pace ma senza condizioni e senza ingiustizia”.
L’Armenia chiede una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza Onu
Sono oltre 30 anni che Armenia e Azerbaigian si contendono il territorio, abitato per la maggior parte da armeni. Dopo la guerra scoppiata nel 2020, la Russia ha mediato un accordo di cessate il fuoco che ha permesso all’Azerbaigian di riprendersi buona parte di quel territorio. Una tregua che tuttavia non ha portato alla pace. Da circa due anni sono in corso colloqui tra le due parti mediati dall’Unione Europea. Ora l’Armenia chiede all’Onu di organizzare una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per discutere di questa crisi umanitaria.
SU QUESTO TEMA: l’approfondimento in un articolo di GIULIO MEOTTI
Cosa sono uno, centomila o un milione di cristiani armeni rispetto a sette miliardi di metri cubi di gas?
Erdogan ci tiene per le palle sul Corano, figuriamoci nella sua guerra di conquista. Non potranno mai riempirci la pancia. E poi sapete quanto pagano per ogni testa armena decapitata? 100 dollari
Di GIULIO MEOTTI (14 08 2023)
Ani, la “città delle mille e una chiesa”
“Vede là, è Turchia, ma era nostra…”. Una guida per le strade di Rodi antica ci teneva a portarmi a vedere dalla costa quella che un tempo era Grecia. “In 400 anni di occupazione turca neanche qui, nella Grecia odierna, abbiamo potuto costruire le nostre case, mentre i turchi costruivano moschee fin sul Partenone ad Atene”. Per gli armeni non è storia, ma cronaca di questi giorni. E non vogliamo saperne di cosa subiscono, gli armeni, come se rischiassero di disturbare la nostra digestione.
Ani, l’ex capitale dell’Armenia, “la città delle mille e una chiesa”, oggi Turchia, non è stata trasformata in un poligono di tiro dall’esercito di Ankara? Ma no, non è una “guerra di civiltà”, ripeteranno i nostri cari media e politici, molti dei quali beneficiano della generosità di turchi e azeri, la gratitudine dello stomaco che l’Armenia non potrà mai riempirci. E così turchi e azeri non hanno mai smesso di estirpare l’Armenia, che in un secolo si è rimpicciolita a un decimo di quella che era, fino a diventare oggi un micro-paese con una popolazione di 3 milioni poco più grande della Lombardia. Ma è ancora troppo per la Turchia. E così gli stanno portando via il Nagorno Karabakh, che divenne terra armena nel VI secolo a.C. e rimarrà tale nonostante la dominazione persiana, araba, selgiuchide, mongola, ottomana, safavide e russa.
E domani quale debito di sangue dovranno pagare gli armeni - popolo fantasma di cui ci ricordiamo solo in occasione di qualche atto commemorazione e popolo non assimilato alla globalizzazione multiculturale delle “società liquide” - per saziare la sete del Dracula panturco?
Intanto, come scrive Antonia Arslan in un testo inedito che riproduco al termine della newsletter, “a nessuno importa dei soldatini armeni ventenni colpiti uno per uno dai micidiali droni di ultima generazione, della cattedrale del Santo Salvatore a Susa e degli ospedali bombardati con missili ad alta precisione, o dei vecchi contadini che non hanno voluto abbandonare le loro case e sono stati decapitati dai nemici appena arrivati: non se ne parla proprio”.
“Da 230 giorni, una crisi umanitaria incombe sull’Artsakh, o Nagorno-Karabakh, una regione autonoma di etnia armena. Il mondo deve ancora accorgersene, ma perché dovrebbe?”. Giusta la domanda questa settimana su Newsweek.
Una popolazione cristiana, pacifica e democratica - che comprende 30.000 bambini - è nel mirino di due potenti stati islamici. In una videointervista del maggio 2022 Ilham Aliyev, il capo dell’Azerbaigian, e pubblicata sul suo sito web, dice: “Il nostro dovere principale è di espellere gli armeni dalle nostre terre”.
Dal 12 dicembre 2022, il corridoio di Lachin, l’unica strada che collega il Karabakh all’Armenia, è bloccato dall’Azerbaigian in un’escalation dopo la “guerra di 44 giorni” del 2020. All’inizio, il blocco era dovuto a “eco-attivisti” che si sono subito rivelati uno stratagemma per coprire la campagna di aggressione dell’Azerbaigian contro i cristiani della regione. Il blocco ha due obiettivi immediati: l’assimilazione armena in Azerbaigian e fare pressione sull’Armenia affinché consenta all’Azerbaigian di aprire una strada attraverso il suo territorio, unendo la Turchia con i “fratelli” in Azerbaigian, sigillando così la dominazione turca in tutta l’Asia centrale.
Il petro-dittatore azero Aliyev e il satrapo turco Erdogan perseguono questo disegno al costo di 120.000 vite armene. Basta uno sguardo alla mappa per illuminare il loro disegno nero: l’Armenia è nel mezzo, tra Baku e Ankara. Un paese al tramonto, tra il cane e il lupo. E “Star Wars contro Verdun”, scrive Valérie Toranian sulla guerra impari.
E dalle implicazioni inquietanti. Questa non è come la guerra per il Sahara occidentale. “Erdogan e Aliyev intendono continuare il genocidio del 1915 e cancellare gli armeni dalla carta geografica” scrive ancora Newsweek. “Riferendosi al genocidio armeno, Erdogan ha affermato che ‘continueremo a compiere la missione che i nostri nonni hanno svolto per secoli’”.
In Italia è appena uscito un libro che toglie il fiato, Giustificare il genocidio di Stefan Ihrig sui legami fra genocidio armeno ed ebraico. Ma c’è un libro nel libro di Ihrig. Si tratta di Armenia ed Europa di Johannes Lepsius. Fu lui a rendere noti in Europa i primi massacri armeni. Lepsius aveva lavorato nella comunità tedesca di Gerusalemme come pastore protestante. Tornato in Germania, colpito dai resoconti dei massacri armeni del 1895 (pre genocidio), Lepsius decise di recarsi nell’Impero ottomano per comprendere cosa fosse accaduto. Nel libro di Lepsius si legge che “erano morti 88.000 armeni, distrutte 645 chiese e monasteri, 560 villaggi si erano convertiti all’Islam e 330 chiese erano state trasformate in moschee. La macellazione di massa, il rapimento e l’islamizzazione forzata, oltre alla fame, allo sforzo sovrumano e ad altre privazioni, trasformarono le carovane in un miserabile ammasso di donne, bambini e vecchi seminudi, malati e morenti che, una volta giunti a destinazione, non riuscivano a trovare nulla con cui sostenersi”.
Chiunque sappia qualcosa di storia saprà che la nuova intenzione di pulizia etnica turco-azera ha precedenti in Turchia con il genocidio, i pogrom di Baku e Sumgait del 1988 e del 1990 e lo spopolamento forzato degli armeni dal Nakhichevan.
L’installazione da parte dell’Azerbaigian di un posto di blocco militare all’ingresso del corridoio di Lachin ad aprile ha portato intanto a un blocco completo. La carenza di cibo, carburante e forniture mediche è drammatica. Il blocco ha provocato dichiarazioni su un imminente “genocidio” da parte di Genocide Watch e del Lemkin Institute. Ma cos’altro?
Il blocco russo del grano ucraino è stato oggetto di sanzioni da parte di Stati Uniti, Nazioni Unite e UE. Gli aiuti delle Nazioni Unite per Gaza ammontano a 5 miliardi di dollari. Il blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian è senza risposta.
Siamo onesti: a qualcuno interessano 120.000 cristiani armeni? Cosa vogliamo che siano 3 milioni di armeni rispetto a 100 milioni di turchi e azeri?
Se l’Occidente gli offrisse solo un decimo del sostegno che dà all’Ucraina, l’Armenia si salverebbe. Ma in Europa, che si vuole paladina dei valori umanisti, i diritti umani si valutano di fronte al tipo di cliente. E rispetto ai 7 miliardi di metri cubi di gas azero arrivati in Europa da gennaio a oggi, quanto può valere la vita di un armeno?
Ai jihadisti siriani assoldati da Erdogan hanno dato un bonus di 100 dollari per ogni testa armena. 100 dollari. Questo vale, un armeno. Ma i vecchi anziani decapitati dai soldati azeri nel Nagorno-Karabakh valgono ancora meno: direi 30 dollari.
E poi gli armeni sono bianchi, sono cristiani, sono poveri, sono democratici e non sono ucraini, mentre i loro nemici sono musulmani, sono ricchi, sono dittatoriali e sono anche nella Nato. E, al netto delle nostre chiacchiere sulla “democrazia”, a noi piacciono di più. “Sopraffatti dai soldi del petrolio, 9,5 milioni di abitanti musulmani assediano e affamano 120.000 cristiani, il cui unico scopo è preservare la loro esistenza e identità” scrive Christian Makarian su Le Point.
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“Proprio come Putin definisce la caduta dell’Unione Sovietica la più grande ‘catastrofe geopolitica’ del XX secolo, Erdogan la vede come il crollo dell’Impero Ottomano” scrivono Sam Brownback e Michael Rubin. “Queste non sono speculazioni oziose. Erdogan ha detto esattamente quello che voleva. Si è descritto come ‘l’imam di Istanbul’ e il ‘servitore della Sharia’. Ha descritto le forze turche che invadono la Siria come ‘l’esercito di Maometto’. La conversione di Santa Sofia in una moschea non è avvenuta nel vuoto. L’ultima colpa commessa da Erdogan riguarda l’Armenia, la nazione cristiana più antica del mondo. Mentre Erdogan cerca di estendere la portata del mondo turco e islamico dal confine della Turchia con la Grecia e la Bulgaria alla Cina, l’Armenia, un paese solo leggermente più grande del Maryland, si frappone sulla sua strada”.
L’Armenia “deve” cadere. Cosa gli succederà?
“Gli armeni che hanno popolato il Karabakh per secoli scompariranno, insieme al loro patrimonio culturale materiale e immateriale” scrive su Le Figaro il compositore armeno Michel Petrossian. “Le loro chiese saranno distrutte e i loro cimiteri - come a Julfa nel Nakhitchevan - saranno rasi al suolo. Questo abbandono sarà il segnale esplicito del completamento della soluzione finale del problema armeno”.
Non sarà una ripetizione del 1915. Come l’exclave di Nakhitchevan fu svuotata della sua popolazione armena nel 1990, i 120.000 cristiani armeni del Karabakh rimasti saranno stipati sui camion che li “riporteranno” a Yerevan. Qualche anziano sarà macellato dai soldati azeri perché non vuole lasciare la casa a chi gli ha ammazzato un parente nel “Grande Male”. Una terra cristiana sarà così ripulita di questi “cani” (così l’Azerbaijan chiama gli armeni). Moschee saranno costruite al posto degli altari. L’ultima volta che i panturchi hanno preso un territorio armeno, il Nachichevan, il 98 per cento delle chiese armene sono state distrutte. Fine della storia? No, a dispetto di Fukuyama la storia non finisce mai. “Anche Yerevan (la capitale armena) è nostra”, dice Aliyev. Tra qualche anno, la Mezzaluna reclamerà dunque altri pezzi d’Armenia, più umiliata, più piccola, più sola.
Avevano avvertito, Aliyev e Erdogan. Avvertono sempre. Ma chi li sta ascoltando?
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Perché tanto odio? La risposta è venuta dalla bocca di Benedetto XVI. Nel suo discorso di Ratisbona, questo grande intellettuale ha evocato il dialogo tra uno degli ultimi imperatori cristiani di Costantinopoli e uno studioso musulmano persiano. Per il primo, imporre la fede con la violenza equivale a ‘non agire secondo ragione’, che è ‘contrario alla natura di Dio’. Per il musulmano, invece, Dio è “‘assolutamente trascendente’. Ha tutti i diritti. Esiste ancora, tra le due religioni, il muro che un giorno non mancherà di crollare. Questo spiega, tra l’altro, l’avversione panturca per l’Armenia, democrazia pluripartitica, laica ma e cristiana. Al solo nominarlo, sotto i baffi squadrati che gli danno espressioni di inquisitori ruttanti: Vade retro Satana!”.
E basta pensare, infine, che vent’anni fa un Papa disse che il popolo armeno si era “immolato” per difendere tutta la Cristianità. In un messaggio in occasione del 1700esimo anniversario del battesimo del popolo armeno, Giovanni Paolo II (che da polacco sapeva cosa significa difendere l’Europa dai turchi) disse: “Se oggi l’Occidente può liberamente professare la propria fede, ciò è dovuto a coloro che si immolarono, facendo del loro corpo una difesa per il mondo cristiano, alle sue estreme propaggini”.
La propaggine armena sta per cadere. Ma è come un domino: i prossimi saremo noi. Il grande Ferragosto della civiltà.