2025 04 09 HAITI - Due suore uccise dalle bande armate a Mirebalais
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SUD SUDAN - Soldati sud sudanesi assalgono una chiesa, uccidendo una persona il cui corpo è stato portato via
AMERICA/USA - Kansas, parroco ucciso a colpi di pistola in canonica
TESTIMONIANZA MYANMAR - L’Arcivescovo di Mandalay tra i senzatetto: “La tragedia non ha spento la speranza, risorgeremo con Cristo”
HAITI - Due suore uccise dalle bande armate a Mirebalais
Due suore, appartenenti alle Piccole Sorelle di Santa Teresa di Gesù Bambino, sono state assassinate a Mirebalais, nel centro di Haiti, da membri di bande armate che da lunedì scorso hanno invaso la zona. A confermarlo ai media locali è stato l’Arcivescovo di Port-au-Prince, Max Leroy Mésidor, che ha aggiunto: “È una perdita immensa per la comunità”.
Evanette Onezaire e Jeanne Voltaire, sono rimaste uccise lunedì mentre la città di Mirebalais era stata oggetto di attacchi armati da parte della coalizione criminale Viv Ansanm. Le violenze hanno preso anche forma di assalti a esercizi commerciali, stazioni di polizia e anche a una prigione, dalla quale sarebbero fuggiti oltre 500 detenuti.
Secondo quanto riportano media locali, le due religiose lavoravano nella scuola di Mirebalais e si erano rifugiate in una casa, con una ragazza, durante gli attacchi. Le bande armate però, entrate nell’appartamento avrebbero ucciso le due suore e tutte le altre persone presenti. Omicidi brutali che richiamano alla memoria l’assassinio di suor Luisa Dell’Orto nel 2022 e il rapimento di altre 6 religiose, poi rilasciate, nel gennaio del 2024.
Ad oggi la situazione a Mirebalais appare tragica. Il delegato dipartimentale del governo nella zona, Frédérique Occéan, ha dichiarato che i cadaveri in decomposizione ricoprono le strade della città, diffondendo un odore nauseabondo. Le autorità municipali risultano assenti e molti residenti sono fuggiti.
Media haitiani riferiscono anche che le bande armate avrebbero preso di mira nelle ultime ore anche l’Ospedale Universitario di Mirebalais.
Mirebalais è considerata un centro molto importante nell’isola perché sede dell’Ospedale Universitario, il più all’avanguardia del Paese caraibico, capace di fornire assistenza sanitaria a migliaia di persone ogni giorno. La cittadina ricopre anche una rilevanza strategica in quanto si trova all’incrocio delle due principali arterie stradali di Haiti: quella che dalla capitale porta verso la costa settentrionale e l’altra verso la Repubblica Dominicana.
Nella giornata di ieri, a migliaia sono scesi nelle strade della Capitale per manifestare contro il peggioramento della situazione e l’aumento degli attacchi da parte delle bande.
Alle proteste hanno partecipato anche sfollati che vivono nei campi attigui a Port-au-Prince dopo aver dovuto abbandonare le loro case, insieme agli abitanti dei quartieri di Canapé-Vert (dove la popolazione resiste alle minacce dei gruppi armati che cercano di invadere l’area), Turgeau, Carrefour-Feuilles, Pacot, Debussy, Delmas e zone vicine. La Polizia Nazionale di Haiti ha usato gas lacrimogeni per disperdere la folla quando è arrivata alla Ville d’Accueil, sede del Consiglio Presidenziale di Transizione (CPT) e del governo.
Solo lo scorso anno, stando ai dati diffusi dall’Onu, le violenze hanno causato ad Haiti almeno oltre 5600 morti (mille in più rispetto all’anno precedente), oltre 2mila feriti e circa 1500 sequestri di persone. L’Alto Commissario dell’Onu per i Diritti Umani, Volker Türk, solo poche ore dello scoppio delle violenze a Mirebalais aveva riferito che almeno 4.239 persone sono state assassinate e 1.356 ferite ad Haiti tra luglio e febbraio con armi arrivate illegalmente dall’estero, nonostante l’embargo imposto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. (F.B.) (Agenzia Fides 3/4/2025)
Haiti, appello dell’arcivescovo di Port-au-Prince: “Il Paese brucia. Chi verrà ad aiutarci?”
In un messaggio ai media vaticani, monsignor Max Leroys Mésidor, arcivescovo di Port-au-Prince e presidente della Conferenza Episcopale haitiana, racconta come nella sua arcidiocesi la situazione si sia fatta sempre più dolorosa: “Qui 28 parrocchie sono state completamente chiuse e il lavoro pastorale di altre 40 prosegue al rallentatore perché molti quartieri della città sono in mano alle bande armate”. Dura condanna dei vescovi per le violenze a Mirebalais e l’uccisione delle due suore
«Haiti è in fiamme e sanguina: aspetta un sostegno urgente. Chi verrà ad aiutarci?». È con un messaggio affidato a i media vaticani che l’arcivescovo di Port-au-Prince e presidente della Conferenza episcopale haitiana, monsignor Max Leroys Mésidor, lancia un accorato appello portando a conoscenza del mondo intero il dolore che sta devastando il suo cuore sanguinante per la recrudescenza delle violenze che devastano ogni giorno sempre di più la nazione caraibica. Negli ultimi giorni, denuncia con forza il presule, anche la situazione della sua arcidiocesi è drammaticamente peggiorata: 28 parrocchie sono state completamente chiuse e il lavoro pastorale di altre 40 prosegue al rallentatore perché molti quartieri della città sono in mano alle bande armate. «La nostra Quaresima - ha scritto - è davvero un calvario, ma la offriamo in comunione con le sofferenze di Cristo».
L’indignazione dei vescovi
Profonda tristezza ed indignazione ieri era stata espressa ufficialmente anche dalla Conferenza episcopale haitiana che ha condannato senza mezzi termini l’attacco delle bande armate a Mirebalais, popolosa città a pochi chilometri da Port-au-Prince, capitale del Paese caraibico, che lunedì scorso è costato la vita a numerose persone, tra le quali due religiose della congregazione delle Piccole Sorelle di Santa Teresa del Bambino Gesù: gli uomini delle gang, riuniti nel cartello criminale denominato Vivre Ensemble, avevano assaltato una stazione di polizia e il penitenziario locale, dal quale sarebbero fuggite decine di detenuti, ingaggiando con le forze dell’ordine uno scontro lungo e sanguinoso.
Crimine efferato
«Questi tragici eventi gettano ancora una volta la nostra nazione e la nostra Chiesa nel lutto» hanno ammonito i vescovi che hanno giudicato l’omicidio delle due religiose, Evanette Onezaire e Jeanne Voltaire, «un crimine efferato che ci ricorda la portata del male che affligge la nostra società. La loro vita di servizio al Vangelo e ai più vulnerabili rimane una luminosa testimonianza dell’amore di Cristo».
L’inerzia delle autorità
Ma i vescovi sono andati anche oltre: hanno denunciato l’inazione delle autorità che nonostante abbiano sotto gli occhi l’escalation delle violenze che sta gettando nel caos tutta la nazione «non hanno ancora preso le misure necessarie per evitare questa tragedia. La mancanza di una risposta efficace alla continua insicurezza è un grave fallimento che mette in pericolo una nazione abbandonata alle mercé di forze distruttive».
Manifestazioni nella capitale
Una situazione completamente fuori controllo, che mercoledì ha spinto migliaia di persone a protestare nelle strade di Port-au-Prince per chiedere le dimissioni della coalizione di governo guidata da Alix Didier Fils-Aimé e accusata di non essere in grado di mettere in sicurezza il paese. La dura reazione della polizia contro i manifestanti ha provocato nuove violenze e attacchi armati contro la sede del primo ministro e del Consiglio di transizione. Secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite tra luglio dell’anno scorso e febbraio 2025 ad Haiti sono state assassinate più di 4.200 persone, mentre altre seimila sono state costrette a fuggire abbandonando le proprie case.
Rabbia crescente
Cercando di placare la rabbia crescente tra il popolo haitiano che accusa le autorità di non fare abbastanza per mettere fine agli scontri, ieri il leader del consiglio presidenziale di transizione, Fritz Alphonse Jean, ha promesso nuove, drastiche, misure per fermare lo spargimento di sangue dopo aver riconosciuto pubblicamente che il Paese è diventato un inferno per tutti. «Comprendiamo la tua miseria. Conosciamo il tuo dolore e la tua sofferenza. Popolo haitiano: tu hai parlato e noi ti abbiamo ascoltato» ha detto Jean a margine dell’imponente manifestazione che nella capitale, mercoledì scorso, ha mobilitato migliaia di persone sotto gli uffici governativi.
L’appello dell’Onu
Le violenze che continuano ad insanguinare Haiti hanno suscitato la reazione anche del segretario generale delle Nazioni Unite che ha esortato le autorità a moltiplicare gli sforzi, con il sostegno della comunità internazionale, per ripristinare la sicurezza, proteggere i civili e creare le condizioni necessarie per ripristinare la democrazia. Ma le informazioni riportate dal responsabile Onu per i diritti umani ad Haiti, William O’Neill, non sembrano lasciare molte speranze in questo senso: “Al momento non esistono vie sicure di ingresso o uscita dalla capitale se non in elicottero. Le gang hanno preso il controllo di interi quartieri uccidendo, violentando e bruciando case, scuole e chiese”. (RV 03 aprile 2025 e 04 aprile 2025 Federico Piana - Città del Vaticano)
SUD SUDAN - Soldati sud sudanesi assalgono una chiesa, uccidendo una persona il cui corpo è stato portato via
Soldati dell’esercito sud sudanese assaltano una chiesa e uccidono un parrocchiano portandone via il corpo. È quanto avvenuto alla Our Lady of Assumption Parish Loa, nella contea di Magwi nello Stato di Eastern Equatoria, quando il 26 marzo intorno alle 5 del pomeriggio soldati di una unità delle South Sudan People’s Defence Forces (SSPDF) stazionata nell’area ha assalito la chiesa.
Secondo il comunicato della diocesi di Torit datato 3 aprile e inviato all’Agenzia Fides “i soldati senza alcun preavviso hanno aperto il fuoco uccidendo un civile e ferendone un altro”. I proiettili hanno colpito i muri e le finestre della canonica.
“Nel tentativo di nascondere la loro azione - continua la nota- i soldati hanno portato via il corpo e lo hanno poi nascosto, ed hanno ricoperto le tracce di sangue lasciate al suolo con del terriccio, per rimuovere ogni prova legale. Ad oggi non si conosce dove si trovi il cadavere”. “Nel corso dell’intrusione, il personale ecclesiastico, i suoi assistenti, e i residenti dell’area sono stati intimiditi, minacciati e interrogati”.
Mons. Emmanuel Bernardino Lowi Napeta, Vescovo di Torit nel condannare quella che definisce “una grave violazione della santità, neutralità, sicurezza e diritti” dei membri della Chiesa, chiede una “immediata e imparziale inchiesta sull’incidente”; “l’identificazione e la rimessa alla giustizia del personale militare coinvolto”; “concrete assicurazioni e chiari protocolli da parte delle SSPDF perché simili atti non accadano in futuro”; “la consegna del corpo ai familiari perché possa celebrarsi il funerale”; “il dispiegamento da parte dello Stato di Eastern Equatoria di personale di sicurezza per proteggere la parrocchia di Loa”; “scuse pubbliche alla diocesi di Torit per l’attacco”. (L.M.) (Agenzia Fides 3/4/2025)
AMERICA/USA - Kansas, parroco ucciso a colpi di pistola in canonica
Don Arul Carasala, parroco della chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Seneca, città situata nel nord-est del Kansas, è stato ucciso giovedì 3 aprile, a colpi di pistola da un uomo mentre si trovava nella sua canonica. A sparare, secondo quanto le prime ricostruzioni, sarebbe stato un anziano, sconosciuto ai parrocchiani, ora in stato di fermo. Ancora on sono noti i motivi del gesto, sui quali stanno indagando le forze dell’ordine. Tre i colpi di pistola esplosi contro il sacerdote, morto poco dopo l’arrivo in ospedale
Don Arlu Carasala era stato ordinato sacerdote nel 1994 in India, suo paese d’origine, e svolgeva il suo ministero pastorale in Kansas dal 2004. Era diventato cittadino statunitense nel 2011, anno in cui divenne parroco della chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Seneca, cittadina che conta poche migliaia di abitanti.
L’Arcivescovo metropolita di Kansas City, Joseph Naumann, tramite un post sui suoi canali social, ha definito l’omicidio un “atto insensato di violenza” che ha lasciato la comunità “nel dolore per la perdita di un sacerdote amato” che era anche “un amico”. Nel medesimo post, l’Arcivescovo ha precisato che “non vi è alcuna minaccia per la comunità” dei credenti pur riconoscendo il “dolore e lo shock” causati dalla morte del sacerdote: “Padre Carasala è stato un pastore devoto e zelante che ha servito fedelmente la nostra Arcidiocesi per oltre vent’anni, incluso come decano della regione di Nemaha-Marshall”.
“Il suo amore per Cristo e per la Chiesa era evidente nel modo in cui si prendeva cura del suo popolo con grande generosità e dedizione. I suoi parrocchiani, amici e confratelli lo rimpiangeranno profondamente”. (F.B.) (Agenzia Fides 4/4/2025)
TESTIMONIANZA MYANMAR
MYANMAR - L’Arcivescovo di Mandalay tra i senzatetto: “La tragedia non ha spento la speranza, risorgeremo con Cristo”
“La sofferenza è sempre più grande, e noi speriamo sempre più in Dio. Oggi il nostro popolo nutre vive ancora di più la speranza nella misericordia di Dio, nella certezza del suo amore. C’è un messaggio di Dio che va oltre la nostra intelligenza e comprensione umana. La nostra unica strada è affidarci al suo amore misericordioso e riaffermare la nostra speranza nel piano salvifico di Dio”, dice in un colloquio con l’Agenzia Fides, Marco Tin Win, Arcivescovo di Mandalay che include il territorio più colpito dal violento sisma del 28 marzo. In una situazione in cui l’elettricità e i collegamenti telefonici funzionano a singhiozzo - dati i danni alle infrastrutture - l’Arcivescovo traccia una panoramica della situazione locale e dello spirito che anima oggi i circa 20mila cattolici di Mandalay, tra i quali molti sono oggi sfollati. Lo stesso Arcivescovo, con i preti della curia, condivide la sorte dei senzatetto perché, dato che la cattedrale e la casa vescovile presentano danni strutturali, per motivi sicurezza ha trascorso delle notti in strada, con la gente ancora scioccata e impaurita, vivendo i disagi dei profughi.
Dopo il trauma e lo shock delle prime ore, la risposta di carità è stata immediata: “Appena il terremoto ha colpito - racconta - i preti e i religiosi hanno avvisato e salvato tutte le persone nelle chiese, nei conventi, nel Seminario. Ci siamo assicurati che nessuno fosse ferito. Abbiamo incoraggiato e consolato i bambini spaventati e alcuni abbandonati lungo le strade. Molti vengono a rifugiarsi nei complessi delle chiese, laddove sono ancora agibili. Con le nostre scarse risorse condividiamo con loro acqua, cibo e riparo, nell’attesa che gli aiuti esterni ci raggiungano”.
Nel descrivere la situazione, l’Arcivescovo Tin Win rileva che l’epicentro del sisma, tra le città di Mandalay e Sagaing, si trova nell’arcidiocesi di Mandalay e diverse municipalità sono fortemente colpite. “I primi resoconti suggeriscono che oltre mille persone qui, solo nel nostro territorio di Mandalay, hanno perso la vita, oltre 2.200 sono rimaste ferite e 200 risultano disperse “. La mobilitazione umanitaria sta cercando di venire incontro alle necessità più urgenti per i senzatetto, ovvero “acqua potabile, cibo, rifugi temporanei, medicine, kit igienici”, dice.
Anche la comunità cattolica è ferita, con alcune famiglie nel lutto e con i danni alle strutture di culto e pastorali: “La chiesa di Maria Ausiliatrice nella città di Sagaing, la chiesa di Nostra Signora di Lourdes nella città di Yamethin e la chiesa dei Santi Gioacchino e Anna nella municipalità di Sint Kaing sono crollate. Su quaranta chiese della diocesi, queste tre sono state le più colpite. Tra le altre, tutte hanno crepe, piccole o grandi. Circa 25 chiese non sono agibili per celebrare le liturgie in sicurezza. Inoltre anche il Seminario intermedio nella città di Mandalay è fortemente danneggiato e il Seminario minore a Pyin Oo Lwin presenta lesioni alla struttura dell’edificio”.
Tuttavia la tragedia non ha spento la fede, anzi, nota l’Arcivescovo, ha generato uno slancio di incessante preghiera, mentre tra la guerra, il terremoto, il lutto, “siamo all’apice del dolore”. “Pur in questo terribile caos, nessuno si sente in balia degli eventi: soffriamo insieme, ci consoliamo a vicenda e preghiamo insieme”, afferma. “Ho rivolto alla gente parole per incoraggiare: Non abbiate paura. Noi ci siamo. Il Signore ci dice: Io sarò con te”, riferisce. “Il disastro - prosegue - unisce le persone senza alcuna discriminazione di etnia, fede, classe sociale. Vedo i cittadini sostenersi a vicenda ed esprimere sempre di più, solidarietà e carità tra loro. Tante persone di buona volontà si sono messe a servizio delle vittime, è un bel segno”, osserva.
In questo momento, ci sono tante intenzioni di preghiera da condividere: “Preghiamo perché le anime dei defunti siano accolte dal Signore. Preghiamo per i feriti, per i più vulnerabili e quanti sono rimasti soli, perché siano consolati. Chiediamo a Dio la forza di essere strumenti di assistenza spirituale e umanitaria, di essere strumenti del suo amore per ogni persona. E chiediamo la pace per il nostro amato paese ferito dalla guerra e dal sisma”.
“Siamo confortati - conclude - nel vedere che tutta la Chiesa ci è vicina, a livello nazionale e universale. Anche Papa Francesco sta pregando per noi e ci dà grande consolazione e speranza. La Pasqua si avvicina: siamo nelle mani di Dio e risorgeremo con Cristo. Nell’anno del Giubileo, rinnoviamo la nostra speranza in Cristo. Ci affidiamo a Maria, Madre di Dio, che ci protegge dal male, da pericoli e dalla morte”. (di Paolo Affatato Agenzia Fides 3/4/2025)
Terremoto, la preghiera dell’arcivescovo di Mandalay: ‘Dio, abbi pietà di noi’
Mons. Marco Tin Win ha diffuso un messagio in cui afferma che la casa diocesana di Mandalay è andata distrutta nel terremoto e i sacerdoti dormono all’aperto insieme alla popolazione. Nonostante gli appelli alla cessazione delle ostilità, la giunta golpista continua a colpire le milizie della resistenza, ma ha ammesso di aver colpito anche una squadra di soccorritori cinesi.
“Dio, abbi pietà di noi”, è l’invocazione dell’arcivescovo di Mandalay, mons. Marco Tin Win, lanciata in un video messaggio pubblicato sui canali di Radio Veritas Asia dopo il terremoto di magnitudo 7.7 del 28 marzo che ha devastato le aree centrali del Myanmar, un Paese già piegato da altre catastrofi naturali e da una guerra civile che dura da oltre quattro anni. (…)
Le varie congregazioni religiose si sono mobilitate per portare aiuti alla popolazione sfollata: alcuni volontari dei salesiani di Don Bosco sono riusciti a raggiungere la città di Sagaing - secondo i residenti distrutta per l’80-90% - dove sono stati confermati oltre 100 morti. Qui sono ora presenti diversi operatori umanitari (Unicef ha detto di averci messo 13 ore a raggiungere la città da Yangon) tra cui anche una squadra di soccorso specializzata dalla Malaysia. Anche i frati minori della zona di Pyin Oo Lwin hanno riferito che nella seconda città più grande del Myanmar continuano a esserci “migliaia di persone che cercano riparo nei campi da calcio, nelle chiese e lungo i bordi delle strade a causa delle continue scosse di assestamento”. Le temperature, inoltre, continuano a essere elevate in Myanmar in questi giorni, intorno ai 37-40 gradi.
Nel frattempo la giunta militare ha rifiutato le proposte di cessate il fuoco avanzate dai gruppi ribelli che compongono la resistenza anti-golpe. Anche il cardinale Charles Bo e la Conferenza episcopale cattolica del Myanmar il 29 marzo avevano chiesto un’urgente cessazione delle ostilità per permettere il libero passaggio di aiuti umanitari alla popolazione. “Sollecitiamo con forza una fine immediata e completa dei combattimenti tra tutte le parti in modo che gli aiuti umanitari essenziali possano essere consegnati in modo sicuro e senza problemi dai sostenitori di tutto il mondo”, si legge nel documento firmato dai vescovi.
I generali birmani oggi hanno confermato di aver aperto il fuoco contro un convoglio della Croce rossa cinese che si stava spostando nello Stato Shan, in una regione in cui alcuni villaggi sono controllati dell’Esercito di liberazione nazionale Ta’ang (TNLA), una delle milizie etniche che opera nelle regioni settentrionali del Myanmar e si contende con i soldati dell’esercito alcuni villaggi della regione del Sagaing. Il portavoce della giunta ha affermato che i nove veicoli non avevano ricevuto l’approvazione per il viaggio dalle autorità militari. In seguito all’episodio, in cui nessun operatore è rimasto ferito, in base alle affermazioni del ministro degli Esteri cinese, Pechino ha rilasciato una breve dichiarazione in cui esorta “fermamente tutte le parti in Myanmar a garantire la sicurezza degli operatori umanitari impegnati nei soccorsi per il terremoto”. La Cina è il principale finanziatore della giunta golpista birmana e ora sta cercando di occupare il vuoto lasciato dai tagli dell’USAid da parte dell’amministrazione statunitense guidata dal Donald Trump. Pechino ha infatti inviato in Myanmar 30 squadre di soccorso per un totale di oltre 500 persone.
L’esercito birmano sta continuando a concentrarsi sulla repressione dei gruppi ribelli, anziché sui salvataggi, denunciano i media pro-resistenza (che operano con difficoltà proprio a causa dei tagli imposti da Washington su cui facevano affidamento). Due giorni fa, almeno 30 giovani arrivati nella cittadina di Mohnyin, nello Stato Kachin, per partecipare a un addestramento militare con i combattenti dell’Esercito per l’indipendenza Kachin (KIA), sono stati uccisi in un attacco aereo della giunta golpista. Una fonte vicina al KIA ha detto a The Irrawaddy: “La maggior parte dei deceduti erano giovani uomini, con alcune giovani donne tra loro. La maggior parte erano giovani di età compresa tra 20 e 27 anni che avevano deciso di imbracciare le armi dopo essere fuggiti dalla coscrizione forzata nell’esercito della giunta militare”.
Anche altre fonti di AsiaNews che hanno chiesto l’anonimato confermano che le organizzazioni internazionali già presenti in Myanmar prima del terremoto “stanno cercando di fornire aiuti, ma incontrano difficoltà a causa della guerra civile in corso e dell’isolamento internazionale del Paese”.
Per rispondere all’emergenza umanitaria, la Fondazione Pime ha deciso di lanciare una raccolta fondi per il Myanmar. Gli aiuti servono a portare aiuti a quanti sono colpiti dal terremoto attraverso l’ong New Humanity International
Si può donare con causale “S001 Emergenze - Terremoto in Myanmar e Thailandia”:
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IBAN IT89M0623001633000015111283
(si raccomanda di inviare copia dell’avvenuto bonifico via email a uam@pimemilano.com indicando nome, cognome e indirizzo, luogo e data di nascita, codice fiscale)
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