Guardare Cristo
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«‘Guardare a Cristo!’ Se questo noi facciamo, ci rendiamo conto che il cristianesimo è di più e qualcosa di diverso da un sistema morale, da una serie di richieste e di leggi. E’ il dono di un’amicizia che perdura nella vita e nella morte: ‘Non vi chiamo più servi, ma amici ‘ (Gv 15,15), dice il Signore ai suoi. A questa amicizia noi ci affidiamo. Ma proprio perché il cristianesimo è più di una morale, è appunto il dono di un’amicizia, proprio per questo porta in sé una grande forza morale di cui noi, davanti alle sfide del nostro tempo, abbiamo tanto bisogno. Se con Gesù Cristo e con la sua Chiesa rileggiamo in modo sempre nuovo il Decalogo del Sinai, penetrando nelle sue profondità, allora ci si rivela come un grande valido, permanente ammaestramento. Il Decalogo è innanzitutto un ‘sì’ a Dio, a un Dio che ci ama e ci guida, che ci porta e, tuttavia, ci lascia la nostra libertà, anzi, la rende vera libertà (i primi tre comandamenti). E’ un ‘sì’ alla famiglia (quarto comandamento), un ‘sì’ alla vita (quinto comandamento), un ‘sì’ ad un amore responsabile (sesto comandamento), un ‘sì’ alla solidarietà, alla responsabilità sociale e alla giustizia (settimo comandamento), un ‘sì’ alla verità (ottavo comandamento) e un ‘sì’ al rispetto delle altre persone e di ciò che ad esse appartiene (nono e decimo comandamento). In virtù della forza della nostra amicizia col Dio vivente noi viviamo questo molteplice ‘sì’ e al contempo lo portiamo come indicatore di percorso in questa ora del mondo» [Benedetto XVI, Santa Messa per l’850° anniversario della fondazione del Santuario di Mariazell, 8 settembre 2007].
Nel pellegrinaggio a Mariazell, come in tanti santuari, si esperimenta – ha osservato il papa pellegrino in Austria – la bontà consolatrice della Madre; si incontra Gesù Cristo, nel quale Dio è sempre con noi e la sosta dalla Madre diventa preghiera: Mostraci Gesù, Colui che è insieme la via e la meta: la verità e la vita.
Dio può scrivere diritto anche sulle righe storte della nostra storia
Nel brano evangelico della festa della natività di Maria si attualizza liturgicamente la storia di Israele a partire da Abramo come un grande pellegrinaggio che, con salite e discese, per vie brevi e per vie lunghe, conduce infine a Cristo. La genealogia con le sue figure luminose e oscure, con i suoi successi e i suoi fallimenti, ci dimostra che Dio può scrivere diritto anche sulle righe storte della nostra storia. Dio ci lascia la nostra libertà e, tuttavia, sa trovare nel nostro fallimento nuove vie per il suo amore. Dio non fallisce mai. Così la genealogia che porta all’incarnazione è una garanzia della fedeltà di Dio; una garanzia che Dio non ci lascia cadere, e un invito ad orientare la nostra vita sempre nuovamente verso di Lui, a camminare sempre di nuovo verso Cristo.
Percorrere simbolicamente il pellegrinaggio significa orientarsi in una certa direzione, camminare verso una meta. Ciò conferisce anche alla via ed alla sua fatica una propria bellezza. Tra i pellegrini della genealogia di Gesù ce n’erano alcuni che avevano dimenticato la meta e volevano porre sé stessi come meta. Ma sempre di nuovo il Signore aveva suscitato anche persone che si erano lasciate spingere dalla nostalgia della meta, orientandovi la propria vita. Lo slancio verso la fede cristiana, l’inizio della Chiesa di Gesù Cristo è stato possibile, perché esistevano in Israele persone con un cuore in ricerca – persone che non si sono accomodate nella consuetudine, ma hanno scrutato lontano alla ricerca di qualcosa di più grande: Zaccaria, Elisabetta, Simeone, Anna, Maria e Giuseppe, i Dodici e molti altri. Poiché il loro cuore, come originariamente quello di ogni uomo, era in attesa, essi potevano riconoscere in Gesù Cristo Colui che Dio aveva mandato e diventare così l’inizio della famiglia universale. La Chiesa delle genti si era resa possibile perché sia nell’area del Mediterraneo sia nell’Asia vicina e media, dove arrivavano i messaggeri di Gesù, c’erano persone in attesa che non si accontentavano di ciò che facevano e pensavano tutti, ma cercavano la stella che poteva indicare loro la via verso la Verità, verso il Dio vivente, Padre, Figlio e Spirito Santo che si è dato definitivamente a noi nell’incarnazione, passione, morte e risurrezione del figlio rivelando ad ogni uomo chi è?da dove viene e verso dove è eternamente destinato? Perché la presenza del male e come liberaci? Cosa ci sarà dopo questa vita non solo per l’anima ma anche per il corpo? In diverse parti della terra, segnate da culture differenti, sorgono nello stesso tempo le domande di fondo che caratterizzano il percorso di ogni esistenza umana e di questo cuore originario in noi senza di noi, inquieto e aperto, abbiamo bisogno di riscoprire gli interrogativi fondamentali. E’ il nocciolo di ogni pellegrinaggio autentico. Anche oggi, quando ciò che è originario in ogni uomo cioè la sua apertura alla realtà in tutti gli ambiti è inquinata, non è sufficiente essere e pensare in qualche modo come tutti gli altri. Il progetto della nostra vita va oltre. Noi abbiamo bisogno di Dio, di quel Dio che nel volto umano del Figlio incarnato per opera dello Spirito Santo ci ha mostrato il suo volto ed aperto il suo cuore rivelando non solo chi è Lui, Padre che vuole tutti salvi, ma chi è ogni uomo e a cosa dall’eternità è destinato in Gesù Cristo, morto, risorto e glorificato. Giovanni, con buona ragione, afferma che Lui è l’Unigenito Dio che è nel seno del Padre (Gv 1,18); così solo Lui, dall’intimo di Dio stesso, poteva rivelare Dio a noi – rivelarci anche chi siamo noi, da dove veniamo e verso dove andiamo. Certo, ci sono numerose e grandi personalità della storia che hanno fatto belle e commoventi esperienze di Dio. Restano, però, esperienze umane con il loro limite umano. Solo Lui è Dio in un volto umano e perciò solo Lui è il ponte cioè il sacerdote che veramente mette in contatto immediato Dio e l’uomo, ogni uomo, tutta la famiglia umana, lo stesso universo: la via umana, crocefisso e risorto, alla Verità e alla Vita. Se noi cristiani dunque lo chiamiamo l’unico Mediatore della salvezza valido per tutti, che interessa tutti e del quale, in definitiva, tutti hanno bisogno, questo non significa affatto il disprezzo delle altre religioni né assolutizzazione superba del nostro pensiero, ma solo l’esser conquistati da Colui che ci ha interiormente toccati col dono preveniente del Suo Spirito e colmati di doni, affinché noi potessimo a nostra volta fare doni agli altri.
Nessuna rassegnazione di fronte a chi considera l’uomo incapace di verità e di amore
Di fatto, la nostra fede si oppone decisamente alla rassegnazione che considera l’uomo incapace della verità e quindi dell’amore reciproco – come se questi fossero troppo grandi per lui. Questa rassegnazione di fronte alla verità e all’amore è il nocciolo, per Benedetto XVI, dell’attuale drammatica crisi dell’Occidente, dell’Europa. Se per l’uomo non esiste una verità, egli, in fondo, non può più distinguere il bene e il male. E allora le grandi e meravigliose conoscenze della scienza diventano ambigue: possono aprire prospettive importanti per il bene, per la salvezza dell’uomo, ma anche – e lo vediamo – diventare una terribile minaccia, la distruzione dell’uomo e del mondo. Noi tutti abbiamo bisogno della verità e dell’amore.
Le due icone di Dio con il volto umano: bambino e crocifisso
Ma certo, a motivo della nostra storia con usi anche distorti, fondamentalisti, fideisti, abbiamo paura che la fede nella verità del cristianesimo comporti intolleranza. Se questa paura, che ha le sue buone ragioni storiche, ci assale, è tempo di guardare all’identità del Gesù della fede con il Gesù reale della storia, evidenziato a Mariazell e in ogni santuario, con due icone: come bambino in braccio alla Madre e come crocifisso che si lascia uccidere per salvare tutti e quindi risorgere per incontrare tutti senza colpire nessuno in modo irresistibile. Mai la verità cristiana può affermarsi mediante un potere esterno, ma è umile e si dona all’uomo solamente mediante il potere interiore del suo essere vera. La via cristiana alla Verità del Dio vivente, Padre, Figlio, Spirito Santo, attraverso il volto umano, morto e risorto del Figlio, dimostra se stessa solo nell’amore e rendendo ragione, poiché di sua natura la fede fa appello alll’intelligenza, svelando ad ogni uomo, ad ogni io la verità sul suo destino e la via per raggiungerlo responsabilmente cioè liberamente. Anche se la verità rivelata, una conoscenza mediata, è superiore ad ogni nostro dire e i nostri concetti sono imperfetti di fronte alla sua grandezza ultimamente insondabile (Ef 3,19), essa invita tuttavia la ragione – dono di Dio fatto per cogliere la verità – ad entrare nella sua luce, diventando così capace di comprende in una certa misura quanto ha creduto.
Pellegrinando nei santuari alla ricerca del volto umano del Redentore si prega Maria: mostraci Gesù! E Lei risponde con l’icona del bambino e del crocifisso. Dio onnipotente ed eterno, tutto in Atto nel suo Essere a fondamento di ciò che viene all’esistenza, storicamente si è mostrato inaspettatamente bambino, piccolo ed esposto ad ogni pericolo come ogni uomo, per noi. Dio non ha creato un mondo in cui la sua presenza sia spettacolare, non si è dato a noi in un volto umano, morto e risorto, con una modalità che colpisse chiunque in modo irresistibile, e non viene con la ragione della forza ma con la forza della ragione e del suo amore e solo chi ama e pensa lo coglie e lo può accogliere. Ci invita a diventare noi consapevoli di quello che siamo cioè piccoli, a scendere dai nostri alti troni idolatrici con desideri irreali di possesso e di forza ed imparare ad essere bambini veri, semplici, poveri davanti a Dio. Egli ci offre il Tu. Ci chiede di fidarci di Lui e di imparare così a stare nella verità e nell’amore. Il bambino Gesù si rende attuale soprattutto in tutti i bambini del mondo, quelli che vivono nella povertà; che vengono sfruttati come soldati; che non hanno mai potuto esperimentare l’amore dei genitori; i bambini malati e sofferenti, ma anche quelli gioiosi e sani fisicamente da rigenerare come persone in relazione con il proprio e altrui essere dono del Donatore divino, come di tutto il mondo che li circonda. “L’Europa – osserva il papa – è diventata povera di bambini: noi vogliamo tutto per noi stessi, e forse non ci fidiamo troppo del futuro. Ma priva di futuro sarà la terra solo quando si spegneranno le forze del cuore umano e della ragione illuminata dal cuore, quando il volto di Dio non splenderà più sopra la terra. Dove c’è Dio, là c’è futuro”.
Nei santuari oltre l’icona del volto umano bambino di Dio, c’è anche quella del crocifisso. Dio non ha redento il mondo mediante la spada, ma mediante la Croce. Morente Gesù stende le braccia. “Questo – osserva il Papa – è innanzitutto il gesto della Passione, in cui Egli si lascia inchiodare per noi, per darci la sua vita. Ma le braccia stese sono allo stesso tempo l’atteggiamento dell’orante, una posizione che il sacerdote assume quando nella preghiera allarga le braccia: Gesù ha trasformato la passione -la sua sofferenza e la sua morte – in preghiera, e così l’ha trasformata in atto d’amore verso Dio e verso gli uomini. Per questo le braccia stese del Crocifisso sono, alla fine, anche un gesto di abbraccio, con cui Egli ci attrae a sé, vuole rinchiuderci nelle mani del suo amore. Così Egli è un’immagine del Dio vivente, è Dio stesso, a Lui possiamo affidarci”.