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Chi ha paura del Biopotere?

Autore:
Luca Costa
Fonte:
CulturaCattolica.it
«Innanzitutto un rigido controllo spaziale, al giorno x viene ordinato a tutti di rinchiudersi in casa: divieto di uscire sotto pena di sanzioni. Per i bisogni di prima necessità si uscirà soli, a turni, evitando ogni incontro. Solamente la polizia, i soldati e il personale sanitario potranno circolare più o meno liberamente. Lo spazio sarà immobile, fisso, ognuno al suo posto, e chi esce, lo farà a rischio della vita: contagiato o punito.»

Negli anni 70, il filosofo francese Michel Foucault anticipa le tentazioni totalitarie dei regimi liberali che si determineranno in nome della protezione della salute dei cittadini

Se c’è un termine nel lessico delle scienze sociali in grado di aiutarci a riflettere sul momento che viviamo è quello di biopotere. Coniato da Michel Foucault negli anni 70, il biopotere è un nuovo regime politico in grado di comprimere all’estremo le libertà degli individui, in nome della tutela della salute.
Il filosofo francese utilizza per la prima volta il neologismo nel capitolo “panoptisme” del suo celebre saggio di filosofia del diritto: Sorvegliare e punire (1975). Viene presentato il caso dell’epidemia come occasione ideale per l’avvento del biopotere.
Foucault apre il capitolo presentando un tipico modello di quarantena del XVII secolo:


Innanzitutto un rigido controllo spaziale, al giorno x viene ordinato a tutti di rinchiudersi in casa: divieto di uscire sotto pena di sanzioni. Per i bisogni di prima necessità si uscirà soli, a turni, evitando ogni incontro. Solamente la polizia, i soldati e il personale sanitario potranno circolare più o meno liberamente. Lo spazio sarà immobile, fisso, ognuno al suo posto, e chi esce, lo farà a rischio della vita: contagiato o punito.



Secondo Foucault, si tratta di un passaggio chiave per comprendere il passaggio dal Medioevo alla Modernità. Nel Medioevo, il lebbroso era escluso per preservare le libertà della comunità. Nell’epoca moderna, la peste impone il principio di sorveglianza e disgregazione della comunità: ogni individuo (sano o malato) è isolato dagli altri, ognuno è confinato, esaminato, testato, controllato e sottomesso alla delazione altrui, tutti diventano ausiliari di polizia.

Il testo di Foucault torna di attualità, oggi, perché è proprio questo modello che il nostro governo ha scelto per gestire l’epidemia del coronavirus. Il modello disciplinare del XVII secolo si impone su tutta la comunità: siamo tutti isolati. Il nostro governo non ha alcuna alternativa da proporre. Siamo tutti confinati.
Secondo Lenin il socialismo era: l’elettricità più i soviet, ben presto (grazie a Pd e 5stelle) avremo: la quarantena più la geolocalizzazione.
Foucault aveva visto giusto. La modernità non corrisponde per forza a un rafforzamento della libertà, al contrario, essa offre al potere l’occasione di un’inedita invadenza dello Stato nelle nostre vite, in nome della protezione della salute, della vita puramente biologica delle persone. L’unica vita che ormai sta a cuore alle masse, dopo il tramonto dell’uomo animale religioso del Medioevo e l’avvento dell’uomo animale economico della Modernità, come affermava Georges Bernanos (1945, La France contre les Robots).

L’uomo del Medioevo avrebbe accettato con la stessa nostra docilità la stritolante limitazione delle libertà fondamentali che il governo ci impone da ormai due mesi? Avrebbe accettato di essere rinchiuso in casa, senza poter lavorare, senza messa?
Avrebbe accettato di essere prigioniero in 30 metri quadrati, lontano dai propri affetti, lontano da Dio (cioè privato dei sacramenti)? Avrebbe accettato un potere i cui principi inderogabili sono la sfilata del 25 aprile e l’aborto a domicilio?
Quanto siamo ancora in grado di riflettere sul nostro rapporto con la libertà, sull’uso che facciamo abitualmente della nostra libertà? noi, figli della società liberale.

Non dobbiamo scadere nel complottismo, quest’epidemia non è un’invenzione del nostro governo, e la teoria del biopotere non dice questo.
Tuttavia, il governo ha saputo cogliere nella crisi l’occasione di imporre un permanente stato di sorveglianza/punizione. Pensiamo, ad esempio, alla circostanza dell’auto-attestazione derogatoria per poter uscire, senza la quale anche il semplice fatto di recarsi al supermercato pone in essere l’eventualità (e la paura) della sanzione. Certo, il potere si scusa affermando che tali misure estreme sono temporanee, che tutto ciò è per il nostro bene, eppure la tentazione di estendere il controllo totale al di là della pandemia appare evidente (vedi le app di geolocalizzazione e autocertificazione immunitaria, la tracciabilità).

Appare anche evidente, come abbiamo già accennato, che la circostanza del confinamento collettivo permette al potere di spingere (sempre in nome della salute, del nostro benessere e della nostra libertà) verso nuove frontiere i propri progetti ideologici. È il caso dell’aborto a domicilio, promosso sui media prevalenti dai vate del pensiero progressista (Saviano, Boldrini, ecc.). Nella crisi, la politica agisce senza ostacoli imponendo i propri dogmi, approfittando dell’incertezza e dell’inquietudine delle masse (come già affermava Max Weber in Politica e scienza come professioni, 1919).

Proprio la scienza si sta rivelando, in questa situazione sconcertante, la grande complice del biopotere. In un momento di crisi come questo, in cui la scienza (che da anni divinizziamo) avrebbe dovuto apportare risposte chiare, semplici e inequivocabili (magari anche un inequivocabile: “per ora non sappiamo nulla di certo” sarebbe bastato), essa ha mostrato tutto il suo dogmatismo, il suo settarismo, il suo carrierismo, il suo protagonismo e, purtroppo, la sua intolleranza. Virologi, epidemiologi, comitati tecnico scientifici non hanno fatto altro che incoraggiare il biopotere. Incuranti delle devastanti conseguenze delle loro scriteriate azioni sul futuro del paese.

È davvero un progresso il fatto che la politica abbia abdicato, o anche solo stretto un abbraccio mortale, con questo tipo di scienza? Davvero la politica deve abbandonare il timone della società al profitto di un biopotere che è in fin dei conti una commistione di politicanti e pseudo-esperti autoproclamati, privi di ogni legittimità che non hanno alcun conto da rendere all’elettorato?

Durante una tempesta non sono gli ingegneri che hanno costruito i motori a essere chiamati a portare in salvo la nave, è il capitano che sceglie la rotta.

Luca Costa

Fonte dell’articolo: Eugénie Bastie, LeFigaro, 21 aprile 2020 : Faut-il craindre le biopouvoir ?

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