Pasqua 2015: no alla «mediocrità cordiale»
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Dopo la celebrazione della messa mattutina, da un po’ di tempo dedico uno spazio alla lettura e all’approfondimento del libro di don Giussani «In cammino». Mi ha colpito moltissimo la struttura di un testo che è preoccupato in maniera concreta e sistematica di aiutare la missione di giovani universitari dentro la varietà delle circostanze in cui siamo chiamati a vivere. In particolare mi ha colpito una frase che è contenuta a pagina 50-51 in cui Giussani dice “Ecco ciò che domina del migliore dei casi: È una mediocrità cordiale. Il nostro nemico, ragazzi, è una mediocrità cordiale che impera tra di noi nella misura in cui la nostra compagnia non ci richiama, non diventa luogo della memoria di Colui per cui si vive”. Questa lucida anticipazione, questo intervento profetico sulla situazione che noi tutti viviamo oggi mi ha realmente commosso e mi ha insegnato. In effetti è la mediocrità che domina in tutti gli ambiti della vita sociale, culturale, politica, qualche volta purtroppo anche ecclesiastica, o – meglio – della ecclesiasticità. La mediocrità per cui tutto è scontato, persino le parole usate sono assolutamente scontate: abbiamo assistito alle grandi manifestazioni a Parigi, in Tunisia e altrove dopo i tremendi attentati di questi giorni.
I commentatori tendevano a dire di essere sorpresi, mentre quanto accaduto erano cose assolutamente presenti, possibili, anticipate. E mi sono venute in mente tutte le grandi manifestazioni in cui, dopo il ’68, la nascita del terrorismo e le brigate rosse, si ripetevano addirittura gli stessi termini che si usano oggi, all’insegna di “Noi non cederemo”, “Cercheremo di non farci sopraffare”, ecc...
La mediocrità è un orizzonte culturale scontato, a cui sostanzialmente si fa fatica a credere (e qualche volta si pensa che facciano fatica a crederci anche coloro che fanno questi grandi proclami). Mi è venuto in mente quello che certamente era l’intendimento di Don Giussani quando faceva questo intervento. Bisogna innanzitutto confessare la propria mediocrità di fronte a Dio e perciò bisogna chiedere con umiltà che ci faccia essere grandi nella fede. La mediocrità non si vince perché ci si sente capaci di una cosa o di un’altra ma perché si mendica da Dio la grandezza che solo Lui può dare. Allora dobbiamo chiedere umilmente a Dio che converta questa tendenza alla mediocrità che ci fa così succubi, conniventi con quello che Papa Francesco non ha mai cessato in questi mesi di chiamare «pensiero unico dominante». Dobbiamo chiedere questa grandezza di cuore e di fede che non può non diventare grandezza di carità.
Soltanto la non mediocrità della fede rende possibile una non mediocrità nei rapporti sociali. Chiediamo al Signore di riempire la nostra vita, dando alla nostra vita il segno evidente della novità cristiana, e il segno eloquente di questa novità è l’inesorabilità della missione. Questa fede diventa grande se diventa fonte di missione, fonte di energia che tende a comunicare a tutti gli uomini la novità di Cristo.
Siamo chiamati a dire Cristo con la grandezza della nostra cultura, della nostra capacità di leggere i segni della sua assenza o i segni della sua attesa nella vita degli uomini del nostro tempo. Vivere la missione come cultura e come carità nella vita delle nostre comunità: allora sì che si afferma dignitosamente che il Signore è risorto, abita in mezzo a noi effettivamente, non per modo di dire, nei nostri cuori e nelle nostre comunità.
Questo mi è sembrato il modo più concreto, più doloroso certo ma più concreto per dire a tutti i miei molti amici del movimento e no «Buona Pasqua», perché la buona Pasqua è domanda di vivere di più la fede e di più la missione.
+ Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio