“Sine dominico non possumus!”
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(Tertulliano)

Cosa può dire un sito che ha deciso di chiamarsi CulturaCattolica.it sulla nuova, ennesima strage, che ieri, domenica, ha insanguinato il Plateau, lo Stato al centro della Nigeria? Altri corpi carbonizzati in chiesa, nel villaggio del Matsai, e poi un secondo attacco. Un’altra carneficina.
“Basta” raccontare la cronaca? L’agenzia di stampa Nuova Cina ha battuto la notizia che, come in fotocopia, oggi è uscita su tutti i media. “Basta”, questo?
Il nostro sito può e deve continuare a sensibilizzare i lettori, a combattere l’indifferenza, a ospitare – come ha fatto – gli appelli di Papa Benedetto, i racconti dei testimoni e dei sacerdoti di lì, gli interventi dei politici che promuovono petizioni o mobilitano le organizzazioni internazionali: l’Unione Europea e le Nazioni Unite, affinché inviino osservatori e, magari, forze armate nel tentativo di fermare la mattanza.
Ma è importante anche riprendere le riflessioni lucidissime di padre Piero Gheddo, rilasciate in un’intervista, circa un mese fa, perché da allora, purtroppo, nulla è cambiato. «Dove sono oggi i musulmani moderati? In Italia sono presenti quasi due milioni di islamici organizzati. Di fronte a una strage programmata, come si fa a non protestare? Basterebbe una lettera ai giornali per dissociarsi, una fatwa, una condanna ufficiale. (Il compito spetterebbe, ndr) alle università islamiche di Al-Azhar o Damasco, ma anche all’Ucoii in Italia. Per non parlare delle associazioni dei musulmani nigeriani che vivono nel nostro Paese. In Nigeria siamo di fronte a violazioni palesi, ripetute e programmate dei diritti dell’uomo e della donna, ma questo sembra un problema che non li tocca minimamente. E non c’è soltanto il caso della Nigeria. Pensiamo alla Siria, dove la situazione è ancora peggiore. Eppure i musulmani cosiddetti “moderati” presenti in Europa non dicono nulla, perché la “Umma”, la famosa comunità islamica, si caratterizza come rigida, compatta e controllata e ovunque nel mondo non prende posizione contro episodi di questo tipo. E’ possibile trovare lo studioso musulmano isolato che esce dal coro, il grande scrittore che poi vive sotto la protezione della polizia, ma gli organismi che rappresentano i musulmani non intervengono minimamente».
Questo e molto ancora si può fare, perché non diventi un’abitudine la notizia, il lunedì, di altre stragi, di altro sangue di cristiani innocenti massacrati in Africa e nel mondo.
Ma un sito che ha deciso di chiamarsi CulturaCattolica.it può e deve fare un passo in più: deve andare al fulcro della questione, al cuore. Ce l’ha ricordato proprio padre Gheddo, e le sue parole sono impegno e richiamo per tutti e per ciascuno. «L’Occidente del resto dovrebbe presentare un cristianesimo vissuto, che rende l’uomo più uomo o come dice spesso il Papa, nel quale l’umanesimo coincide con il cristianesimo. Le società cristiane dell’Occidente non rappresentano affatto questa prospettiva. I musulmani di Boko Haram sono quindi convinti che la soluzione di fronte alla modernità sia ritornare all’Islam originario, cioè alla sharia interpretata in senso rigoroso, combattendo una guerra santa per la fede».
E allora, cosa dice a me, a noi, questa nuova, ennesima strage che ha colpito, ieri, la Nigeria? Cosa ci dicono queste domeniche di terrore, di sangue, di esseri umani arsi vivi? Questo è il punto. Solo in questo modo la cronaca tocca il cuore e lo converte, e la conversione diventa… “cultura cattolica”, e cioè un modo nuovo, “redento”, di vivere la vita. Qui, adesso, noi.
E allora è giusto rendere conto della cronaca; serve – anzi, è indispensabile – mobilitarsi in tutti i luoghi possibili per le azioni diplomatiche e politiche che occorrono, ma o alla fine di questo articolo ciascuno sarà “diverso” rispetto a quando ha iniziato a leggere, o il mio scrivere non sarà servito a nulla, e la morte dei 90 cristiani barbaramente massacrati ieri si aggiungerà solo ad altri morti, ad altri numeri.
Ecco, invece, come il sangue cristiano, innocente e prezioso, può far germogliare il cuore. Il nostro.
Ce lo ricorda Benedetto XVI, in un intervento pubblicato per il VII Incontro Mondiale delle Famiglie.
«“Sine dominico non possumus!” Senza il dono del Signore, senza il Giorno del Signore non possiamo vivere: così risposero nell’anno 304 alcuni cristiani di Abitene nell’attuale Tunisia quando, sorpresi nella celebrazione eucaristica domenicale, che era proibita, furono portati davanti al giudice e fu loro chiesto perché avevano tenuto di Domenica la funzione religiosa cristiana, pur sapendo che questo era punito con la morte. “Sine dominico non possumus”. Nella parola “dominicum/dominico” sono indissolubilmente intrecciati due significati, le cui unità dobbiamo nuovamente imparare a percepire. C’è innanzitutto il dono del Signore, questo dono è Lui stesso: il Risorto, del cui contatto e vicinanza i cristiani hanno bisogno per essere se stessi. Questo, però, non è solo un contatto spirituale, interno, soggettivo: l’incontro col Signore si iscrive nel tempo attraverso un giorno preciso. E in questo modo si iscrive nella nostra coscienza concreta, corporea e comunitaria, che è temporalità. Dà al nostro tempo, e quindi alla nostra vita nel suo insieme, un centro, un ordine interiore. Per quei cristiani la celebrazione eucaristica domenicale non era un precetto, ma una necessità interiore. Senza Colui che sostiene la nostra vita, la vita stessa è vuota. Lasciar via o tradire questo centro toglierebbe alla vita stessa il suo fondamento, la sua dignità interiore e la sua bellezza».
Questa è la domanda, l’unica, che ha senso si ponga un sito che ha deciso di chiamarsi CulturaCattolica.it: «Vale anche per noi l’affermazione “Sine dominico non possumus”? Saremmo, noi, disposti a dare la vita, pur di continuare a poggiare su un “pieno”: sulla roccia che è il Cristo risorto, che ci sorregge fin oltre la morte?».
«Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani», scrisse Tertulliano. E’ vero. A patto che i cristiani sappiano, ancora, cosa significa essere terra fertile…