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Quella fotografia non è contro l’anoressia, ne è complice

Autore:
Turroni, Paola
Fonte:
CulturaCattolica.it

“Il paradosso è che ci si sconvolge davanti all’immagine e non di fronte alla realtà. Io ho fatto, come sempre, un lavoro da reporter: ho testimoniato il mio tempo”. Così Oliviero Toscani motiva la scelta di fotografare l’anoressia in una campagna pubblicitaria per un marchio d’abbigliamento. L’aspetto esteriore dell’anoressia, voglio aggiungere. L’aspetto choccante, osseo e vergognoso, dell’anoressia. Quella è solo l’immagine di una ragazza sofferente, non definisce nulla della sua sofferenza. Quindi non può combatterla, semplicemente la mostra. Toscani dal suo punto di vista ha ragione. Ma è ingenuo, per non dire idiota, pensare oggi di utilizzare un’immagine per modificare anche soltanto l’emotività di qualcuno. Quante immagini di morte, torture, dolore, denutrizione, vediamo ogni giorno e quanto queste ci inducono a modificare il nostro modo di vivere e di pensare l’altro? Invece il ministro Livia Turco, che ha patrocinato la campagna, ritiene di poter trasformare questa abile trovata commerciale in una lotta contro l’anoressia. Pensare di combattere l’anoressia con l’immagine è paradossale. Non mi interessa criticare la scelta di Toscani e la casa di moda in questione, non voglio fare del moralismo visivo. Critico la propaganda che l’associa a un valore rieducativo. Forse qualche persona sana, o comunque lontana a livello personale dall’esperienza diretta o indiretta dell’anoressia, può rimanerne inorridita, e confermare quanto brutta sia una donna così magra. Ma nessuna anoressica si vedrà rispecchiata, e per questo illuminata sull’inguardabile realtà. Un’anoressica può pensare che quel corpo è ciò che vuole (non è la bellezza che si persegue, ma un’ossessione di magrezza che evidentemente non ha mai fine); può pensare che quel corpo sia brutto ma che il proprio è molto più grasso (la percezione di sé è spesso alterata); può pensare che quella bruttezza è necessaria; può pensare quanto sia limitata la visione degli altri, “quanti chili devo perdere prima che ti accorgi che non sono i chili che perdo?”. È un paradosso. È una malattia di paradossi, è una malattia violenta che fa vedere l’unica cosa che si vorrebbe far smettere di guardare. E invece eccolo là, il corpo, mostrato in gigantografie in tutto il suo orrore, a perpetrare la rappresentazione dell’orrore. Quella fotografia non è contro l’anoressia, ne è complice.

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