Martini e Mieli sull'ora di religione
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Card. Carlo Maria Martini, ANDIAMO A SCUOLA: è la lettera pastorale del 1985, in occasione della scelta dell'ora di Religione Cattolica, dopo la approvazione della riforma del Concordato | Il 7 maggio 2002 durante il Convegno “ORA DI RELIGIONE E RIFORMA DELLA SCUOLA” (che ha visto la partecipazione a Milano di più di 500 insegnanti), il dottor Paolo Mieli (Direttore editoriale Rizzoli-Corriere della Sera) ha portato questa testimonianza a partire dalla propria esperienza. E queste considerazioni sono ancora oggi di scottante attualità. |
La scuola è un luogo di istruzione e di cultura. Che rapporto c’è tra la religione e la scuola? La domanda è legittima e merita attenzione. Lo stesso nuovo Concordato, assicurando l’insegnamento della religione nella scuola, precisa che esso deve inserirsi “nel quadro delle finalità della scuola” (Art. 9, par. 2). Dobbiamo allora chiederci che cosa è la scuola, quali sono le sue finalità. Dobbiamo conoscere un po’ più da vicino quella realtà che frequentano ogni giorno i nostri ragazzi. […] Andiamo a scuola di religione Perché e come entra l’insegnamento della religione “nel quadro delle finalità della scuola”? Entra per svolgere un servizio alla scuola e alle sue finalità. Abbiamo visto che una finalità della scuola è quella di porre il problema del rapporto dei dati scientifici e storici con il significato che essi hanno per la coscienza e la libertà. Orbene la coscienza e la libertà chiamano in causa i beni ultimi, universali, fondamentali dell’esistenza. Quello che, poi, la coscienza e la libertà decideranno circa questi beni, è un compito delle singole persone. Ma è compito della scuola porre correttamente il problema. L’insegnamento della religione, che riguarda appunto le questioni decisive, i fini ultimi della vita, aiuta la scuola a svolgere questo compito. L’aiuta entrando in dialogo con le altre materie di insegnamento, ma conservando una propria specificità, che non può essere confusa con gli scopi delle altre materie. Le altre materie trattano degli oggetti loro propri e fanno emergere l’esigenza di considerare il problema della libertà e della coscienza. L’insegnamento della religione accoglie questa esigenza e mette a tema il rapporto della coscienza e della libertà con i fini ultimi. Non è quindi adeguandosi alle altre materie, ma, al contrario, differenziandosi da esse, pur in un costante dialogo, che l’insegnamento della religione aiuta la scuola a raggiungere le sue finalità. Fin qui abbiamo parlato di insegnamento della religione. Ma quello che è in causa nelle scelte che gli alunni e le famiglie sono chiamati a fare secondo il nuovo Concordato è l’insegnamento della religione cattolica assicurato dallo Stato e affidato alla Chiesa cattolica. È infatti difficile immaginare un insegnamento della religione gestito autonomamente dallo Stato, senza riferimento a concrete comunità di credenti, come la Chiesa cattolica o altre comunità religiose, nelle quali la religione non è solo un problema teorico, ma un fatto di vita. Dall’altro lato, la Chiesa cattolica svolge da anni questo insegnamento, sia pure tra difficoltà e lacune. Dal proprio patrimonio di fede essa può ricavare spunti nitidi e preziosi per soddisfare a quelle esigenze scolastiche che ho ricordato precedentemente, distinguendo questa modalità scolastica di presentazione del cattolicesimo dalle altre iniziative con cui viene annunciata ed educata nella comunità cristiana la fede dei credenti. Dalla propria tradizione culturale, da cui è nata la nostra cultura europea, la Chiesa può trarre una pedagogia e una metodologia scientifica che non ha nulla da invidiare alle altre culture. Presentando il cattolicesimo nella scuola, la Chiesa aiuta gli alunni italiani a capire la cultura in cui vivono, perché, come dice anche il Concordato “i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano” (art. 9, par. 2). Naturalmente la Chiesa deve impegnarsi a svolgere nel miglior modo possibile questo compito che le è stato affidato. In questo campo molto resta ancora da fare. Abbiamo visto l’importanza dell’insegnamento della religione a scuola per la Chiesa e per lo Stato. E i ragazzi? E le famiglie? Per quanto riguarda i ragazzi vorrei citare Giovanni Paolo II nella lettera ai giovani per l’anno della gioventù (1985): “Il periodo della giovinezza è il tempo di una scoperta particolarmente intensa dell’io umano e delle proprietà e capacità ad esso unite. […] La vita si delinea come realizzazione di un progetto, come autorealizzazione . […] È la ricchezza di scoprire e insieme di programmare, di scegliere, di prevedere e di assumere le prime decisioni in proprio. […] Che cosa devo fare, perché la mia vita abbia valore e pieno senso? La giovinezza di ciascuno di voi, cari amici, è una ricchezza che si manifesta proprio in questi interrogativi. L’uomo se li pone nell’arco di tutta la vita: tuttavia nella giovinezza essi si impongono in modo particolarmente intenso, addirittura insistente. Ed è bene che sia così. Questi interrogativi provano appunto la dinamica dello sviluppo della persona umana, che è propria della vostra età” (n. 3). Come non sentire la responsabilità di questo momento della vita? E come non approfittare di quell’unico tempo scolastico che è appunto espressamente dedicato alla risposta a questi interrogativi cruciali dell’esistenza? Per quanto riguarda i genitori, ricorderò anche qui alcune parole del Papa: “La dottrina e cultura religiosa cattolica, nella quale i giovani vengono istruiti nell’ambito della formazione scolastica, è un elemento che oso qualificare come indispensabile nell’odierna società, perché essi possano approfondire intellettualmente e poi vivere da adulti la fede cattolica e siano poi in grado di dare, in ogni ambiente, ragione della speranza che è in loro. Si richiederà per tanto una vasta opera di sensibilizzazione delle famiglie in cui sono presenti giovani in età scolare, perché non sia trascurata questa opportunità che la scuola italiana offre. L’argomento potrà essere occasione ai sacerdoti per curare e sviluppare un dialogo anche con famiglie forse meno vicine alla parrocchia, ma non aliene alla Chiesa, sovente bisognose soltanto di una amichevole e motivata parola di incoraggiamento” (Lettera al Card. Poletti del 5 agosto 1985). […] Scegliendo una proposta riduttiva in termini cognitivi e di approfondimento mettono i loro figli in condizione di vivere più tardi momenti grandi di scelta con minor cognizione di causa e con minori strumenti per leggere il significato della loro vita come pure le tradizioni, la storia, la cultura del loro Paese. Consapevoli della loro responsabilità educativa i genitori si sentiranno perciò in dovere di far approfittare i loro figli della valida occasione di riflessione e di maturazione offerta dalla scuola. Infatti la rilevanza formativa dell’insegnamento della religione nell’ambito della scuola è tale che non può essere sostituito da altre esperienze, neppure dalla pur sempre necessaria catechesi parrocchiale. Quanto detto si applica ugualmente a quanti, genitori e ragazzi, anche se al momento non praticanti o non credenti, sono aperti alla verità e per questo intendono combattere ogni genere di ignoranza, compresa quella religiosa, e sono preoccupati di un dialogo sociale e culturale che porti alla comprensione vicendevole e alla collaborazione anche tra persone che la pensino diversamente. […] Le ragioni che spingono gli alunni e le famiglie a scegliere di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola sono dunque buone e convincenti. Lo saranno ancora di più se tale insegnamento saprà darsi programmi sempre più persuasivi e docenti sempre meglio preparati. […] | «Io non sono cattolico, la mia famiglia è di origine ebraica e quando ero a scuola, trentacinque anni fa, ero esonerato dall’ora di religione. Quindi non frequentavo le lezioni di religione... Finché nel ginnasio della mia scuola, un liceo romano molto prestigioso, il Tasso, venne un sacerdote, ricordo il nome, si chiamava don Tarcisio, che incuriosito perché muovevo i miei primi passi nella politica, un giorno mi invitò a restare in classe all’ora di religione e chiacchierò con gli altri studenti, miei compagni di classe, e me, durante quest’ora. Da quel momento, per i successivi cinque anni (i due anni del ginnasio e i tre anni del liceo), io rimasi, per scelta, a tutte le lezioni di religione e questo dialogo, a volte puntuto a volte condotto in spirito di franchezza e onestà, non un dialogo compiacente, è stato un momento fondamentale della mia vita. Io ero, appunto, un non credente che invitato a partecipare a quell’ora la sceglieva volontariamente, a differenza di tutte le altre ore di scuola. Le altre ore di scuola le facevo perché ero tenuto a farle, perché la famiglia mi obbligava a farle, perché dovevo crescere, dovevo diplomarmi, dovevo prendere la maturità e poi laurearmi. Quell’ora, invece, me la sceglievo, per cui nella storia della mia giovinezza l’ora di religione è l’ora della scelta, l’ora della libertà, l’ora del confronto, l’ora della crescita. Quelli erano anni chiusi, molto chiusi, in Italia, e non credo che tutte le lezioni dell’ora di religione fossero come quelle che si svolgevano nella mia classe. Io credo che oggi le cose siano diverse da come erano, per tutti, allora. Ma credo che le ore di religione o tendono a diventare le ore più importanti o non sono… Parliamoci in spirito di sincerità. La verità è che per le altre lezioni si può insegnare senza essere testimoni. Questo, almeno, per quella che è la mia conoscenza della scuola. Certo, sarebbe meglio che ciò non fosse, ma può essere. L’ora di religione può essere vera, può essere autentica, solo se è l’ora centrale nel panorama dell’insegnamento, dove si affrontano i temi della crescita, nella consapevolezza di che cos’è la religione cattolica nella storia d’Italia, da duemila anni a questa parte, quindi della storia che non comincia nel 1861, ma duemila anni fa. È il momento in cui, lasciando perdere la specificità delle altre discipline, il ragazzo che si fa uomo e cittadino, anche un ragazzo di origini ebraiche com’ero io, si confronta con lo spirito del popolo in cui vive. In questi anni si discute spesso di affiancare ai modi di insegnamento della religione cattolica l’insegnamento della storia di altre religioni. È una teoria che mi lascia freddo. Perché se è fatta nello spirito di cui vi sto parlando, l’ora di religione è di sua natura un confronto con le altre religioni. Cioè: l’ora di religione non è un’ora di dogma, non è un insegnamento in cui si chieda a degli studenti di imparare a memoria qualcosa, come si fa in matematica, in storia, in letteratura italiana. L’ora di religione è il momento in cui il ragazzo che si fa uomo si cimenta con il suo spirito profondo, con le cose che non conosce di sé, della sua famiglia e del popolo in cui vive, e della storia di questo popolo, da duemila anni a questa parte. Penso che l’ambizione degli insegnanti di religione debba essere quella di porsi non in un’ottica difensiva, ma in un’ottica super propositiva. Cioè di proiettare l’ora di religione verso una centralità nell’insegnamento. E penso che la battaglia degli insegnanti di religione possa essere vinta solo se si guarda molto lontano e si hanno dei progetti molto ambiziosi.» |