Jérôme Lejeune, la scienza e la fede
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Si è aperta un mese fa la causa di beatificazione di Jerome Lejeune, medico, scienziato genetista, uomo di fede, stimato da Giovanni Paolo II che gli fu amico. A lui si deve la scoperta, negli anni Cinquanta, dell’origine genetica della sindrome di Down che chiamò trisoma 21. Lejeune visse in profonda unità la passione per la ricerca scientifica e la fede. Il suo essere “controcorrente” rispetto al pensiero laicista già serpeggiante, gli costò il Nobel della medicina. La sua figura di uomo e di scienziato dimostra che “scienza e fede hanno una reciprocità feconda, quasi una complementare esigenza dell’intelligenza del reale”, come ha recentemente affermato il Papa in visita all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma a 50 anni dalla fondazione della facoltà di Medicina e chirurgia “Agostino Gemelli”. Il discorso tenuto dal Papa in questa breve visita, è stato l’occasione per tornare a riflettere sul rapporto scienza-fede e per riprendere ed approfondire osservazioni espresse in altre importanti occasioni. Centrale nel discorso del Papa è l’idea che “la ricerca scientifica e la domanda di senso” ciascuna dotata di un proprio ambito di indagine e di una propria metodologia, zampillino “da un’unica sorgente, quel Logos che presiede all’opera della creazione e guida l’intelligenza della storia”. Come dire che “lo stesso impulso alla ricerca scientifica scaturisce dalla nostalgia di Dio che abita il cuore dell’uomo”. Nostalgia cui l’uomo non può rispondere da solo, ma ha bisogno dell’iniziativa di Dio. Il rebus della nostra epoca è che si è voluto interrompere fino a recidere decisamente il rapporto con la trascendenza. Così l’uomo contemporaneo, “quasi abbagliato dall’efficacia tecnica”, si ritrova “ricco di mezzi, ma non altrettanto di fini”, si dimentica di chiedersi il perché delle cose e si ritrova mancante di prospettiva, sfiduciato pur disponendo di grandi possibilità. Per una sorte di legge del contrappasso, l’esclusione di Dio ha comportato un “indebolimento della capacità di intelligenza del reale e il declino del pensiero”. Oggi, parallelamente all’ottimismo del sapere scientifico, assistiamo a una pericolosa “crisi del pensiero” e a un “impoverimento etico” sempre più diffuso. Come uscire da questa crisi che minaccia lo stesso sviluppo e il progresso stesso? Se intendiamo risalire la china, occorre che riprendiamo la “feconda radice europea di cultura e progresso”, ormai dimenticata. E su cosa si fondava questa radice? Proprio su ciò che oggi è emarginato: il quaerere Deum. Il cercare Dio, l’aspirare a Lui, “comprendeva la ricerca dell’assoluto, ma anche l’esigenza di approfondire le scienze umane, l’intero mondo del sapere”, senza alcuna separazione. “Solo se la ricerca di fede e la ricerca scientifica condividono “un luogo sorgivo” che alimenta entrambe, il Logos, la ragione può mantenere tutte le sue potenzialità e le sue caratteristiche. Altrimenti, mortificata nella sua natura di apertura all’infinito, la ragione si perde. La storia della scienza può raccontare di uomini, come il medico ricercatore Lejeune, che hanno testimoniato come la ricerca di fede e la ricerca scientifica, armonicamente unite, siano una strada feconda per costruire il bene dell’uomo.