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Lampedusa: avessimo un cuore così per guardare!

Autore:
Braci, Sabina
Fonte:
CulturaCattolica.it
Riporto questo straordinario intervento di una giovane scolara che, partendo dalla propria esperienza, ci aiuta a un giudizio «vero», di quella verità che nasce dal cuore. E che è sostenuta nell'incontro con insegnanti che, alla ideologia o alla scontatezza, preferiscono mettere in gioco tutta la loro umanità. Una volta si diceva, a proposito di Solidarność, che «La Polonia non è morta finché noi viviamo!». Si potrà dire della scuola che non è morta finché si incontrano insegnanti ed alunni così.
[Don Gabriele Mangiarotti @dongabriele]

03 Ottobre 2013. Lampedusa. Un'altra barca carica di migranti si sta avvicinando all'isola. Per segnalare la posizione danno fuoco ad una coperta, sperando che qualcuno li noti e li aiuti a scendere da quella barca infernale, da quei giorni di viaggio interminabili. Ma quella piccola coperta che segnava la salvezza ha infiammato il ponte della barca.
Centinaia di uomini di donne di bambini, insieme alla barca hanno visto andare a fuoco le loro speranze e i loro sogni in pochi istanti.

Si contano ormai più di 300 vittime: 300 persone, non 300 numeri! Avevano una storia, una famiglia, una vita. I loro corpi sono distesi uno a fianco all'altro nell'hangar dell'aeroporto, coperti da un lenzuolo o dentro un sacco, in attesa di una degna sepoltura. Questi corpi di persone non ancora identificate, alle quali forse mai verrà data un'identità, giacciono a terra immobili, raccontando la sofferenza di una vita passata sognando un futuro migliore e conclusa con una morte inaspettata, dolorosa, ingiusta.

I pochi sopravvissuti, parlando dell'inferno vissuto, raccontano di come alcuni pescherecci non li abbiano aiutati pur avendoli visti in difficoltà. Questi uomini di mare, il cui compito è anche salvare dal naufragio cose e persone, non hanno risposto alle grida disperate, come se le richieste di aiuto non li riguardassero.

C'è una legge in Italia che non permette di aiutare i clandestini perché si è accusati di favoreggiamento dell'immigrazione. Sarà questo il motivo per cui i pescatori non hanno aiutato gli immigrati, o è il menefreghismo generale che ormai condiziona i nostri atteggiamenti? In ogni caso addolora questa indifferenza!

"... Viene la parola vergogna: è una vergogna! Uniamo i nostri sforzi perché non si ripetano simili tragedie", ha detto Papa Francesco. Per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, "bisogna reagire e agire". "Non ci sono termini abbastanza forti - ha detto il Capo dello Stato - per indicare anche il nostro sentimento di fronte a questa tragedia".

Ed è proprio una vergogna questa tragedia; è una vergogna il menefreghismo che un po' tutti abbiamo riguardo a ciò che ci sembra lontano, o che non ci tocca direttamente. E' una vergogna il modo in cui ci atteggiamo a finti dispiaciuti appena saputa la notizia, per poi ritornare ad essere le persone indifferenti che siamo, scordandoci dell'accaduto in breve tempo, senza fare niente di concreto per impedire queste tragedie o, almeno, per cambiare il cuore.

Non è facile capire cosa si prova ad affrontare questo '' viaggio nell'oscurità'' - se così si può definire - se non si è mai avuta la necessità di trovare una speranza di vita altrove.

Io ho vissuto direttamente un'esperienza molto simile a questa.

Era il 1997. Dall'Albania barconi di profughi raggiungevano l'Italia per sfuggire alla crisi e all'arretratezza economica in cui versava il Paese anche dopo la fine del regime comunista. In una di quelle barche c'era anche la mia famiglia, fuggita per un motivo differente: fuggita per darmi la possibilità di vivere, di avere una prospettiva di vita migliore, in quanto sono affetta da una malattia incurabile.

Ero appena nata, una settimana di vita, e i miei genitori hanno deciso di lasciarsi tutto alle spalle: gli affetti, le amicizie, le piccole sicurezze quotidiane. Di lasciare il proprio paese, le proprie radici, per non dover sopportare un'altra tragedia come la perdita del primo figlio, e per darmi la possibilità di vivere e di realizzare la mia vita.

Siamo partiti così, il 14 marzo di quell'anno: improvvisamente, senza avvertire nessuno, portandoci dietro il minimo indispensabile. Siamo saliti in quella barca, che non conteneva molte persone, in quando era passato il tempo del grande afflusso del '91.

Da quello che mi è stato detto, ogni persona pagava all'incirca 70000 Lek, l'equivalente di 500€. Le persone in quella barca provenivano da tutta l'Albania, e tutti sognavano una vita migliore. Il tragitto è durato 12/13 ore, e all'arrivo ci hanno trasferiti in un campo profughi vicino Bari. Delle persone grandiose, dall'animo gentile, ci hanno aiutato, pur non conoscendoci, pur non riuscendo a comunicare perché nessuno capiva la lingua dell'altro. Io e mia mamma siamo state trasportate in ospedale, in quanto ero in fin di vita, e abbiamo dovuto abbandonare mio padre che non poteva venire.

Poco tempo dopo tutte le persone sono state spostate in altri due campi. I mesi trascorsi in quei campi, pur avendo attorno persone che ti aiutavano, erano stati interminabili.
La sofferenza di aver lasciato tutto e tutti, il non sapere che cosa riservava il futuro e la paura di essere rimandati indietro hanno segnato per sempre la vita di quegli immigrati, noi compresi. Fortunatamente le cose si sono risolte al meglio per la mia famiglia, ma per molti altri non è andata così bene.

Guardando la tivù, insieme ai miei genitori ricordo il nostro viaggio, ed è forse per questo che ciò che è accaduto a Lampedusa mi interroga così tanto. E così ho deciso di scrivere, perché credo che questi fatti dovrebbero in realtà interrogare chiunque.

Ho intitolato questo testo Non è poi così lontano perché com'è successa a me potrebbe capitare a chiunque l'esperienza tragica di dover lasciar tutto nella speranza di vivere meglio; ed è per questo che non dobbiamo guardare a questo fatto con distacco, ma dobbiamo cercare di metterci nei panni di questa gente, e non soltanto parlare o annunciare un giorno di lutto nazionale o un minuto di silenzio nelle scuole, perché rischia di essere solo un segno di ipocrisia e di finzione. Bisogna fare qualcosa di concreto; non importa che sia un gesto grande, ma ognuno di noi deve fare nel suo piccolo qualcosa per scardinare dal cuore l'indifferenza. Perché questo atteggiamento di chiudere gli occhi di fronte a ciò che non ci riguarda, di non voler vedere o meglio di non saper vedere quello che ci circonda e quello che accade, ci sta portando ad un'insensibilità e ad una freddezza che non prelude a niente di buono.
Finisco citando due frasi: una di W. Churchill e l'altra di Sofocle, che secondo me sintetizzano al meglio il significato di questa mia riflessione.

A volte l'uomo inciampa nella verità, ma nella maggior parte dei casi, si rialza e continua per la sua strada.
L'opera umana più bella è di essere utile al prossimo.

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