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Il faro e la fiaccola

Autore:
Mondinelli, Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it
Ricevo da Andrea Mondinelli questa lettera–riflessione. Entra nel merito della presenza cristiana oggi nel mondo

Caro don Gabriele,
nella Chiesa la confusione regna sovrana ed ogni giorno aumenta sempre più. È necessario leggere i segni dei tempi, rimanendo sereni per non perdere la tramontana. Circa un mese fa, ci fu uno scambio epistolare con il direttore della rivista “Tracce”, sulla visione della realtà ecclesiale, che secondo padre Spadaro deve essere più fiaccola che faro. Questa immagine è stata recepita anche nei documenti sinodali, probabilmente ad opera proprio di padre Spadaro, che era padre sinodale. Recentemente, ha scritto un articolo su Civiltà Cattolica dal titolo “Una Chiesa in cammino sinodale. Le sfide pastorali sulla famiglia”, in cui riprende la metafora del faro – fiaccola spiegandone il significato. Questa visione di Chiesa mi lascia molto perplesso. Scrive Spadaro:

“La Chiesa, infatti, è lumen, luce, perché sul suo volto si riflette la luce di Cristo, che è Lumen gentium (LG, n. 1). Questa luce però può essere intesa in almeno due modi che non si escludono, ma che sono differenti. Innanzitutto come «faro», la cui caratteristica è quella di dare luce, ma di essere fermo, poggiato su solido fondamento. Ma può essere intesa anche come «fiaccola». Qual è la differenza tra faro e fiaccola? Il faro sta fermo, è visibile, ma non si muove. La fiaccola, invece, fa luce camminando là dove sono gli uomini, illumina quella porzione di umanità nella quale si trova, le loro speranze, ma anche le loro tristezze e angosce (cfr GS, n. 1). La fiaccola è chiamata ad accompagnare gli uomini nel loro cammino, accompagnandolo dal di dentro dell’esperienza del popolo, illuminandolo metro per metro, non accecandolo con una luce insostenibile. […] Dunque, non basta che la Chiesa rifletta la luce di Cristo sulle coppie umane come un faro luminoso, ma statico: occorre che sia anche fiaccola. Infatti, se l’umanità si allontanasse troppo, la luce della Chiesa — per quanto potente — diventerebbe talmente flebile da scomparire per molti. La luce di Cristo riflessa dalla Chiesa non può diventerebbe privilegio di pochi eletti che galleggiano nel recinto di un porto sicuro: una «chiesuola», dunque, più che una Chiesa. La Chiesa intesa come «fiaccola» è chiamata ad accompagnare i processi culturali e sociali che riguardano la famiglia, per quanto ambigui, difficili e poliedrici possano essere”.


È facilmente rintracciabile, tra le righe, la contrapposizione tra faro e fiaccola con l’evidente preferenza per quest’ultima. Ritengo che questa antitesi sia profondamente errata. Prima di tutto, desidero ringraziare il Signore per i dogmi e per la sana dottrina, che sono veramente una grazia di Dio. Grazia che ci consente di vivere sereni la nostra fede. Userò una metafora, che era cara a Chesterton, per cercare di spiegarmi meglio.
Immaginate un bellissimo campo di gioco in cima ad un altipiano circondato da orridi burroni: correre e giocare vicino al ciglio non dà certo sicurezza e gioia, ma se ci sono reti protettive i pericoli scompaiono, così che non si corre il rischio di precipitare.
Questo bellissimo campo di gioco, poi, ha in sommità un faro che illumina la notte sia per poter sempre giocare, sia per chiamare e richiamare altri fanciulli alla festa. Insomma, è un porto sicuro in cui poter gioire del dono della vita. Purtroppo, oggi, viene detto da più parti che queste reti sono divisive, perché impediscono l’ingresso nel recinto di gioco a chi è fuori e, dicono: “il faro ha un luce abbagliante, il porto è qualcosa di troppo statico”. Niente di più falso. A me viene in mente la strofa del bellissimo canto mariano “Mira il tuo popolo”:
Il pietosissimo Tuo dolce cuore
porto e rifugio è al peccatore
Tesori e grazie racchiude in sé
o Santa Vergine, prega per me.

Chi lo dice che il faro debba essere solo qualcosa di statico? Certamente, è fondato sulla roccia (Stat Veritas) che è Cristo stesso, ma è dinamico come lo è il Cuore Immacolato di Maria, che è saldissimo nella Fede ed operosissimo nella Carità. È proprio il Suo Cuore il porto sicuro per i peccatori.
Dire poi che il recinto di confine, o i massi frangiflutti, sono divisivi è una vera e propria mistificazione: liberamente chiunque può entrare, chiunque può uscire a suo rischio e pericolo. O riteniamo che il dolcissimo Rifugio dei peccatori porti la divisione?
Dico la verità: a me piace tantissimo galleggiare nel porto sicuro del Cuore Immacolato di Maria, Madre della Chiesa. Vorrei che tutti provassero questa gioia immensa e mai e poi mai vorrei uscirvi, anche se peccatore come sono…
Per quanto, poi, l’umanità si allontanasse dalla Chiesa, la sua luce brillerebbe sempre, perché un preziosissimo frammento di tale luce è stato divinamente innestato in ciascuno di noi. Tale luce è la legge morale naturale che si riverbera nella coscienza individuale: questa è la vera fiaccola! È come avere innestata una bussola che indica sempre la strada della conversione, che fa rientrare in se stessi per tornare alla casa del Padre misericordioso. Tale Padre della parabola, detta anche del figliol prodigo, non è uscito di casa e non ha neppure sguinzagliato i suoi servi alla ricerca del proprio figliolo, non certo perché era uno sprovveduto, ma perché pazientemente ha aspettato che il suo ragazzo sentisse nostalgia e ritornasse sui suoi passi. Questa nostalgia è la torcia della coscienza, che Santa Madre Chiesa ha il dovere di aiutare nella sua retta formazione. Altrimenti, parlare di fiaccola è solo una parola vuota, un parlare per non dire nulla, come ha ricordato recentemente anche papa Francesco.
Urge, però, una breve spiegazione sul significato corretto di coscienza, parola oggi abusatissima. Come padre Spadaro, citerò il beato J.H. Newman al cap. 5 della “Lettera al Duca di Norfolk” (pag. 217, 218, 219 e 220 ed. Paoline):

“«La legge Eterna», scrive Sant’Agostino, «è la ragione divina o volontà di Dio, la quale comanda l’osservanza e vieta di turbare l’ordine naturale delle cose». «La legge naturale», osserva san Tommaso, «è un’impronta della luce divina in noi, una partecipazione della legge eterna fatta alla creatura ragionevole». Questa legge, in quanto percepita dalla mente dei singoli uomini, si chiama «coscienza» e benché possa subire rifrazioni diverse passando attraverso l’intelligenza di ogni essere umano, non ne viene per questo intaccata al punto da perdere il suo carattere di legge divina. […] So bene che questo concetto della coscienza è assai diverso da quello che ne ha ordinariamente la scienza e la letteratura o l’opinione pubblica corrente. […] La coscienza non è egoismo lungimirante, né il desiderio di essere coerenti con se stessi, bensì la messaggera di Colui, il quale, sia nel mondo della natura sia in quello della grazia, ci parla dietro un velo e ci ammaestra e ci governa per mezzo dei suoi rappresentanti. La coscienza è l’originario vicario di Cristo, profetica nelle sue parole, sovrana nella sua perentorietà, sacerdotale nelle sue benedizioni e nei suoi anatemi. E se mai potesse venir meno nella chiesa l’eterno sacerdozio, nella coscienza rimarrebbe il principio sacerdotale ed essa ne avrebbe il dominio”.

Non meno significativa la Gaudium et Spes: “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa questo, evita quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato”.
Prosegue Newman nella sua lettera: «Oggi (siamo nel 1875! n.d.r.), per il gran mondo della filosofia queste parole suonerebbero futili come un vuoto chiacchiericcio. Durante tutto il mio tempo c’è stata una guerra decisiva, stavo quasi per dire una cospirazione, contro i diritti della coscienza quale io l’ho descritta».
Impressionante, non c’è che dire! Anche perché, nel frattempo, la guerra alla coscienza è penetrata anche nella Chiesa cattolica: «I fautori dell’errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch’è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d’ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima», scrisse Papa San Pio X nell’enciclica Pascendi dominici gregis del lontano 1907 e che sembra scritta proprio per i tempi attuali.
Il problema è di vitale importanza, perché la coscienza riguarda anche il significato dell’istituzione del papato. Per comprenderlo, mi è stato di profondo aiuto la lettura “L’elogio della coscienza” del Card. Ratzinger. Senza la coscienza cattolica, cessa l’esistenza del papato:

“A chi non viene in mente, a proposito del tema “Newman e la coscienza”, la famosa frase della Lettera al Duca di Norfolk: “Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo - cosa che non è molto indicato fare - allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa”? […] Il significato autentico dell’autorità dottrinale del Papa consiste nel fatto che egli è il garante della memoria cristiana. Il Papa non impone dall’esterno, ma sviluppa la memoria cristiana e la difende. Per questo il brindisi per la coscienza deve precedere quello per il Papa, perché senza coscienza non ci sarebbe nessun papato. Tutto il potere che egli ha è potere della coscienza: servizio al duplice ricordo, su cui si basa la fede e che dev’essere continuamente purificata, ampliata e difesa contro le forme di distruzione della memoria, la quale è minacciata tanto da una soggettività dimentica del proprio fondamento, quanto dalle pressioni di un conformismo sociale e culturale”.


Il Papa ha il compito di orientare la memoria della fede, di guidare e di pascere la mia coscienza verso la verità, ed è una grazia straordinaria!! Se la Chiesa smettesse di aiutarmi in questa essenziale formazione, smetterebbe di essere Chiesa. Anzi, è proprio in questa formazione delle rette coscienze che la “La Chiesa intesa come «fiaccola» è chiamata ad accompagnare i processi culturali e sociali che riguardano la famiglia, per quanto ambigui, difficili e poliedrici possano essere”. Non ci sono altre vie: la Chiesa è il “grillo parlante” di Pinocchio, non si mette le orecchie d’asino per accompagnarlo nel paese dei balocchi, parodia del gioioso campo giochi della Chiesa. Altrimenti, si rischia di confondere la zizzania con il buon grano. Abbandonare all’oblio la legge naturale invece di insegnarla, perché difficile e incomprensibile ai più, è un peccato contro lo Spirito Santo. Distruttivo, perché impedisce la formazione della coscienza, cuore della fede cattolica. Il peccato contro lo Spirito Santo è terribile, perché imperdonabile: è il peccatore che nega il peccato, è il peccatore che dice che anche nel peccato c’è un po’ di bene, è dire che il male è bene e il bene è male: in una parola è l’apostasia dalla verità, apostasia che spegne la fiaccola, uccide la coscienza impedendo la conversione del peccatore. Senza verità, la carità non può esistere, è un inganno diabolico, perché la carità sgorga dalla verità. Molto profondo il pensiero di don Divo Barsotti: «I più gravi mali presenti oggi nel pensiero occidentale, ivi compreso quello cattolico, sono dovuti principalmente ad un generale disordine mentale per cui viene messa la “caritas” avanti alla “veritas”, senza pensare che questo disordine mette sottosopra anche la giusta concezione che noi dovremmo avere della Santissima Trinità. La cristianità, prima che nel suo seno si affermasse il pensiero di Cartesio, aveva sempre proceduto santamente facendo precedere la “veritas” alla “caritas”, così come sappiamo che dalla bocca divina del Cristo spira il soffio dello Spirito Santo, e non viceversa. […] “In principio era il Verbo”, e poi, riguardo all’Amore, “Filioque procedit”. Cioè l’Amore procede dal Verbo, e mai il contrario». Ribaltare questo ordine è diabolico! Scrive Chesterton nel suo “Tommaso d’Aquino”: «La falsità mai è tanto falsa quanto più è vicina alla stessa verità. Quando il dardo colpisce vicino al nervo della verità, la coscienza cristiana grida alto per il dolore». Mettere la caritas avanti la veritas è qualcosa di così «orribilmente simile, e di così orribilmente dissimile che (come l’Anticristo), potrebbe ingannare gli stessi eletti». Sono i frutti delle zizzanie, tanto simili al grano! In effetti, si potrebbe dire che il risultato che si ottiene è una parodia di Dio, che è simboleggiato nel profondo proverbio che «il diavolo è la scimmia di Dio», come le zizzanie sono la parodia del buon grano.
Io per primo riconosco di essere peccatore bisognoso di salvezza: la consapevolezza del mio peccato mi fa desiderare che qualcuno venga a salvarmi. E salvare vuol dire che qualcuno mi liberi da questa situazione, non che metta in pace la coscienza dicendomi che va bene così, per falsa misericordia. È come quando uno è in mare aperto e sa di non sapere nuotare fino a riva: spera che passi una nave, una barca, andrebbe bene anche un gommone o una tavola di legno, qualcosa insomma che possa dare la possibilità di arrivare sano e salvo a riva, che faccia uscire dall’acqua. Che aiuto sarebbe se passasse un peschereccio e invece di trarre in salvo il naufrago i pescatori lo valorizzassero lodandolo per come sa stare bene a galla? Nell’immediato magari darebbe sollievo psicologico, ma sarebbe la condanna a morte, morte eterna…

Maria, Rifugio dei peccatori, ora pro nobis.

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