Charlie Hebdo: no al laicismo autoritario
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Durante il suo ultimo viaggio in aereo, papa Francesco ha commentato i tragici fatti di Parigi con queste parole: «Ognuno ha non solo la libertà e il diritto ma anche l’obbligo di dire ciò che pensa per aiutare il bene comune. Avere questa libertà, ma senza offendere, perché è vero che non si può reagire violentemente, ma se il dottor Gasbarri, che è un amico, dice una parolaccia contro mia mamma, gli aspetta un pugno. Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri. (…) Ho preso questo esempio del limite per dire che nella libertà di espressione ci sono limiti, come nell’esempio di mia mamma».
Molti in questi giorni hanno insinuato che il papa, con queste parole, possa avere implicitamente sminuito le responsabilità degli autori del massacro del 7 gennaio. In realtà, il papa è stato molto chiaro: «Non si può uccidere in nome di Dio». L’esempio del pugno deve essere compreso fino in fondo. Quello che il papa intendeva dire è che una offesa verbale a noi stessi o a quanto di più caro abbiamo (che sia la madre o la fede religiosa) fa male come un pugno. E se qualcuno mi dà un pugno è umanamente comprensibile che mi venga voglia di restituirglielo. Ma attenzione: il papa comprende che una persona possa avere voglia di dare un pugno a chi la offende, ma non la autorizza a darlo veramente, tanto meno la autorizza ad usare un kalashnikov. Neppure le peggiori offese a Dio possono autorizzare un fedele ad uccidere chi le ha pronunciate. Ma come non è mai giusto uccidere chi offende una fede religiosa, così non è mai giusto offendere una fede religiosa.
In conclusione, il messaggio del papa è che la “libertà d’espressione” non comprende la libertà di offendere persone e fedi altrui: «nella libertà di espressione ci sono limiti». Queste parole hanno profondamente irritato gli oltranzisti della libertà d’espressione “senza se e senza ma”, che in questi giorni innalzano cartelli su cui c’è scritto “Je suis Charlie”. Convinti che non si possa mettere il più piccolo limite alla libertà d’espressione senza compromettere la tenuta della democrazia, accusano il papa di identificare il peccato col reato. Dal loro punto di vista, in uno stato laico offendere persone o fedi può essere considerato “peccato” ma non può essere considerato anche “reato”. In realtà, il papa meno di chiunque altro potrebbe fare confusione fra peccato e reato e disconoscere il principio della laicità, dal momento che sia la distinzione fra peccato e reato sia il concetto di laicità sono intimamente cristiani. Cristo infatti ci ha ordinato di tenere separato il potere temporale e il potere spirituale («Date a Cesare quel che è di Cesare a Dio quel che è di Dio») e di non scagliare pietre sui peccatori («Chi è senza peccato scagli la prima pietra»). A grandi linee, tutti i reati sono anche peccati, mentre non tutti i peccati sono reati. La differenza fra peccato e reato è che il primo è solo un atto immorale mentre il secondo è un atto immorale che danneggia in qualche maniera il prossimo. A questo punto, sarebbe opportuno chiarire con argomenti razionali, “laici”, che offendere qualcuno significa ledere apertamente i suoi diritti.
Per prima cosa, occorre riflettere sul concetto di “libertà d’espressione”. Che cosa può essere oggetto di espressione? Innanzitutto idee, che sono per definizione cose non materiali, prodotti della mente. Che la mente sia superiore al corpo lo sperimentiamo ogni istante. Qualsiasi azione stiamo compiendo, questa azione parte sempre dalla mente, che è fatta di coscienza, volontà e intelligenza. E come la mente muove il corpo, così le azioni “intellettuali” chiamiamole così, possono muovere le azioni “materiali”. Tralasciando adesso che gli uomini sono dotati di libertà e quindi possono anche liberamente respingere le idee altrui (il discorso è troppo lungo), sta di fatto che le idee di un uomo possono penetrare profondamente nella mente di altri uomini, spingendoli a compiere determinate azioni materiali, buone o cattive che siano. E in effetti, la storia occidentale degli ultimi secoli ci insegna che le idee sbagliate possono indurre enormi masse umane a fare cose sbagliate ossia a produrre catastrofi materiali spaventose. La rivoluzione francese, il massacro di Vandea e la ghigliottina è stata una conseguenze materiale dei discorsi dei giacobini, la rivoluzione d’ottobre e i gulag sono stati conseguenze materiali del Manifesto del partito comunista, la Seconda guerra mondiale e i lager sono stati conseguenze materiali del Mein Kampf. Il massacro del 7 gennaio è stato una conseguenza materiale della predicazione di certi imam. Si dice che ne uccide più la penna che la spada. Forse è più corretto dire che la penna “muove” la spada.
Se prendiamo coscienza del fatto che la penna ha il potere di dirigere la spada contro vittime innocenti, comprendiamo anche la necessità di porre limiti alla libertà d’espressione. E qui occorre discutere del concetto di libertà tout court. Secondo tutti i teorici del “contratto sociale”, nella società democratica liberale la libertà dell’uomo singolo finisce dove inizia la libertà dell’altro uomo. Non è vero che, siccome sono libera, posso fare quello che voglio: ad esempio non posso uccidere e rubare. E se è vero che non posso uccidere e rubare, deve essere anche vero che non posso scrivere libri in cui invito la gente a uccidere e a rubare. Insomma, in una società liberale non può essere lecito dire e scrivere qualunque cosa. In una società veramente liberale non dovrebbe essere consentito pubblicare un libro simile al Mein Kampf. Non dovrebbe neppure essere consentito a certi imam di fare prediche non proprio pacifiche nelle loro moschee.
Dunque, non solo non posso uccidere ma non posso neppure esprimere l’idea che sia giusto uccidere chicchessia. E invece, mi è forse lecito offendere terzi tramite parole o immagini? La questione è certamente più complessa, perché c’è offesa e offesa, ma andiamo subito al sodo. Se un vignettista pubblicasse su più numeri di un giornale di ampia tiratura più vignette in cui io sono ritratta come una pornodiva nel pieno esercizio della sua professione (e sul Charlie Hebdo può capitare di trovare vignette di questo tipo) credo che, prima ancora che arrabbiata, sarei profondamente turbata. Una simile ipotetica vignetta non lederebbe certamente in nessuna maniera il mio corpo e la mia proprietà, ma ferirebbe profondamente la mia psiche. Considerando che la mente e per estensione l’anima sono superiori al corpo, ebbene le ferite interiori possono essere molto più dolorose di quelle esteriori. Chi non ci crede, esamini bene i casi di suicidio di minorenni segnalati dalla cronaca. Quello che colpisce, è che la stragrande maggioranza dei ragazzini che hanno scelto il suicidio risultano essere stati oggetto di insulti e derisioni nell’ambiente scolastico o nell’ambiente virtuale dei social-network. Evidentemente, le offese verbali o scritte ripetute possono provocare in chi ne è vittima uno stato di angoscia e depressione che può favorire la comparsa della tentazione del suicidio. Il problema è che la cultura contemporanea, essendo intimamente materialista, fatica a concepire che le ferite inferte all’anima possano essere più gravi di quelle inferte al corpo. I primi a disconoscere la superiorità dell’anima rispetto al corpo sono proprio gli oltranzisti della libertà d’espressione, che in questi giorni fanno la voce grossa.
Ma torniamo alle ipotetiche vignette offensive contro di me. Oltre alle conseguenze psicologiche negative, potrebbero anche rovinarmi materialmente la vita: non potrei più camminare per strada senza essere derisa e probabilmente nessuno avrebbe più voglia di farsi vedere in pubblico in mia compagnia. Insomma, l’autore delle vignette che mi offendono, oltre che ferite psicologiche, mi infliggerebbe la morte sociale. A questo punto, io avrei il diritto di chiedere alla giustizia di punire l’autore delle vignette offensive, e credo che la giustizia avrebbe il dovere di accontentarmi.
Abbiamo stabilito che, almeno in teoria, nessuno dovrebbe avere il diritto di pubblicare parole o immagini che offendono me. Perché invece qualcuno dovrebbe avere il diritto di pubblicare parole o immagini che offendono una fede religiosa? Se riusciamo a capire che le offese ad una fede feriscono i fedeli tanto quanto le offese ai genitori feriscono i figli, possiamo riconoscere che i vignettisti del Charlie Hebdo hanno fatto male a pubblicare sul loro giornale le vignette anti-cattoliche che tutti conosciamo. Ma quale genere di sanzione avrebbe meritato quel giornale? Credo che sarebbe bastato che le autorità giudiziarie disponessero il ritiro dal commercio delle copie incriminate e obbligassero il giornale a pagare un sonoro multone, tanto per togliere ai vignettisti la tentazione di riprovarci. E risolti tutti i sospesi, amici più di prima.
Almeno in Italia esiste ancora il reato di vilipendio della religione cattolica. Perché non dovrebbe esistere allora anche il reato di vilipendio della religione islamica? Credo che nessun cattolico e nessun ateo in buona fede abbia difficoltà a riconoscere che il Charlie Hebdo ha fatto male a pubblicare le vignette anti-Islam che tutti conosciamo. Se dire “Je suis Charlie” significa approvare le gravi offese di Charlie verso i musulmani, noi cattolici non possiamo dire di essere Charlie.
Tutti i liberali autentici dovrebbero riconoscere che offendere persone e fedi non è “libertà” bensì violazione dei diritti altrui. Non a caso, come hanno notato molti osservatori, negli Usa, la nazione che ha fatto della “libertà” il suo valore fondamentale, un giornale come il Charlie Hebdo non durerebbe un giorno: svariate associazioni e comitati di cittadini ne chiederebbero la chiusura i tempo reale. Infatti, nell’America del “melting pot” non si tollerano offese né alle maggioranze né alle minoranze etniche e religiose. Nel paese in cui tutti sono più liberi, tutti stanno più attenti non ledere la libertà altrui. Se ognuno concepisse la sua libertà come “infinita”, tutti lederebbero la libertà di tutti e alla fine la democrazia liberale stessa sparirebbe sotto un cumulo di macerie e cadaveri.
Un giornale come il Charlie Hebdo non potrebbe apparire negli Usa perché non esprime i valori della democrazia liberale moderna, di cui gli Usa sono la culla (la rivoluzione americana precede quella francese e la supera). Un giornale come il Charlie Hebdo, che si è dato la missione di offendere e insultare ogni fede, esprime i valori del laicismo autoritario, che non a caso è nato proprio in Francia, all’ombra della ghigliottina. Secondo l’ideologia laicista ogni religione deve sparire dalla faccia della terra affinché l’uomo non abbia altro dio al di fuori dello Stato. E deve sparire anche la famiglia naturale: gli “enfants de la Patrie” non devono avere altra madre al di fuori della patria. Vediamo infatti che nella Francia laicista si possono pubblicare vignette oscene che ridicolizzano la fede altrui ma non si possono indossare magliette in cui è stampato il simbolo della “Manif pour tous”.
Stabilito dunque che gli autori delle vignette anti-Islam meritavano di essere sanzionati, quale sanzione avrebbero meritato? Il problema è che gran parte dei musulmani non si sarebbero accontentati di infliggere ai responsabili una pena pecuniaria, e forse non si sarebbero accontentati nemmeno della pena detentiva. Quello che sappiamo, è che tre musulmani ritenevano che l’offesa alla loro religione dovesse essere lavata col sangue dei vignettisti, e pur di versare il sangue dei vignettisti erano disposti a versare il loro. Non potevano non sapere che le probabilità di uscirne vivi fossero pochissime.
Oltretutto, sembra che alcuni musulmani possano sentirsi offesi de parole o immagini che non hanno davvero nulla di offensivo. Ad esempio, si sentono offesi dalle statuine del presepe e da Peppa Pig. Forse questi musulmani smetterebbero di fare gli offesi solo nel momento in cui nei nostri paesi venisse introdotta una legge come quella che in Pakistan ha spedito Asia Bibi nel braccio della morte. Le leggi contro la blasfemia in vigore nei paesi musulmani sembrano più che altro leggi contro la vita, la proprietà e la libertà dei non musulmani. Evidentemente, quello che offende certi musulmani non è tanto la blasfemia quanto la stessa esistenza di non musulmani. Negli ultimi giorni, le vignette apparse sull’ultimo numero del Charlie Hebdo hanno fornito ai radicali islamisti il pretesto per abbandonarsi, ancora una volta ai peggiori istinti omicidi, che scaricano contro gli innocenti cristiani dei loro paesi. C’è ragione di credere che, se il giornale satirico francese non avesse mai pubblicato nessuna vignetta anti-Islam, questi islamisti un altro pretesto per uccidere lo avrebbero trovato. Quindi, se dire “Je suis Charlie” significa condannare l’intolleranza di certi musulmani, anche noi dobbiamo dire “sono Charlie”.
Ma dire “Je suis Charlie” significa soprattutto dire: “Sto dalla parte dell’Occidente”. Senza dubbio, in questo nostro Occidente apostata la libertà d’espressione si è allargata troppo, fino a diventare libertà di offendere, insultare e diffondere pornografia. Ma se dobbiamo scegliere fra una civiltà in cui c’è troppa libertà d’espressione e una civiltà in cui non c’è libertà d’espressione, né nessun’altra libertà, non possiamo che preferire la prima. Se dobbiamo scegliere fra una civiltà in cui i vizi sono incoraggiati e una civiltà in cui i vizi sono considerati reati, ossia fra una civiltà in cui è “vietato vietare” qualunque cosa, anche i matrimoni gay, e una civiltà in cui si lapidano i gay, i bestemmiatori e le adultere, non possiamo che preferire la prima. Se dobbiamo scegliere fra una civiltà fondata sull’ateismo e una civiltà fondata sull’intolleranza, non possiamo che preferire la prima. Infatti, l’ateismo porta ancora i riflessi soprannaturali del Cristianesimo, secondo alcuni è perfino l’estrema eresia cristiana. Infatti, il Cristianesimo ha introdotto il concetto di libertà di coscienza, che coincide con la libertà di scegliere liberamente, nelle profondità della propria coscienza, fra la fede e l’incredulità. Se la fede fosse obbligatoria, se fosse imposta con la violenza, non sarebbe una virtù teologale. Cristo deve essere scelto per amore, non per paura. Cristo ha insegnato all’Occidente una cosa impossibile: “Perdonate i vostri nemici”. E i vignettisti superstiti del Charlie Hebdo hanno imparato questa cosa impossibile proprio da colui che avevano deriso e schiaffeggiato mille volte: “Tout est pardonné”. In conclusione, non possiamo che preferire la prima mille volte questa civiltà atea, edonista, decadente, corrotta e chi più ne ha più ne metta a una civiltà in cui non c’è libertà di coscienza, né amore, né perdono. E proprio perché la preferiamo mille volte e desideriamo che non soccomba ai suoi nemici, dobbiamo impegnarci a riportarla sotto la croce. In hoc signo vinces.