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“Difendiamo i Nostri Figli”

Autore:
Geretti, don Alessio
Fonte:
CulturaCattolica.it
Congresso Nazionale
del Comitato “Difendiamo i Nostri Figli”
Roma, 12 dicembre 2015
Intervento di don Alessio Geretti, dell’Arcidiocesi di Udine

Amici carissimi,

vengo dal Friuli Venezia Giulia, dove, per volontà del nostro Arcivescovo, stiamo lavorando a un coordinamento dei soggetti che a vario titolo hanno a cuore un obiettivo comune: agire e reagire insieme di fronte al tentativo organizzato, in atto a livello nazionale e su più larga scala, di manomettere la concezione della persona umana e di alterare le sue relazioni fondamentali, attraverso la comunicazione di massa, il sistema scolastico e la forzatura dell’ordinamento.

Posso condividere in sintesi con voi, per sostenerci reciprocamente, quanto è accaduto in Friuli negli scorsi mesi (1), dopo la manifestazione del 20 giugno scorso in Piazza San Giovanni in Laterano: specialmente nel territorio del pordenonese (per iniziativa di genitori e di associazioni intervenute in ambito scolastico) e a Udine (dove diverse realtà organizzate stanno agendo fino a congiungersi in un vero e proprio coordinamento ecclesiale), diverse iniziative hanno ottenuto risultati che danno speranza e incoraggiano a proseguire, a non rimanere inerti o ingenui di fronte a quel che sta accadendo a livello legislativo, formativo e culturale.
Devo però soprattutto condividere con voi la ragione per cui sentiamo il dovere di agire e reagire, di agire e reagire ancora, di agire e reagire insieme. La ragione di fondo è che appunto sono in atto tre gravi forzature, tre inaccettabili tentativi di forzare la realtà per adeguarla ad una visione della persona e della vita umana che è falsa e nociva.

I. Prima di tutto, c’è il tentativo di forzare l’ordinamento della Repubblica Italiana, che, a partire dalla sua Costituzione, è il frutto di una mirabile convergenza tra tradizioni culturali e giuridiche diverse e vivaci, che han saputo ricostruire il nostro paese dopo immani tragedie perché han riconosciuto insieme quali sono i fondamentali di una società sana. Il ritratto di persona, famiglia e società che in quell’ordinamento troviamo non è cattolico, anche se i cattolici hanno contribuito a delinearlo nitidamente: è semplicemente autentico, cioè corrisponde alla realtà.
Se la forzatura dell’ordinamento che si sta tentando, ad esempio con il disegno di legge Cirinnà, non riuscisse per deriva delle assemblee legislative – deriva favorita anche dal diffondersi del postulato per nulla evidente e per nulla accettabile che il nostro ordinamento dovrebbe di fatto “cedere” di fronte a un “ordinamento europeo” –, l’ordinamento si può forzare anche per scivolamento progressivo, un colpo alla volta, con registri di Comuni, deliberazioni di Consigli Regionali e con il sovvertimento di alcuni principi giuridici attraverso sentenze.
Il risultato, oltretutto, non è solo che si introducono norme sbagliate e diritti infondati, ma anche (e non è meno grave) che si rende completamente incomprensibili e quindi liberamente disprezzabili le buone ragioni per cui la famiglia è il fondamento di ogni società e il matrimonio è il fondamento della famiglia e gode del favore del diritto. Quando si scrivono certe nuove leggi, si rendono parallelamente insensate altre, cosicché non si vede più perché persone serie che intendano costituire famiglie serie dovrebbero farlo a fronte di un ordinamento non più serio nei confronti della famiglia.

II. Il secondo tentativo in atto è quello di forzare il pensiero.
Nel XXI secolo pare che dovremmo convincerci, come fosse ovvio, che siamo tutti immersi in una cultura discriminante, criptoviolenta, eterosessualista e omorepellente, causa essenziale di fobie e di intolleranze che deplorevolmente generano episodi di bullismo e di emarginazione.
Ora, assimilare un tale giudizio negativo sulla nostra cultura non è un esercizio di quella doverosa autocritica che va applicata verso qualsiasi concezione umana e verso ogni sistema di potere: è semplicemente un’aberrazione dello sguardo. Sarebbe come se, pensando a tutte le possibilità a cui i minorenni non hanno accesso per legge e per consuetudine (dall’alcool al voto), dovessimo detestarci e convincerci di essere causa degli episodi di disprezzo verso i minori e della violenza su essi! No, signori: chi fa del male a un bambino è perfido o malato, non è un tipico esponente della nostra cultura e del nostro civile ordinamento. Allo stesso modo, quando in Italia ci sono episodi di vera discriminazione e di violenza omofoba, questo non dimostra che avremmo tutti interiorizzato l’istinto del bullo eterosessualista e che saremmo tutti impregnati di stereotipi odiosamente discriminanti, ma semplicemente che purtroppo qualcuno non ha imparato a rispettare e ad amare il prossimo.
Nel XXI secolo pare, inoltre, che dovremmo convincerci che lo Stato può e anzi deve prendersi cura di un legame affettivo anche se tra due persone non c’è differenza sessuale o anche se tra due persone non c’è alcun patto di reciproca responsabilità. Ma non è così: l’ordinamento in uno Stato deve prendersi cura delle persone, permettere quei legami il cui fine è buono per la società e prendersi cura di quelli il cui fine è essenziale e prioritario per la società stessa. Nessuno di noi pensa, dunque, che lo Stato debba “punire” le unioni omosessuali o le persone che li vivono; ma per quale ragione giuridica dovrebbe prendersi cura della loro unione (ripeto: non dei loro diritti personali)? Specificando meglio: per quale motivo non si dovrebbe estendere allora tale cura direttamente a tutti i possibili variopinti intrecci affettivi, anche fra tre o più persone maggiorenni, di sesso diverso o uguale, alcuni dei quali vantano oltretutto secolari tradizioni culturali alle loro spalle (la poligamia presso certe società e religioni)? La ragione del numero due, nel patto matrimoniale e nell’attenzione che il diritto gli riserva, è il riconoscimento della pari dignità personale tra sessi diversi e la possibilità che la coppia generi figli: la procreazione, infatti, per ragioni genetiche che nessun parlamento può riformare, comporta l’unione sistematica dei patrimoni genetici di esattamente due individui. Perciò il diritto matrimoniale si occupa dei rapporti tra gli adulti sposati e i loro figli: il legislatore prende atto che nella realtà il matrimonio tra l’uomo e la donna è strutturalmente connesso con la possibile procreazione e educazione della prole. Per quale ragione, invece, il legislatore che decide di occuparsi del legame d’affetto tra due uomini o tra due donne, dovrebbe occuparsi anche della possibilità che essi siano o diventino genitori? Se ciò accadesse, sarebbe un estendere di fatto la disciplina matrimoniale a ciò che matrimonio non è, fingendo oltretutto di sapere benissimo la distinzione. Il fatto che due uomini o due donne si vogliano bene e il generare un figlio non hanno alcun nesso reale, se non nel capriccio degli individui. E se i figli c’erano già, le questioni che li riguardano vanno eventualmente affrontate rivedendo il diritto dell’adozione, che è la sede corretta per ragionare sul bene dei figli e non sui desideri degli adulti.
Nel XXI secolo, infine, pare che dovremmo convincerci che la nostra concezione dell’uomo e delle sue relazioni fondamentali è superata e anzi piuttosto limitante e obsoleta. Pazienza se essa è frutto della convergenza tra personalismo giudaico-cristiano, pensiero greco, diritto romano, tradizioni germaniche e slave e illuminismo moderno. Dovremmo una buona volta convincerci che questa visione vada abbandonata a causa delle sue premesse (sarebbe cioè falsa) e delle sue conseguenze (sarebbe cioè ingiusta). E se la realtà è che il maschile e il femminile sono l’uno per l’altro, che l’amore degno della persona umana tende alla stabilità, che la procreazione e l’educazione dei figli la esige a sua volta, e che nella famiglia c’è la migliore scuola possibile per imparare a rispettarci e a servirci reciprocamente con tutte le nostre differenze di età, sesso, tendenze, istruzione, salute, reddito e quant’altro, ebbene, tanto peggio per la realtà quando le idee contemporanee vanno in altra direzione!

III. Il terzo tentativo in atto, poi, è quello di forzare il discernimento, la capacità di giudizio anche dentro il mondo credente, snervandola un po’.
A furia di adeguamenti, innovazioni, riforme e modernizzazioni, si profila un genere di mondo sostanzialmente alternativo a quello pensato dal Creatore, per di più attraversato dalla pretesa di essere migliore del suo, più giusto e più felice. I credenti, su queste materie, non si preoccupano di difendere qualche modello ritagliato su misura per chi ha fede, qualche convincimento cattolico da imporre a chi cattolico non è: hanno soltanto ricevuto anche dalla fede la conferma di quello che, vivendo onestamente, ogni uomo coglie con la sua ragione, e cioè che la struttura della persona umana, quella che c’è di fatto – il credente può dire: quella che Dio ha voluto –, è buona, e le altre versioni proposte dalle culture o dai loro vaneggiamenti antichi o recenti comportano conseguenze cattive anche se fossero ispirate da intenzioni buone.
Poi, non possiamo essere ingenui: se non si reagisse, se non si prendesse posizione con chiarezza, anche chi ha un pensiero nitido rischierebbe di non essere più sicuro di quel che pensa.
Ma un punto, insidioso, merita ancora attenzione. Ci poniamo talvolta il problema di agire in modo da evitare di provocare spaccature. Ebbene, noi dovremo evitare il livore, l’arroganza, la mancanza di buon gusto; però, abbiamo abbastanza buona educazione da poter rimanere signorili senza diventare muti e confusi.
Dicono: «costruiamo ponti, non eleviamo muri».
Ma ora la questione sono proprio i ponti.
Qui la questione è che i ponti fondamentali, quelli che fanno vivere una società, li stanno facendo saltare vergognosamente coloro che propongono la confusione di genere o i disegni di legge di genere confuso.
Fanno saltare i ponti tra famiglia e scuola, tra l’identità psicologica e la propria carne, tra amore e responsabilità, tra i vincoli e i patti di cui una società vive e le sue leggi.
Noi non eleviamo muri: noi ricostruiamo i ponti minati!

Per queste ragioni possiamo e dobbiamo agire e reagire insieme.
E se talvolta si dice che dovremmo testimoniare piuttosto che manifestare, con ciò si dimentica che la pubblica manifestazione è una forma di testimonianza, altrettanto necessaria (e non solo legittima) della testimonianza domestica, quotidiana, da seme nascosto.
Potrà essere che si ottenga o meno un risultato, ma ci sono momenti e circostanze in cui occorre prendere posizione in forma chiara e manifesta a prescindere dall’effetto che si otterrà.
Chissà perché manifestare in strada dovrebbe essere lodevole solo quando reagiamo alla violenza del terrorismo e scendiamo in piazza cantando la marsigliese (che oltretutto è un testo piuttosto violento, a ben guardare).
Amici, è altrettanto lodevole manifestare e riempire piazze, anche senza bisogno di cantare, quando i nostri bambini e i nostri giovani rischiano d’essere falciati dalle più subdole e letali raffiche che ci siano: quelle della bugia organizzata.

Nota (1)
A Udine è stato proposto da un gruppo di associazioni un corso sulla differenza sessuale e sulla corretta educazione dell’affetto e del rispetto per l’altro: il corso, destinato a insegnanti e educatori, è stato seguito fedelmente da circa duecentotrenta persone. Anche a Pordenone è stato proposto un corso analogo, con significativa partecipazione.
Diversi soggetti, poi, come associazioni, parrocchie o gruppi informali, ma anche istituzioni come la Provincia di Udine, hanno proposto incontri di approfondimento sulla cosiddetta questione del gender e sui progetti o testi che talvolta vengono proposti nelle scuole allo scopo dichiarato di educare al rispetto e di prevenire omofobia, bullismo e stereotipi di genere.
Sono nati anche due coordinamenti.
A Pordenone, circa 300 famiglie si sono costituite in associazione, fondando il soggetto “Vogliamo educare i nostri figli”, nato nel maggio 2015 a scopo di informazione e azione, a fronte di progetti didattici proposti talvolta da organizzazioni come l’Arcigay ma anche da realtà come le Aziende Sanitarie. I progetti sono in atto o in fase di adozione (“Il gioco del rispetto”, “Porcospini”, “A scuola per conoscerci”). Dopo una serie di tensioni con tre dirigenze di istituti comprensivi – che sostenevano di non dover garantire alle famiglie alcun consenso informato su questo tipo di progetti, tesi sostanzialmente sostenuta anche dall’Ufficio Scolastico regionale, sebbene in contrasto con quanto dichiarato formalmente dal Ministro Giannini il 28 ottobre 2015 in Parlamento –, l’associazione “Vogliamo educare i nostri figli” ed altri soggetti sono stati convocati il 9 dicembre scorso in audizione dalla Commissione VI del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia, per discutere su questa materia: audizione movimentata ma comunque significativa.
A Udine, invece, l’Arcidiocesi, come dicevo, ha preso l’iniziativa di coordinare una serie di soggetti di sei tipi: uffici pastorali diocesani a qualche titolo competenti; movimenti ecclesiali; associazioni laicali (dal Forum delle associazioni familiari alle Sentinelle in piedi, dai Giuristi cattolici a Scienza e vita…); Centri di Aiuto alla Vita; Centri di studio; altre realtà non organizzate. Il coordinamento si prefigge di giungere ad una segreteria unitaria, ad una carta d’intenti contenente un manifesto sul quale chiedere la più adesione e alcuni obiettivi d’azione su cui convergere, ad un sostegno reciproco tra i soggetti coordinati e ad alcune azioni congiunte. Ci sembra importante ragionare instancabilmente e diffondere ragionamenti sani, informare genitori e comunità su quanto sta accadendo e proporre progetti corretti per l’educazione delle persone e della loro affettività.

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