Sarà ancora «Una presenza originale»?
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Un amico sacerdote, ricevendo il libro che con Amato ho pubblicato: «Per l’umano & per l’eterno», faceva notare, forse con meraviglia, che nessuna o quasi delle citazioni di Don Giussani figurava tra quelle abitualmente riportate da Carrón. E sì che di citazioni noi ne abbiamo fatte tante, e raccolte da quasi tutti i testi di Don Giussani, dagli inizi fino – mi pare – al 2002.
Facevo queste riflessioni leggendo «Una presenza originale», di Julián Carrón, appunti dall’intervento alla Assemblea con i responsabili di CL in Italia, del 27 febbraio 2016. E ripensando alla mia storia e a quel notevole libretto: «CL: un movimento nella Chiesa» con cui questa esperienza veniva presentata ai Vescovi italiani, mi rendo conto che questa esperienza e la sua verità riguarda tutti nella Chiesa, non solo i membri del Movimento, (come per esempio i pronunciamenti degli Scout – penso al Documento la «Carta del Coraggio», elaborato e votato a San Rossore nel 2014): ogni fedele può esprimere, se lo ritiene utile, la propria posizione e il proprio giudizio.
Del resto in questi ultimi tempi ci è stato chiesto da Carrón stesso di «aiutarci a capire quale contributo ci è chiesto in questo momento storico e come possiamo realizzarlo.»
In questi tempi da molte parti sono interrogato su quello che penso a proposito di quanto sta accadendo nel movimento. Molti amici mi scrivono, ponendo domande (che non sembra trovino luoghi adatti di confronto). In allegato due riflessioni che ci possono aiutare a riconoscere il valore e la bellezza della nostra storia, perché il bene che è il movimento, per chi l’ha incontrato e seguito e amato, torni a rifiorire. In questo mi sento confortato dalla bella omelia del Card. Scola ai membri di CL, là dove invita «alla sequela del carisma che lo Spirito diede a don Giussani così come ci raggiunge oggi», senza lasciarsi intimorire «nel necessario, continuo immedesimarsi all’esperienza e al pensiero del fondatore» dal pericolo di «cercare conferme per la propria interpretazione considerata, anche in buona fede, come l’unica adeguata. Questa posizione genera interminabili dialettiche e paralizzanti conflitti di interpretazione.» Capisco l’invito del Cardinale Scola come suggerimento per approfondire il cuore della esperienza, senza l’ossessivo ricorso a citazioni che a volte lasciano più interdetti che confermati.
Infatti, mi pare che nelle varie citazioni presenti nel documento di Carrón quello che maggiormente mi sconcerta è un uso della citazione staccato dal contesto, spesso parziale, e in contraddizione con il senso stesso dell’autore portato a conferma delle proprie affermazioni. E so bene che è difficile, quando si cita, rimanere nel senso esatto voluto dall'autore. È un rischio da correre, di cui essere consapevoli, e sempre disposto alla correzione.
Se avrete la pazienza di leggere gli allegati, troverete una documentazione abbondante di quanto qui asserito.
Alcune considerazioni a modo di domanda:
1. L’uomo di cui si parla e il suo desiderio sono concepiti in uno stato di natura pura, senza alcuna allusione al Peccato Originale (sta forse qui l’equivoco punto di partenza, al di là delle asserzioni, dal senso religioso piuttosto che dall’avvenimento di Cristo).
2. Il riferimento non è affatto la Dottrina sociale della Chiesa (spesso travisata nei suoi contenuti) ma una «situazione» letta in modo parziale e discutibile.
3. La storia della Chiesa e del movimento sembra avere una lettura difforme da quanto imparato da Don Giussani (basti pensare al giudizio sul Sillabo e sulla libertà religiosa, come pure alla fine dell’epoca costantiniana).
4. Nessuno, invocando un impegno a proposito della legge Cirinnà, ha mai preteso di imporre la morale con la legge (civile). E la considerazione del n. 73 della Evangelium vitae non coglie nel segno (come si può evincere dall’allegato).
5. Gli esiti educativi sono preoccupanti. Non solo numericamente, ma per una rinuncia alla presenza nel mondo con la propria identità. Per parafrasare Mons. Scola, sembra che la testimonianza si riduca «al necessario buon esempio», accettando conseguenze nefaste per la vita umana. Come ho sentito dire da alcuni giovani: «Non ci interessa il compromesso, non siamo al mondo per evitare il meno peggio o evitare lo scontro. Siamo al mondo per testimoniare, e se qualcuno ci attacca non lo lasciamo passare, offriamo l’altra guancia ma restando dritti e fermi.»
Una sola citazione di don Giussani per tutte: «Il potere mondano tende a risucchiarci: allora la nostra presenza deve fare la fatica di non lasciarsi invadere, e questo avviene non solo ricordando e visibilizzando l’unità tra noi, ma anche attraverso un contrattacco. Se il nostro non è un contrattacco (e per esserlo deve diventare espressione dell’autocoscienza di sé), se non è un gusto nuovo che muove l’energia di libertà, se non è un’azione culturale che raggiunge il livello dignitoso della cultura, allora l’attaccamento al movimento è volontaristico, e l’esito è l’intimismo.
L’intimismo non è presenza, per l’intensità e la verità che diamo a questa parola. Nelle catacombe si crea un proprio ambito, quando non si può fare assolutamente in modo diverso e si è nel dolore dell’attesa di una manifestazione.
La modalità della presenza è resistenza all’apparenza delle cose ed è contrattacco alla mentalità comune, alla teoria dominante e alla ideologia del potere; resistenza e contrattacco non in senso negativo, di opposizione, ma come lavoro.
Per indicare e per definire l’esprimersi di una presenza secondo una dignità anche semplicemente umana non esiste che la parola lavoro: cioè portare dentro tutto, su tutto, l’interesse della nostra persona.
La forza della nascita del nostro movimento è solo questa e nessuno immagina ora la ricchezza di reazione che qualificava i nostri primi gruppetti di fronte a ogni pagina che si studiava o ad ogni cosa che avveniva.»
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