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Fede e dubbio

Autore:
Mondinelli, Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it

La fede presuppone necessariamente la compresenza del dubbio? Ossia, si può essere fedeli e dubbiosi contemporaneamente? La risposta a queste domande è essenziale per sapere se siamo cristiani – cattolici, oppure no.
Cominciamo a definire cos’è il dubbio e partiamo dalla sua definizione sia linguistica, sia filosofica.

Linguistica:

Dubbio = incerto, non sicuro; che non è possibile determinare o definire con precisione: risultato dubbio; la notizia è ancora dubbia; una frase dubbia, di significato non chiaro; è dubbio se, non si sa se… http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=dubbio%201


Filosofica:

dubbio. Stato soggettivo d’incertezza, da cui risulta un’incapacità di scelte teoretiche o pratiche, essendo gli elementi oggettivi considerati insufficienti a determinarle in un senso piuttosto che in quello opposto. Sul piano gnoseologico, dubitare significa sospendere l’assenso nei confronti di proposizioni tra di loro contraddittorie; in questa accezione, esso si contrappone a credenza. http://www.treccani.it/enciclopedia/dubbio_(Dizionario-di-filosofia)/


Il dubbio, pertanto, è incertezza da cui risulta incapacità di scelta. È chiaro, già da ora, come la fede sia incompatibile con il dubbio: se c’è uno, allora non può esserci l’altro. Almeno in un mondo dove valga il principio di non contraddizione.
Su cosa si fonda la fede? Illuminante l’insegnamento di p. Cavalcoli:

Cominciamo con l’osservare anzitutto che la fede, qualsiasi fede, sia essa umana o teologale (cristiana) dice certezza, per cui essa per sua natura esclude il dubbio, sia esso intrinseco sia come condizione preliminare della possibilità della fede.
Esiste un dubbio che riguarda lo stesso atto di fede (ordo exercitii, fides qua): credere o non credere? Oppure può riguardare il credere in rapporto ai contenuti: so che cosa devo credere? (ordo specificationis, fides quae). È normale che chi non ha ancora trovato la fede si chieda se credere o non credere o che abbia dubbi. Ma una volta giunto alla fede, tornare al dubbio è colpevole. Una volta che abbiamo compreso di dover credere, se non crediamo, pecchiamo d’incredulità, un peccato molte volte condannato dalla Bibbia (II Re 17,14; Sap 2,22; 12,17; Mt 17,17; Mc 16,11.13; Lc 22,67; 24,25; Gv 3,12; 6,36.64s;10,25; At 28,24: II Ts 2,12; I Gv 5,10; Gd 5; I Pt 2,7s; Ap 21,8).



Interessante! Tornare al dubbio, dunque, è un peccato. Prosegue Cavalcoli:

Capita che in chi crede sorgano dubbi, ma questi sono tentazioni che vanno scacciate. È strano dunque quanto dice il Card. Martini: “Ciascuno di noi vive l’esperienza del credente e del non credente”. Come è possibile credere e non credere nello stesso tempo? E prosegue: “se uno si interroga a fondo sulla fede trova in se stesso delle parole, delle proteste, degli interrogativi, che possono essere quelli di ogni uomo che si pone il problema della fede”.
Ma io mi domando: se uno ha raggiunto la fede, come e perché dovrebbe ancora avvertire il problema della fede? Se un problema è risolto, perché si dovrebbe riproporre? In realtà quando giungiamo alla fede, se si tratta di vera fede teologale, ben radicata e profonda, niente e nessuno la può scalfire, se non siamo noi stessi volontariamente a mettere in dubbio l’indubitabile. Il problema della fede ha senso e ragion d’essere prima di giungere alla fede; ma una volta giunti alla fede, non ha senso rimettere in discussione il credere e ciò su cui si è raggiunta la certezza, magari con tanta fatica, ossia l’insieme delle verità di fede. I casi sono due: o non si è ancora giunti alla vera fede, e allora ha senso domandarsi se credere o non credere; oppure, se si è giunti alla fede, dubitare ancora non ha più senso ed è atto colpevole, è peccato contro la fede, apostasia o eresia. Invece peccato d’incredulità propriamente è il non voler credere a Cristo o alla Chiesa che ci propongono di credere, ossia quando si sa che si dovrebbe credere, perché ci sono motivi per credere. http://www.lavocedidoncamillo.com/2014/02/il-dubbio-di-fede.html


Per concludere con un pensiero forte (oggi politicamente scorrettissimo): sostenere che la fede è sempre unita al dubbio, anche nella coscienza di chi si professa cristiano e sostenere che chi non mette costantemente in dubbio la propria fede smette di cercare la verità significa adottare categorie di pensiero relativistiche, incompatibili con la dottrina cattolica sulla virtù teologale della fede.

San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia!

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