Hanno compiuto un delitto e l’hanno chiamato diritto
- Autore:
- Fonte:

Quello che il Parlamento italiano ha appena legiferato a proposito del «fine vita», e che la stampa di regime ha definito una novità che finalmente riconosce i diritti di tutti gli uomini, è segno del degrado culturale, morale e civile di una nazione, la nostra cara Italia.
È stata approvata una legge che conduce alla eutanasia, senza se e senza ma, con la consueta ipocrisia di applicarle un nome che pare accettabile, quell’acronimo DAT che, come la IVG, nasconde la sua natura assassina sotto sigle apparentemente neutrali (e misteriose).
E questo è accaduto nel silenzio imbarazzato (quando non complice) di tanto apparato cattolico. Forse questo è potuto addirittura accadere ispirandosi a quanto Papa Francesco affermava in questa intervista concessa alla Civiltà Cattolica tempo fa: «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione. Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza.»
Francesco è Papa in quanto Vescovo di Roma ed in quanto Papa è Primate d’Italia. Italia in cui da poche ore l’eutanasia è legge dello Stato. È questo - ritengo - il contesto giusto per parlare di difesa della vita, perché, se questo non è il contesto opportuno, significa che mai ci sarà un momento opportuno.
Non possiamo allora che ricordare quanto San Giovanni Paolo II ha affermato nella Evangelium Vitae nel numero 82 e la terribile preghiera rivolta a San Michele Arcangelo composta da Leone XIII, che riportiamo nella sua integralità.
82. Per essere veramente un popolo al servizio della vita dobbiamo, con costanza e coraggio, proporre questi contenuti fin dal primo annuncio del Vangelo e, in seguito, nella catechesi e nelle diverse forme di predicazione, nel dialogo personale e in ogni azione educativa. Agli educatori, insegnanti, catechisti e teologi, spetta il compito di mettere in risalto le ragioni antropologiche che fondano e sostengono il rispetto di ogni vita umana. In tal modo, mentre faremo risplendere l’originale novità del Vangelo della vita, potremo aiutare tutti a scoprire anche alla luce della ragione e dell’esperienza, come il messaggio cristiano illumini pienamente l’uomo e il significato del suo essere ed esistere; troveremo preziosi punti di incontro e di dialogo anche con i non credenti, tutti insieme impegnati a far sorgere una nuova cultura della vita. |
Che ci resta da fare? Dobbiamo riprendere quanto già il beato cardinal Newman scriveva a proposito della storia della Chiesa, quando riconosceva che, in certe epoche storiche, sono stati proprio i laici a salvarla, confidando nella grazia del Signore. E dobbiamo anche ricordare quanto, nei loro interventi, alcune importanti personalità del mondo pro-life, che si riconoscono «fedeli alla Chiesa, ma non ai pastori che sbagliano», hanno appena pubblicato e che possiamo leggere qui: https://www.fidelitypledge.com/it/
Quello che ci è chiesto è di continuare a testimoniare quella fede che diventa cultura, consapevoli di quell’invito che papa Francesco faceva ai politici, quando affermava che compito del politico è anche quello di abrogare le leggi ingiuste (e domandiamoci se non sono ingiuste le leggi sull’aborto, sulle coppie omosessuali e questa sul fine vita). Certo è che in questo tempo drammatico la nostra forza sta solo nel Signore. Non possiamo illuderci di avere sponde politiche che ci possano sostenere. Almeno tra coloro che in questi anni ci hanno governato.