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Anteprima di un'indagine sulla classe intellettuale cattolica

Autore:
Magister, Sandro
Fonte:
www.chiesa.it



Lo scontro religioso e politico che oppone la "classe" degli intellettuali cattolici progressisti alla linea impersonata dal cardinale Camillo Ruini, vicario del papa e presidente della conferenza episcopale […] non è un fenomeno soltanto italiano.

Lo prova una recentissima indagine condotta in Italia dai sociologi della religione Luca Diotallevi e Roberto Cipriani tra più di mille intellettuali cattolici.

I risultati dell'indagine mostrano una forte affinità tra la cultura religiosa e politica di larga parte degli intellettuali cattolici italiani e quella di analoghi ceti intellettuali in Europa e negli Stati Uniti.

In particolare mostrano l'adesione di questi intellettuali cattolici agli orientamenti della "knowledge class" secolarizzata che domina la pubblica opinione sia in Italia, sia negli Stati Uniti, sia in genere nei paesi di capitalismo avanzato. Sulla "knowledge class" americana ha scritto pagine di grande interesse il decano dei sociologi della religione negli Stati Uniti, Peter L. Berger, di fede luterana e ferrato in teologia, in un libro di dodici anni fa tradotto anche in Italia.

L'indagine condotta da Diotallevi e Cipriani ha intervistato un campione largamente rappresentativo dell'intelligencija cattolica italiana. Per l'esattezza:

- 700 appartenenti al Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale, MEIC, il ramo colto dell'Azione Cattolica;
- 296 iscritti all'Istituto di Scienze Religiose di Padova;
- 100 studenti della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, FUCI;
- 61 studenti, seminaristi e novizi, dell'Istituto Teologico di Assisi.

Gli intervistati hanno tra loro vari elementi in comune: hanno alti livelli di istruzione, fanno parte di organizzazioni ufficiali della Chiesa, si occupano della trasmissione delle conoscenze religiose e si ispirano alla "linea conciliare" dominante nel cattolicesimo colto italiano dell'ultimo mezzo secolo.

Ebbene, interrogati su politica ed economia, la grandissima parte di loro manifesta un orientamento marcatamente statalista:

- il 44 per cento degli intervistati ritiene che lo stato dovrebbe dare a tutti un posto di lavoro;
- il 48 per cento ritiene che il mercato del lavoro dovrebbe essere reso più rigido e meno flessibile;
- in numero elevatissimo vogliono che lo stato abbia il controllo delle imprese più importanti.

L'opposizione al libero mercato di questi intellettuali cattolici è più forte di quella, già alta, della media nazionale degli italiani.

E l'antiliberismo degli intervistati tanto più cresce quanto più essi sono vicini al cuore dell'organizzazione della Chiesa.

È un antiliberismo capace di opporsi anche agli indirizzi della gerarchia, quando questa si schiera contro il monopolio statale - come è avvenuto di recente in Italia nei campi della scuola e della sanità.

Per quanto riguarda la scuola, il 72 per cento degli intellettuali cattolici intervistati (in buona parte essi stessi insegnanti) chiedono una presenza dello stato ancora più estesa di quella attuale, che in Italia è già amplissima. Mentre solo il 18 per cento pensano che ci voglia un'offerta educativa più libera, diversificata e competitiva.

Nel campo della sanità è lo stesso. Anche qui l'opposizione al libero mercato cresce col crescere del grado di istruzione e di partecipazione religiosa di ciascun intervistato.

Ma la divaricazione non si verifica solo in questi due campi. Lo statalismo di tanti intellettuali cattolici fa resistenza contro l'intera recente evoluzione della dottrina sociale della Chiesa, ai più alti livelli. Essi non accettano, semplicemente, la valutazione positiva del capitalismo liberista espressa da Giovanni Paolo II nell'enciclica del 1991 "Centesimus Annus".

Inoltre, per quanto riguarda l'Italia, lo statalismo che oggi domina tra gli intellettuali cattolici fa a pugni anche con parte della loro storia: perché contrasta col liberismo d'impronta anglosassone di uno dei loro padri ispiratori dell'inizio del Novecento, don Luigi Sturzo. Nella seconda metà del secolo XX gli intellettuali cattolici italiani sostituirono a Sturzo due nuovi maestri di opposto orientamento: Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira. Dossetti, prima politico, poi monaco e sacerdote, teologo e perito conciliare, assegnava allo stato la missione di "riformare" la società. E il partito della Democrazia Cristiana, al potere fino al 1994, tradusse lo statalismo in pratica di governo, per un lungo tratto con l'approvazione della gerarchia della Chiesa.

Oggi che la Democrazia Cristiana non c'è più, la cultura di questi intellettuali cattolici ha trovato il suo sbocco naturale nella "knowledge class" dell'intelligencija progressista e nelle sue mobilitanti "societés de pensée".

E ha fatto bersaglio delle proprie critiche antimoderne sia il Giovanni Paolo II della "Centesimus Annus", sia, in misura molto più marcata, il cardinale Camillo Ruini, vicario del papa e presidente della conferenza episcopale italiana.

Restano aperte due domande, alle quali l'indagine non dà una risposta diretta.

La prima è: quanto influiscono le appartenenze di classe sull'orientamento statalista di tanta parte degli intellettuali cattolici?

In un paper presentato all'Università di Roma Tre con le anticipazioni dei dati dell'indagine, il professor Diotallevi scrive, del tutto in linea con l'analisi di Berger:

"Sull'opinione politica di un qualsiasi gruppo di cattolici italiani, la loro professione spiega molte più cose che non il livello di cultura o di partecipazione religiosa degli stessi. Se una ormai datata cultura statalista cattolica, accantonata da magistero e teologia, continua a sopravvivere e a prosperare tra gli intellettuali cattolici italiani e dell'intera Europa continentale, è perché essa ben si adatta al modello dello stato sociale di cui sono parte: un modello sì in seria difficoltà, ma pur sempre capace di offrire ai suoi beneficiati cospicui vantaggi materiali, o magari anche solo psicologici".

La seconda domanda è: che futuro hanno queste posizioni? È in corso nella Chiesa una crescita numerica della corrente cattolica progressista?

Anche a questo secondo interrogativo una risposta è già stata anticipata negli Stati Uniti, a partire da un famoso saggio del 1972 del sociologo e dirigente del Consiglio Nazionale delle Chiese Dean M. Kelley intitolato: "Why Conservative Churches Are Growing", "Perché le Chiese conservatrici sono in crescita".

La tesi di Kelley e il dibattito che ne seguì sono esposti in un recentissimo libro di Massimo Introvigne: "Fondamentalismi. i diversi volti dell'intransigenza religiosa", Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 2004, pp. 240, euro 12,90.

Tra le ragioni che spiegano ovunque la tendenziale diminuzione numerica degli orientamenti religiosi "liberal" (parola che in America sta per progressista) v'è la necessità che questi hanno di fronteggiare forti concorrenze non religiose. Scrive Introvigne: "Chi tende a impegnarsi per fini puramente umanitari o per battaglie liberal come quelle pacifiste, femministe o per i diritti degli omosessuali troverà Chiese dove si combattono queste battaglie in modo militante. Ma finirà per chiedersi se deve necessariamente partecipare alla vita di un'organizzazione religiosa per perseguire questi scopi. Dopotutto, ci sono organizzazioni laiche ben più attive ed efficienti che innalzano la bandiera del pacifismo, del femminismo o dei diritti degli omosessuali".

Negli Stati Uniti, la punta estrema di sovrapposizione tra cattolicesimo e battaglie ultra-liberal è rappresentata dai "Catholics for a Free Choice" che lo scorso 24 aprile hanno manifestato a Washington davanti alla nunziatura vaticana: "in support of abortion right, family planning and condom use to prevent HIV".

Anche le battaglie politiche per le quali si battono i cattolici progressisti italiani hanno poco o nulla di proprio e di distintamente religioso. Questo vale sia per lo statalismo, sia per il pacifismo che si è opposto alla guerra in Iraq.

In quest'ultimo caso, nell'arco di un anno l'effetto è stato di un drammatico declino di seguito e di incidenza. Mentre il 15 febbraio del 2003, al grande corteo contro la guerra che sfilava in Roma a poca distanza dal Vaticano, una presenza cattolica era chiaramente visibile, con gruppi, striscioni e bandiere, e i richiami al papa erano ricorrenti, nel corteo del 20 marzo 2004 i cattolici erano come spariti, salvo rare e poco significative eccezioni, e al papa più nessuno faceva cenno.

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