2021 06 09 UNA “BUONA NOTIZIA”, MA... ma chi restituirà 8 anni di vita a una coppia di innocenti?
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MYANMAR - Loikaw, ucciso un volontario del seminario cattolico
È stato assassinato senza ragione, durante un raid nell’edificio religioso, dove erano ospitati profughi e sfollati. Le forze di sicurezza terrorizzano la popolazione con spari, raid, perquisizioni. I sacerdoti cercano di fermarli, ma inutilmente.
Dal 15 febbraio al 15 maggio sono stati uccisi 73 giovani al di sotto dei 18 anni.
Un volontario che lavorava nel seminario pre-teologico della Chiesa cattolica nella capitale dello Stato Kayah, è stato ucciso dalle forze di sicurezza. L’uccisione è avvenuta due giorni fa durante un raid dei militari nell’edificio, con perquisizione stanza per stanza. Secondo alcuni locali, l’uccisione non aveva alcuna ragione, dato che il volontario non stava manifestando alcuna resistenza.
I soldati però sono molto tesi: da almeno una settimana i gruppi armati dei karen (Forze di difesa del popolo Karenni) hanno assaltato alcune basi e ucciso 40 militari. Per contrastare l’opera dei gruppi etnici armati, i soldati stanno provocando la popolazione con violenze e uccisioni. Il 24 maggio essi hanno bombardato la chiesa del Sacro Cuore a Kayantharyar, uccidendo quattro persone che vi si erano rifugiate. Il 28 maggio essi hanno colpito la chiesa di san Giuseppe a Demoso e hanno ucciso due giovani che recuperavano cibo per gli sfollati.
Per non rimanere alla mercé dei soldati, la popolazione cerca di radunarsi nelle chiese, nelle cappelle nei conventi e nel seminario. Per questo, da giorni le forze di sicurezza terrorizzano la popolazione con spari, raid, perquisizioni. I sacerdoti hanno cercato di fermarli, ma inutilmente.
I soldati continuano a far sentire la loro presenza violenta attorno al seminario, il convento delle suore e la casa per gli anziani di Loikaw. “Siamo ostaggi nelle loro mani”, racconta un giovane.
Per stancare la resistenza e le manifestazioni che si susseguono dai primi giorni del colpo di Stato, i militari colpiscono in modo letale puntando ai giovani.
Il ministero per i diritti umani del governo di unità nazionale – formatosi in esilio contro la giunta – ha dichiarato che dal 15 febbraio al 15 maggio sono stati uccisi 73 giovani al di sotto dei 18 anni (63 ragazzi e 9 ragazze).
Alcuni sono stati colpiti durante le manifestazioni; altri uccisi a freddo, durante le perquisizioni nelle case; altri ancora mentre essi giocavano per strada.
L’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici ha diramato un nuovo bilancio delle violenze della giunta: fino a ieri sera, gli uccisi sono 840; i prigionieri sono 4409.
di Francis Khoo Thwe, Loikaw (AsiaNews) 31/05/2021
MYANMAR - Bombardata un’altra chiesa cattolica nello stato Kayah
Nella città di Demoso, nello Stato di Kayah, in Myanmar orientale, la chiesa cattolica di Nostra Signora della Pace della parrocchia di Dongankha, nella diocesi di Loikaw, è stata intenzionalmente attaccata dall’esercito birmano e gravemente danneggiata. È la sesta struttura cattolica interessata da attacchi o raid dell’esercito. Secondo quanto riferisce all’Agenzia Fides un prete della diocesi, p. Paul Tinreh, non sono stati segnalati feriti o vittime, e la chiesa rientra tra gli edifici attaccati nella zona: diverse abitazioni sono state danneggiate o bruciate da bombardamenti indiscriminati di artiglieria compiuti ieri, 6 giugno, fin dalle prime ore del mattino.
La Chiesa locale da settimane ha messo a disposizione le proprie strutture a benefici degli sfollati che fuggono dai bombardamenti: accanto al complesso della chiesa, sorge una casa di riposo gestita dalla Suore della Riparazione dove, insieme con le religiose più anziane, si sono rifugiate circa 150 persone vulnerabili del villaggio di Dongankha, tra donne, anziani e bambini. “Con loro soggiorna anche il parroco ma in realtà, non sono al sicuro. Da quando lo stato Kayah è divenuto zona di guerra, nessun luogo è sicuro”, nota a Fides p. Francis Soe Naing, altro sacerdote locale.
“Abbiamo lanciato ai militari un appello a non attaccare le chiese perché molte persone, soprattutto quelle vulnerabili, si stanno rifugiando in esse. Ma l’appello è caduto nel vuoto. Uno dei motivi per cui stanno attaccando la Chiesa cattolica è che, collaborando con molti donatori, la Chiesa cattolica ha preso iniziative di soccorso per più di un terzo della popolazione totale dello Stato di Kayah (oltre 300.000 persone) che è stata sfollata con la forza a causa degli attacchi indiscriminati del regime militare”, aggiunge in un messaggio pervenuto all’Agenzia Fides il Gesuita p. Wilbert Mireh SJ. “Un’altra ragione è che attaccano le chiese è perché non hanno più un briciolo di umanità o di cuore”, rileva.
Nella parrocchia di Dongankha, intorno alla chiesa colpita ieri, vivono circa 800 famiglie cattoliche, per una popolazione cattolica è di circa 4.600 persone, assistite pastoralmente da 3 sacerdoti, 2 fratelli religiosi, 4 suore, 1 catechista e 15 volontari assistenti pastorali.
(PA-JZ) (Agenzia Fides 7/6/2021)
MYANMAR - Il Vicario di Loikaw: “Le chiese nel mirino dei militari”
È una situazione grave e drammatica quella della diocesi di Loikaw, nello stato birmano di Kayah (Myanmar orientale), dove infuria il conflitto tra esercito birmano e forze di difesa popolari che si oppongono alla giunta militare, dopo il colpo di stato del 1° febbraio. La Chiesa cattolica locale sta prodigandosi con ogni mezzo e risorsa per aiutare gli sfollati interni ma “le chiese sono nel mirino dei militari”: è quanto afferma in una accorata Lettera pastorale, inviata all’Agenzia Fides, padre Celso Ba Shwe, Vicario generale della diocesi cattolica di Loikaw. Data l’improvvisa scomparsa del Vescovo e la sede vescovile vacante, padre Celso Ba Shwe, Vicario generale, sta governando la pastorale ordinaria della diocesi.
Nella Lettera pastorale diffusa oggi, il Vicario riferisce degli intensi combattimenti tra esercito e forze della resistenza composte da giovani della società di ogni etnia e religione. In uno scenario critico dal punto di vista umanitario e precario per la sicurezza dei civili, “tutte le comunità religiose nella diocesi stanno dando rifugio e aiutando i civili nelle loro rispettive chiese ed edifici. Ma le chiese sono nel mirino dei militari”, afferma con seria preoccupazione.
Di fronte auna violenza e a una ferocia senza precedenti, con bombardamenti indiscriminati su donne, anziani e bambini sfollati, il Vicario esorta tutto il popolo di Dio “a ricorrere alla Vergine Maria e a recitare ogni sera alle 19:00 il Rosario per la pace e per il ritorno della stabilità in Myanmar”. Il testo della missiva sottolinea che “la popolazione è stanca e terrorizzata e ora, a causa dei bombardamento di chiese e monasteri, dove i civili avevano trovato riparo, sta fuggendo verso aree forestali che sono anch’esse non sicure”, nota.
(PA-JZ) (Agenzia Fides 8/6/2021)
UNA “BUONA NOTIZIA”, MA... ma chi restituirà 8 anni di vita a una coppia di innocenti?
PAKISTAN - Assolti due coniugi cristiani condannati a morte per blasfemia: vittoria della giustizia ma chi pagherà per la sofferenza di innocenti?
“E’ una vittoria della giustizia. E’ una vittoria della libertà. Ho portato questa missione nel nome di Cristo, per salvare due vittime innocenti. E’, allora, anche una vittoria di fede, perché abbiamo creduto nell’aiuto di Dio in questo iter. La Corte ha riconosciuto l’infondatezza delle accuse a carico di Shafqat Emmanuel e di sua moglie Shagufta Kausar, ingiustamente condannati per presunta blasfemia. Oggi siamo felici per questo esito positivo”: lo dichiara all’Agenzia Fides l’avvocato cattolico Khalil Tahir Sandhu, membro del collegio difensivo che ha portato avanti il processo di appello davanti all’Alta Corte di Lahore che ieri, 3 giugno, ha annunciato l’assoluzione della coppia cristiana condannata a morte per blasfemia nell’aprile 2014.
Aggiunge l’avvocato Sandhu: “Giustizia è fatta, ma chi restituirà 8 anni di vita a una coppia di innocenti? Chi pagherà per le false accuse? Chi restituirà otto anni di vita ai figli cresciuti senza genitori e senza un iter scolastico regolare? E’ necessario rivedere il meccanismo distorto che porta tali conseguenze e che genera tanta sofferenza per cui nessuno sarà individuato come responsabile”.
“Ci sono voluti 8 anni per ottenere giustizia per Shagufta Kausar e Shafqat Emmanuel, la coppia accusata di blasfemia nel luglio 2013. Con il verdetto che li rimette in libertà, ringraziamo Dio per questa buona notizia. Ora il compito di tenerli al sicuro è una priorità assoluta. Un pericolo è passato, ma condurre una vita normale per queste vittime è molto difficile, anche se l’Alta Corte le ha liberate. Speriamo e preghiamo perché trovino un luogo sicuro dove vivere”, commenta p. Bonnie Mendes, sacerdote di Faisalabad, in un messaggio inviato all’Agenzia Fides.
Shafqat Emmanuel e sua moglie Shagufta Kausar sono stati incriminati ai sensi dell’articolo 295 comma “C” del Codice Penale del Pakistan, per aver diffuso commenti offensivi nei confronti del profeta Maometto in messaggi di testo SMS inviati ai denuncianti Malik Muhammad Hussain e Anwar Mansoor Goraya. La coppia è stata condannata a morte (e ciascuno dei due è stato multato di 100.000 rupie) nell’aprile 2014 dal giudice distrettuale del tribunale di Toba Tek Singh. Negando ogni addebito, i due hanno presentato ricorso all’Alta Corte di Lahore e ora è giunta l’assoluzione con formula piena per non aver commesso il fatto. Due giudici del tribunale di Lahore, dopo aver ascoltato le argomentazioni dell’accusa e gli avvocati della difesa, hanno annullato la condanna a morte e hanno ordinato il rilascio dei due detenuti, che erano in carceri separate.
Nel caso di Shafqat e Shagufta, la disavventura era cominciata a causa di una piccola lite tra i loro figli e i figli dei vicini. Dopo il diverbio è stato architettato un complotto: il denunciante Malik Muhammad Hussain, con l’aiuto di un suo amico, è riuscito a rubare una copia della carta d’identità di Shagufta per ottenere una scheda SIM a lei intestata. Nella sua deposizione Shagufta ha affermato di non averla mai vista nè usata e che Malik Hussain ha egli stesso redatto e inviato messaggi di testo blasfemi, a nome della donna. Nel corso delle indagini è emerso che gli SMS inviati erano redatti in inglese, mentre entrambi gli imputati sono analfabeti, non conoscono la lingua inglese e parlano solo urdu, senza aver studiato. Gli agenti di Polizia, inoltre, non sono stati in grado di recuperare il cellulare e la SIM Card utilizzati per inviare gli SMS.
Kashif Aslam, vicedirettore della Commissione nazionale “Giustizia e la pace” (CCJP)dei Vescovi cattolici pakistani , apprezzando la decisione dei giudici, dichiara a Fides: “Questo verdetto è una sconfitta per tutti coloro che abusano delle leggi sulla blasfemia, per i circoli fanatici e per quei leader politici che negano l’esistenza di casi di blasfemia basati su false accuse, su abusi o indetti per scopi impropri; lo è anche per quanti diffamano le organizzazioni che si battono per i diritti delle minoranze religiose”. E ricorda: “In Pakistan la gente abusa della legge sulla blasfemia per litigi personali o rivalità; molte delle persone accusate di blasfemia vengono condannate a morte, vi sono perfino esecuzioni extragiudiziali. Bisognerebbe prevenire e approvare norme e meccanismi per far sì che la legge non venga abusata e strumentalizzata”, conclude.
(PA-AG) (Agenzia Fides 4/6/2021)