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2021 06 16 Hanno ucciso un bambino che ancora non gattonava e lasciato in vita la madre”

MESSICO - Sacerdote ucciso in una sparatoria ERITREA - Il governo requisisce le scuole cattoliche INDIA - Non si ferma la violenza sui cristiani MYANMAR - Preti cattolici arrestati e rilasciati IRAN - L’Iran espelle una suora italiana dal Paese MEOTTI: “Hanno ucciso un bambino che ancora non gattonava e lasciato in vita la madre”

MESSICO - Sacerdote ucciso in una sparatoria tra cartelli del narcotraffico

Il Ministro Provinciale della Provincia Francescana dei santi Francisco e Santiago in Messico, padre Angel Gabino Gutiérrez Martinez, OFM, ha informato della morte violenta del suo confratello, padre Juan Antonio Orozco Alvarado, OFM, vittima, insieme ad altre persone, di uno scontro fra bande armate tra i cartelli che si disputano il territorio.
La comunicazione del Superiore francescano porta la data del 12 giugno, ed è pervenuta a Fides domenica 13 giugno festa di Sant’Antonio di Padova. La notizia è stata confermata da una nota della Prelatura di Jesús María (del Nayar), suffraganea di Guadaljara, che indica la mattina di sabato 12 giugno come data del sanguinoso evento, in cui oltre al sacerdote ci sono altri morti e feriti.
La comunità cattolica di Guadalajara ha riferito che il sacerdote ha perso la vita mentre si stava recando a celebrare la messa nella comunità di Tepehuana de Pajaritos. Alcuni membri armati del cartello di Jalisco Nueva Generación (CJNG) e del cartello di Sinaloa hanno iniziato ad attaccarsi a vicenda, il sacerdote e il piccolo gruppo di fedeli della comunità che lo avevano accolto e con lui si stavano recando in chiesa, si sono trovati nel mezzo dello scontro.
Padre Juan Antonio Orozco Alvarado aveva 33 anni, era parroco a Santa Lucía de la Sierra, nel municipio di Valparaíso nello stato di Zacatecas, Jalisco. “Padre Juanito”, come era conosciuto, aveva iniziato solo 6 mesi fa il suo lavoro pastorale nella zona.
La Conferenza Episcopale Messicana (CEM) ha deplorato il fatto, auspicando che Nostra Signora de Guadalupe “consoli il nostro dolore con il suo cuore di madre e ripristini la giustizia e la pace nella nostra società”. La CEM ha inoltre ricordato che Fray Juan - originario di Monclova - è stato “vittima della violenza che esiste nel nostro Paese”.
(CE) (Agenzia Fides 14/06/2021)

ERITREA - Il governo requisisce le scuole cattoliche. I vescovi: usano solo la forza
Nuovo giro di vite del regime di Asmara contro la Chiesa cattolica. Dopo le strutture sanitarie e le scuole superiori chiuse o requisite 20 tra scuole materne ed elementari. Dura protesta dei presuli.

Dura protesta dei vescovi cattolici eritrei contro la chiusura forzata o il sequestro di altre 20 scuole della Chiesa voluto dal regime di Isaias Afewerki. Una lettera datata 26 maggio e consegnata al ministro dell’Istruzione asmarino esprime la ferma opposizione dei quattro presuli alla seconda, imminente ondata di «nazionalizzazioni» con la prossima requisizione di 20 istituti, mentre 9 tra materne e primarie diocesane e di congregazioni religiose – a volte interne alle strutture ecclesiali o alle case religiose – sono state già sequestrate o chiuse. (...)

Si tratta dell’ultimo tentativo in ordine cronologico di mettere a tacere la scomoda chiesa cattolica, da molti considerata, con le lettere pastorali e le omelie di sacerdoti e vescovi, l’unica voce libera e autorevole rimasta in Eritrea, oppressa da un regime considerato tra i più repressivi al mondo dagli organismi per le libertà civili, e trasformata da un ventennio in uno stato caserma con un servizio di leva a vita che inizia all’ultimo anno delle superiori che si terminano nel campo di addestramento militare di Sawa. Tutto questo per mandare forze fresche a combattere nel Tigrai a fianco dell’esercito federale etiope.

La somma dei provvedimenti repressivi in 20 anni ha provocato l’esodo da quello che è diventato uno dei Paesi più poveri del globo di almeno un milione di eritrei su una popolazione di cinque milioni. Il regime ha impresso un giro di vite contro l’istruzione non statale da tre anni, prima nazionalizzando le scuole superiori cattoliche e poi l’anno scorso, agli inizi della pandemia che ha portato alla chiusura nazionale di tutte le scuole per un anno, ponendo unilateralmente i sigilli alla scuola italiana di Asmara pagata da Roma.

Sempre nel 2018 il governo requisì e chiuse all’improvviso le strutture sanitarie ecclesiali, perlopiù finanziate dalla carità di tutto il mondo, privando la popolazione delle poverissime aree rurali persino dell’assistenza ambulatoriale gratuita. Il pretesto è l’applicazione di una legge del 1995 che assegna allo Stato il monopolio in campo educativo e sanitario. Sul punto i vescovi, ribadendo il diritto di libera scelta educativa delle famiglie e denunciando il ricorso del regime «come principio e come metodo, alla forza, anziché al dialogo e all’intesa» nella lettera di maggio non indietreggiano difendendo anzi la proprietà legittima della Chiesa di scuole e istituzioni sanitarie dalle menzogne messe in giro da esponenti governativi.

«Si tratta di un’aperta contraffazione della verità, congegnata per confondere le idee. Ed è giusto che noi, vescovi cattolici dell’Eritrea, ne denunciamo tempestivamente l’innegabile falsità. Sia detto senza esitazione e senza remore di sorta ancora una volta ad amici e non: le scuole e le cliniche confiscate o chiuse, o in procinto di esserlo, sono di legittima proprietà della Chiesa cattolica, costruite, istituite e organizzate coi propri mezzi nel supremo interesse del servizio al nostro popolo». Con un urlo nel silenzio, i presuli concludono ribadendo i propri principi di dialogo, pace e reciproco rispetto.

Nella sua relazione appena presentato all’Onu, lo speciale rapporteur dell’Onu per l’Eritrea ha confermato che sul fronte dei diritti civili nulla è cambiato nel piccolo paese del Corno d’Africa, anzi. Al rapporteur è stato ancora una volta negato l’ingresso in territorio eritreo e le autorità si sono rifiutate di collaborare, si legge nel resoconto.

Inoltre il rapporteur afferma che truppe somale addestrate in Eritrea sono state impiegate in Etiopia, nel conflitto del Tigrai in violazione del diritto internazionale. L’indagine ha preso il via dopo l’appello di alcune famiglie somale i cui figli sarebbero stati arruolati e dei quali si sarebbero perse le tracce. Mogadiscio ha sempre negato tale coinvolgimento.
(Paolo Lambruschi venerdì 11 giugno 2021 Avvenire)

INDIA - In mezzo alla pandemia non si ferma la violenza sui cristiani

Nei primi cinque mesi del 2021, in 151 giorni dell’anno in corso, nonostante la grave situazione pandemica, sono avvenuti in India 127 episodi di violenza sui cristiani: lo comunica all’Agenzia Fides lo “United Christian Forum” (UCF), riportando i dati ottenuti dall’apposito “Numero verde”, linea telefonica attivata per monitorare gli episodi di violenza sui fedeli nel paese. Tra le denunce registrate al numero verde dai cittadini cristiani indiani, vi sono attacchi di folla o minacce e intimidazioni di varia natura, per motivi di appartenenza religiosa. “Inoltre si nota la tendenza a non depositare il First Information Report (FIR), la denuncia ufficiale consegnata alla polizia, che è stata presentata solo in 15 casi su 127 episodi di violenza”, nota a Fides A.C. Michael, laico cattolico e leader dell’UCF.
Secondo i dati inviati a Fides, lo stato del Chhattisgarh, nell’India centrale, guida il conteggio del maggior numero di incidenti (19), mentre 17 casi si sono verificati in Karnataka e Jharkhand. la violenza religiosa, si nota, può essere esacerbata dalle condizioni di povertà e indigenza dovute alla pandemia, su tutto il territorio nazionale.
In questi incidenti sono rimaste ferite 555 donne, 120 dalit e 189 tribali. Gli episodi di violenza religiosa, nota l’UCF, “sono diventati così comuni che nessuno sente più il bisogno di condannarli, compresi i leader politici, della società civile e religiosi”, afferma Michael, segnalando il pericolo dell’indifferenza. Grazie agli interventi di avvocati e volontari che forniscono assistenza legale e sociale gratuita, nei primi sei mesi dell’anno in corso 28 luoghi di culto o incontri di preghiera sono stati riaperti mentre 66 fedeli cristiani fermati dalla polizia sono stati rilasciati.
UCF, con sede a New Delhi, è un’organizzazione che promuove i diritti fondamentali e civili ed è un organismo cristiano interconfessionale che si batte per i diritti della minoranza cristiana. Opera con partner di rete come Alliance Defending Freedom India, Religious Liberty Commission of Evangelical Fellowship of India (EFI) e Christian Legal Association. Insieme, tali organizzazioni promuoveno i diritti umani e la libertà religiosa in India.
Secondo il censimento del 2011, gli indù sono 966 milioni, l’80% della popolazione indiana di 1,3 miliardi. I cittadini musulmani sono 172 milioni (il 14%), mentre i cristiani sono 29 milioni, il 2,3%.
(SD-PA) (Agenzia Fides 11/6/2021)

MYANMAR - Preti cattolici arrestati e rilasciati dall’esercito: violenze a Mandalay

I militari birmani hanno arrestato e rilasciato sei sacerdoti cattolici e un laico cattolico nel villaggio di Chan Thar, nell’Arcidiocesi di Mandalay, 700 km a nord di Yangon. Come conferma all’Agenzia Fides p. Dominic Jyo Du, Vicario generale dell’Arcidiocesi di Mandalay, nella notte tra il 12 e il 13 giugno, militari birmani hanno fatto irruzione nel complesso della chiesa dell’Assunzione e nella annessa casa del clero arrestando il parroco e altri sacerdoti che erano in visita da lui, compiendo una capillare perquisizione della struttura. L’irruzione è stata motivata dal fatto che, secondo alcuni informatori, alcuni parlamentari della Lega nazionale per la democrazia si nascondono in chiese cattoliche e monasteri buddisti. Nel blitz compito nelle ore notturne, i militari hanno divelto il cancello del complesso della chiesa cattolica dell’Assunzione, costruita 200 anni fa dai missionari francesi delle Missioni Estere di Parigi (MEP). A causa dell’arrivo dell’esercito, molti abitanti del villaggio, compresi anziani, donne, malati, sono fuggiti nelle vicine foreste e poi il giorno dopo, alla fine dell’operazione, sono potuti rientrare nelle loro case.
Come riferisce p. Dominic Jyo Du, dopo una notte di interrogatori in stato di fermo, il 13 giugno, intorno all’1,30 di pomeriggio, tutti sono stati rilasciati: “è stata comunque un’esperienza terribile, dal carattere intimidatorio. Non sono stati maltrattati o torturati ma, quando a un sacerdote è stato intimato di spogliarsi dell’abito sacro, il parroco si è opposto, dicendo che avrebbero potuto anche ucciderlo, ma non l’avrebbe fatto. È stato coraggioso. I militari non hanno insistito e li hanno rispettati. A volte i militari rispettano gli uomini di Dio, a volte no. Dipende dalle persone”.
La gente del luogo ha potuto riabbracciare i preti cattolici. Nel villaggio di Chan Thar si ricorda il primo sacerdote missionario cattolico francese, p. Joseph Pho, MEP, che arrivò in questo villaggio nel 1902, mentre oggi nel villaggio è ancora operante una clinica aperta dalle suore francescane nel 1919. La presenza cattolica è molto apprezzata da tutta la popolazione.
Nell’attuale situazione di crisi, migliaia di persone di ogni ceto sociale vengono arrestate, incarcerate “a causa di informazioni errate, fornite da informatori pro militari”, segnala una fonte di Fides. A Mandalay proseguono gli scontri tra le locali di difesa del popolo (People’s Defence force) e agenti di polizia e dell’esercito birmano che continuano a compiere raid e perquisizioni notturne nelle case, in edifici civili come scuole, in luoghi di culto come chiese, pagode, monasteri. In risposta le forze della resistenza si organizzano per colpire obiettivi militari.
Mandalay, antica capitale della Birmania (oggi Myanmar) prima dell’arrivo degli inglesi, è disseminata di templi buddisti e rappresenta lo spirito mistico del paese, segnata dal buddismo Hinayana.
(PA-JZ) (Agenzia Fides 14/6/2021)

IRAN - L’Iran espelle una suora italiana dal Paese
Negato il rinnovo del visto alla settantacinquenne suor Giuseppina Berti

La settantacinquenne suor Giuseppina Berti, che per 26 anni ha lavorato nel lebbrosario di Tabriz e che ora da pensionata vive ad Ispahan nella casa della Congregazione delle Figlie della Carità, dovrà lasciare l’Iran nei prossimi giorni. Non le è infatti stato rinnovato il visto e ha dunque ricevuto il foglio di via. La sua partenza renderà difficile la permanenza dell’altra consorella, l’austriaca suor Fabiola Weiss, 77 anni, 38 dei quali dedicati ai poveri e ai malati del lebbrosario, alla quale invece il rinnovo del permesso di soggiorno è stato concesso per un altro anno.

Le due religiose, che hanno dedicato la vita ai malati del Paese, senza distinzioni di appartenenza religiosa o etnica, si vedono costrette ad abbandonare la casa della Congregazione, costruita nel 1937. In Ispahan, le Figlie della Carità si erano dedicate per anni all’istruzione e alla formazione dei giovani. Va ricordato anche il loro impegno a favore di centinaia di bambini polacchi, rifugiati e orfani di guerra, giunti in Iran nella primavera del 1942. Infatti nella città, le religiose gestivano una grande scuola, confiscata poi dopo la rivoluzione del 1979. Negli ultimi anni, le due suore non svolgevano alcuna attività esterna, per evitare di essere accusate di fare proselitismo. La casa delle suore è attualmente l’unica realtà della Chiesa cattolica latina a Ispahan e la loro cappella, costruita nel 1939 è sede della Parrocchia “Vergine Potente”, che viene messa occasionalmente a disposizione dei visitatori per la celebrazione della Messa.
Questa è la realtà attuale della Chiesa cattolica in Iran: due arcidiocesi assiro-caldee di Tehran-Ahwaz e Urmia-Salmas, che hanno un vescovo e quattro sacerdoti (nell’estate del 2019 anche l’amministratore patriarcale di Teheran dei Caldei, Ramzi Garmou, si è visto negare il rinnovo del visto e non ha più potuto ritornare nel Paese); una diocesi armena nella quale vi è soltanto il vescovo e l’arcidiocesi latina che al momento non ha alcun sacerdote e aspetta l’arrivo del suo nuovo pastore recentemente nominato, monsignor Dominique Mathieu. Per quanto riguarda la presenza religiosa, nel Paese operano le Figlie della Carità, con tre suore a Teheran e le due suore a Ispahan. Ci sono inoltre due laiche consacrate. I fedeli sono complessivamente circa 3.000.

Con la partenza delle religiose si verrebbe a perdere definitivamente la presenza della Chiesa cattolica latina a Ispahan. Nel 2016, sempre nella città di Ispahan, era stata confiscata la casa dei Padri Lazzaristi. C’è da augurarsi che le autorità iraniane tornino sui loro passi e riconsiderino la decisione presa, permettendo alle suore di concludere la loro vita in questa terra che hanno tanto amato e servito con sacrificio e dedizione. (VATICAN NEWS)

Assolutamente da segnalare il lavoro del giornalista Giulio Meotti https://meotti.substack.com/
segnala costantemente notizie totalmente censurate dai media

“Hanno ucciso un bambino che ancora non gattonava e lasciato in vita la madre”
I sopravvissuti in Burkina Faso. Immaginate se i suprematisti bianchi avessero svuotato un villaggio di 8.000 persone perché della razza o fede “sbagliata”. Ma la parola “Islam” sui media è proibita
Giulio Meotti, 14 giugno 2021
Immaginate se i suprematisti bianchi avessero svuotato un intero villaggio di 8.000 persone, solo perché erano della razza o della fede “sbagliata”. La notizia sarebbe sulle prime pagine ovunque e in tutto il mondo, per giorni e giorni. Tuttavia, mentre le famiglie del villaggio di Solhan, nella provincia di Yagha, in Burkina Faso, sono scappate per salvarsi la vita per sfuggire ai jihadisti, i media irresponsabili non hanno dato alcuna priorità a questa storia come avrebbero dovuto.
A inizio giugno, il villaggio di Solhan è stato teatro dell’attacco terroristico più mortale che il paese abbia visto nella sua storia. FRANCE 24 ha parlato con Amadou, un giovane del villaggio sopravvissuto all’orribile massacro che ha provocato la morte di almeno 160 persone. “Li ho visti arrivare sulle moto” ha raccontato Amadou a FRANCE 24. “Ce n’erano più di cento, così tanti che non riuscivo a contarli. Hanno ucciso un bambino che non stava ancora gattonando e hanno lasciato in vita sua madre”.
Dettagli di questo racconto dell’orrore non dovevano trasparire sulla stampa, la stessa che proprio in Burkina Faso ha perso tre giornalisti europei a fine aprile in un altro attentato. “L’orrore! L’orrore!”, furono le ultime parole a chiudere Cuore di tenebra di Joseph Konrad, il suo capolavoro sospeso fra civilizzazione e barbarie.
L’orrore, come quello che a fine marzo, sempre in Burkina Faso, ha visto in un altro attentato l’uccisione di una donna incinta in una ambulanza e di un sacerdote spagnolo, Antonio César Fernández.
E se pensate che non censurino davvero, basta sapere che mentre leggiamo queste righe arriva la notizia di un’altra strage. Stavolta in Congo, 22 morti. Alcuni sono stati decapitati. Siamo in un paese dove la grande maggioranza (85-90%) della popolazione è cristiana. “Queste comunità cristiane sono attaccate da un gruppo estremista islamico con una chiara agenda espansionistica islamica”, ha dichiarato il portavoce di Porte Aperte Illia Djadi.
Alcuni abitanti del villaggio di Solhan sono stati uccisi mentre correvano ai ripari, altri mentre si nascondevano nelle case, altri mentre imploravano per la propria vita. Tra le vittime, tanti bambini. “La scena era apocalittica: uomini feriti, sanguinanti e storditi, si aggiravano tra i morti che giacevano ovunque”, ha raccontato un altro sopravvissuto. “Ho trovato il corpo del mio fratellino crivellato di proiettili”. Ad Oudalan, sempre in Burkina Faso, avevano appena ucciso oltre 30 abitanti del villaggio, molti dei quali partecipavano a un battesimo. Un testimone: “Il comandante ha ordinato agli uomini di sdraiarsi a faccia in giù, poi ha urlato ai suoi di eseguire le uccisioni”.
La stampa europea, la cui priorità è solo non sembrare “islamofoba”, non poteva che censurare questo e il prossimo orrore.

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