2021 07 07 La persecuzione dei cristiani, inarrestabile e nascosta dai media
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Meotti: “Ridatemi mio marito, ucciso davanti ai nostri figli solo perché cristiano”
PAKISTAN - Rapita la 14enne cristiana Shama. Il padre: “La polizia non indaga”
Quattro uomini hanno assaltato la casa di una famiglia cristiana e rapito la 14enne Shama. È successo nell’area di Ghaghar il 24 giugno
Quattro uomini hanno assaltato la casa di una famiglia cristiana e rapito la 14enne Shama. È successo nell’area di Ghaghar il 24 giugno; il caso, spiega AsiaNews, “è emerso solo in un secondo momento grazie alle pressioni dei media. Quando i genitori dell’adolescente sono andati alla stazione di polizia di Steel Town denunciare l’accaduto, gli agenti si sono rifiutati di registrare il caso”.
Shama e la sua famiglia si erano trasferiti a Ghaghar 10 anni fa nel tentativo di sfuggire alla povertà. La giovane lavorava con la sorella più grande Samina in una fabbrica farmaceutica, ma più volte si era lamentata delle molestie e delle minacce subite da Mohammad Ikhtiyar, una delle guardie di sicurezza. Secondo la madre della ragazza, Ikhtiyar e altri tre uomini armati hanno fatto irruzione nel tardo pomeriggio quando la maggior parte dei residenti si era già recata in moschea per pregare e le strade erano deserte.
Il padre, Baboo Masih, ha raccontato ad AsiaNews che solo dopo essersi rivolto ai media la polizia ha deciso di occuparsi del rapimento. In Pakistan avere rapporti sessuali con i minorenni può comportare la pena di morte o la reclusione fino a 10 anni. Kashif Anthony, coordinatore della Commissione cattolica Giustizia e Pace, ha però spiegato ad AsiaNews che teme che i rapitori possano produrre un certificato di conversione o un certificato di matrimonio per provare la loro innocenza: “Una pratica che in Pakistan spesso influenza le forze dell’ordine e impedisce ai cristiani di riavere le proprie figlie”.
(Avvenire - Redazione Internet giovedì 1 luglio 2021)
NIGERIA - Confermato il rapimento di un sacerdote di Maiduguri
“Preghiamo per la liberazione di p. Elijah Juma Wada. Sappiamo che è vivo e abbiamo la speranza di un esito positivo di questa triste vicenda. Al momento non posso aggiungere altro, per ovvi motivi” dice all’Agenzia Fides Sua Ecc. Mons. Oliver Dashe Doeme, Vescovo di Maiduguri, confermando il rapimento di p. Elijah Juma Wada, rapito il 30 giugno mentre si trovava lungo la strada tra Damboa e Maiduguri.
Il sacerdote, che presta servizio presso la parrocchia di Buma, a Shani, si stava recando a Damaturu per la messa di ringraziamento del decimo anniversario di un suo amico, P. Yakubu Inda Philibus.
Si sospetta che i rapitori appartengano a Bolo Haram, il gruppo islamista nato proprio a Maiduguri nel 2009, ma che negli ultimi anni si è scisso in alcune fazioni, di cui una ha proclamato l’adesione allo Stato Islamico.
Accanto ai rapimenti commessi da gruppi terroristici, vi sono quelli a scopo di estorsione che sono diventati una piaga endemica in Nigeria. A farne le spese vi sono pure sacerdoti e religiose nonostante da anni la Conferenza Episcopale nigeriana ha vietato il pagamento di riscatti. (L.M) (Agenzia Fides 6/7/2021)
INDIA - Scompare padre Swamy, il Gesuita indiano “martire della giustizia”
Il Gesuita indiano Stanislaus Lourduswamy, meglio conosciuto come padre Stan Swamy, arrestato ingiustamente per l’impegno in difesa degli adivasi (“abitanti originari” dell’India), è venuto a mancare ieri, 5 luglio, in un ospedale di Mumbai, nell’India occidentale. Aveva 84 anni. Come riferito dal dott. Ian D’souza, direttore dell’ospedale cattolico della Sacra Famiglia, dov’era ricoverato, il 4 luglio, in seguito a un arresto cardiaco era stato posto in terapia intensiva. Il decesso è avvenuto in seguito a una infezione polmonare, alle complicazioni post Covid-19 e al morbo di Parkinson, da cui era già affetto.
Il Gesuita era in stato di detenzione dall’8 ottobre del 2020, imputato per reati legati al terrorismo e attività sovversive. Secondo la National Investigation Agency (NIA), padre Swamy avrebbe promosso violenza e aiutato gruppi maoisti fuorilegge, accusa che il religioso ha sempre negato.
La NIA ha definito il “Comitato di solidarietà verso i prigionieri politici perseguitati”, un’organizzazione per i diritti umani in cui il gesuita era coinvolto, una “organizzazione di facciata di gruppi maoisti ed estremisti”. Anche la “Bagaicha”, organizzazione fondata grazie al contributo di padre Swamy per far sì che i tribali assumessero consapevolezza dei propri diritti, è stata etichettata “parte del fronte comunista ribelle”. Stan Swamy è stato arrestato con altre 15 persone, impegnate in Ong, per accuse legate al terrorismo. Tra gli arrestati figurano promotori per i diritti umani, giornalisti e studiosi arrestati in relazione a incidenti avvenuti nel 2018 in seguito a una manifestazione di dalit e tribali, nota localmente come “caso Bhima Koregaon”.
Osservatori indipendenti e membri della società civile in India affermano che padre Swamy era ritenuto un oppositore del governo perché combatteva per l’attuazione delle leggi, approvate dal Parlamento, che promuovono la vita dei popoli tribali e i loro diritti costituzionali.
Esprimendo la sua profonda tristezza, il cardinale Oswald Gracias, Presidente della Conferenza episcopale dell’India, ha affermato che “la vita e l’impegno per i poveri indigeni e le loro lotte intraprese da padre Swamy saranno ricordati per sempre”. “L’arresto di Stan è stata una ferita. Secondo il diritto penale indiano, si è innocenti fino a prova contraria. Il caso di padre Stan non è stato nemmeno ascoltato. Aspettavamo con impazienza che il caso fosse esaminato da un tribunale ed emergesse la verità”, ha affermato il Cardinale in una nota inviata a Fides. Il Cardinale, che il 21 gennaio di quest’anno aveva chiesto al Primo ministro Narendra Modi la liberazione di padre Swamy, ha osservato che il sacerdote “ha lavorato instancabilmente per i diseredati e gli oppressi, dando loro un senso di dignità ed elevandone la vita”.
Nel suo messaggio, mons. Felix Toppo, Arcivescovo di Ranchi, in Jharkhand, ha affermato che padre Swamy è stato “un paladino dei diritti tribali, un combattente per la giustizia e un simbolo di coraggio”. “Il fatto che un religioso, affetto da morbo di Parkinson, sia stato arrestato all’età di 84 anni, gli sia stata negata la cauzione, abbia contratto il Covid nel carcere è un fatto molto triste: hanno arrestato l’innocente e i tribunali hanno rifiutato di concedergli la cauzione.
Cedric Prakash, Gesuita indiano che ne ha seguito da vicino la vicenda giudiziaria, lo definisce “un martire per la giustizia e la pace, che ha vissuto l’intera vita nel servizio appassionato e disinteressato ai fratelli e sorelle emarginati”.
Secondo Gladson Dungdung, leader tribale del Jharkhand, “padre Swamy era un promotore dei diritti umani senza paura, sensibile e neutrale. Il governo dello stato - prosegue - lo ha chiamato ‘maoista’ per essersi opposto alla ‘Operazione Greenhunt’, condotta dal governo indiano, e lo ha chiamato traditore per aver sostenuto il Movimento Pathalgadi, che difendeva i diritti di indigeni innocenti. Alla fine, il governo ha messo dietro le sbarre quanti contestavano legalmente gli abusi commessi dalle forze statali. Quello di padre Swamy è per noi un omicidio di stato, che condanniamo fermamente”.
(SD-PA) (Agenzia Fides 6/7/2021)
Assolutamente da segnalare il lavoro del giornalista Giulio Meotti https://meotti.substack.com/
segnala costantemente notizie totalmente censurate dai media
“Ridatemi mio marito, ucciso davanti ai nostri figli solo perché cristiano”
I sopravvissuti all’eccidio di Solhan (160 morti). “Impongono la sharia. Chiese e parrocchie hanno chiuso, ci riuniamo in segreto”. Occidente dei diritti ma senza doveri, lo senti questo grido?
È stato un crescendo…
È iniziata in Algeria negli anni ‘90, quando 19 monaci, vescovi, suore e altri cattolici sono stati uccisi dagli islamisti. Da allora, in Nigeria, fedeli cristiani sono stati massacrati nelle chiese; in Kenya, cristiani sono stati uccisi nelle università; in Libia cristiani sono stati decapitati sulle spiagge; nello Yemen suore sono state assassinate e in Egitto c’è stata una massiccia violenza anticristiana. È l’”arcipelago africano” della persecuzione anticristiana. Da allora, tanti paesi dove gli occidentali andavano persino in vacanza sono stati risucchiati dal buco nero dei massacri anticristiani.
Purtroppo, questi cristiani si sono trovati nel punto cieco dell’Occidente: “troppo cristiani” per meritare l’attenzione della sinistra, “troppo africani” per mobilitare la destra. I cristiani perseguitati sono orfani. Non hanno “alleati”, scrive John O’Sullivan. “Il mondo occidentale si è da tempo abituato alla persecuzione dei cristiani, come se la loro cattiva sorte fosse inevitabile e dovesse essere semplicemente accettata” scrive il filosofo canadese Mathieu Bock-Côté scrive su Le Figaro. “La questione dei cristiani non dovrebbe risvegliare la civiltà europea alla sua identità fondamentale? Non dovremmo dire a noi stessi, in Europa e in Occidente, che questi attacchi sono rivolti anche a noi?”.
“Mentre sfama i suoi figli fuori dalla sua piccola tenda nel villaggio di Sebba, nella regione settentrionale del Burkina Faso, la 34enne Jessica Sinare ci fissa, sperando che uno di noi annunci la miracolosa resurrezione di suo marito. È stato assassinato in un attacco che ha causato la morte di oltre 130 persone all’inizio di giugno nel vicino villaggio di Solhan”.
Si apre così un drammatico racconto su Crux. Dovrebbe essere conosciuto da tutti, invece è considerato indegno dai news desk di tutta Europa.
“Voglio mio marito. Ho bisogno di lui ora”, piange questa madre di quattro figli. “Mi hanno spezzato il cuore e non li perdonerò mai. L’hanno ucciso davanti ai miei figli. Prego che Dio li punisca per le loro azioni e per le loro opere malvagie”.
Il 5 giugno, terroristi hanno fatto irruzione nel villaggio di Solhan, vicino al confine con il Niger, e massacrato uomini, donne e bambini nel cuore della notte. Sinare e più di 10.000 famiglie sono fuggite nei vicini villaggi per cercare rifugio. Sinare dice che i gruppi di uomini armati hanno trascinato le persone fuori dalle case e gli hanno sparato o fatte a pezzi. “Hanno minacciato di tornare e massacrare i restanti cristiani nella regione se si rifiutassero di convertirsi all’Islam”.
“Ho dovuto salvare i miei figli cercando rifugio a Sebba. Non ci tornerò mai. Non voglio che i miei figli muoiano. Gli aggressori stanno prendendo di mira i villaggi cristiani. Chi fornirà cibo e istruzione ai miei figli? Voglio chiedere alle persone di continuare a pregare per me e per i miei figli, così possiamo avere forza”.
Alex Mande, un catechista della diocesi di Dori, dice a Crux che molte parrocchie sono state chiuse a causa del terrorismo islamico. “Hanno attaccato duramente le chiese di questi villaggi, costringendoci a chiudere le parrocchie”.
Il vescovo Laurent Dabiré di Dori dice che Solhan aveva una vivace comunità cristiana. “Proprio come tutti gli altri in Burkina che sono presi di mira dal terrorismo, i cristiani sono stati sopraffatti dalla paura. Tuttavia, come cristiani, abbiamo più motivi per temere un’imposizione forzata dell’Islam. Sono in gioco la libertà religiosa e la loro vita”.
“Vogliono imporre una versione dura della Shariah (legge islamica) nelle regioni che controllano”, dice Joseph Sere, cattolico e insegnante nel nord del Burkina Faso. “Pertanto, chiunque si opponga alle loro convinzioni deve essere ucciso, in questo caso il bersaglio sono i cristiani”.
Sere ha detto che prima di fuggire dal villaggio di notte dormiva nella boscaglia. Ha detto di aver sentito i terroristi chiedere quali fossero le case dei cristiani. “Diverse chiese hanno chiuso e si riuniscono in segreto per paura”.
Ma la tragedia di questi cristiani è direttamente proporzionale all’incuria con cui vengono ascoltati in Occidente. “Uno dei fatti fondamentali della storia religiosa contemporanea è che i cristiani di tutto il mondo sono perseguitati su scala straordinaria”, ha scritto Ross Douthat sul New York Times. “Eppure questa realtà è appena visibile nei media occidentali, raramente chiamata per nome e affrontata dai governi occidentali e dalle istituzioni umanitarie. L’’islamofobia’ incombe; la ‘cristofobia è inesistente”.
“Se il Sahel crolla, ci sarà un effetto domino di insicurezza, violenza all’ingrosso rottura dei confini mentre gli sfollati interni si diffondono in tutto il Sahel, prima in paesi ‘più sicuri’ all’interno della regione e poi in Europa”, spiega il Financial Times di questa settimana.
Benedict Kiely, sacerdote cattolico fondatore di nasarean.org, organizzazione che aiuta i cristiani perseguitati, ha incontrato alcuni cristiani fuggiti dall’ISIS. Un anziano sacerdote afferrò la mano di Kiely e gli disse: “Stai attento, stai molto attento. Quello che è successo qui verrà da te”.
Faremmo bene ad ascoltarli.