2021 08 18 SUD SUDAN - due suore uccise “a sangue freddo”
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Meotti: “L’Occidente che si vergogna di sé tace sui cristiani perseguitati”
SUD SUDAN - Vittime di un agguato due suore; “uccise a sangue freddo” denunciano le consorelle
“Le nostre sorelle sono state uccise a sangue freddo” afferma suor Christine John Amaa, della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù, nel fornire particolari sull’uccisione di suor Mary Daniel Abut, e suor Regina Roba vittime di un agguato stradale lungo l’autostrada Juba-Nimule il 16 agosto. Secondo quanto riferito, le due religiose erano in un gruppo di nove sorelle quando uomini armati hanno attaccato il loro autobus.
“La nostra ex Superiora Generale suor Mary Daniel Abut, che ha servito la Congregazione delle Suore del Sacro Cuore di Gesù dal 2006-2018, e suor Regina Roba, che era stata due volte nel Consiglio Generale, sono state uccise in sangue freddo mentre tornavano a Juba dalle celebrazioni del centenario della parrocchia dell’Assunzione di Nostra Signora”, afferma suor Amaa. In seguito all’agguato di uomini armati sconosciuti, racconta suor Amaa, le nove suore “hanno cercato di fuggire e si sono nascoste nei cespugli intorno”. I criminali sono riusciti a scovare le due suore e le hanno uccise a sangue freddo.
L’arcidiocesi di Juba ha annunciato cinque giorni di lutto per commemorare le due religiose. “A nome dell’Amministrazione dell’arcidiocesi cattolica di Juba, desidero informare il pubblico che tutte le istituzioni ecclesiali cattoliche (università, seminari, colleghi, asili, scuole primarie e secondarie) dell’arcidiocesi cattolica di Juba chiuderanno per quattro giorni per commemorare le defunte suor Mary e suor Regina a partire da oggi 17 fino a al 20 agosto e i lavori riprenderanno il 23 agosto” si legge in un comunicato don Samuel Abe, segretario generale dell’arcidiocesi di Juba.
Suor Mary Daniel era la direttrice della Usra Tuna School di Juba, mentre suor Regina era tutor e amministratrice presso il Catholic Health Training Institute (CHTI) nella diocesi cattolica di Wau.
La messa da requiem e la sepoltura si terranno il 20 agosto presso la parrocchia della cattedrale di St Theresa-Kator. (L.M.) (Agenzia Fides 18/8/2021)
UGANDA - Ucciso un sacerdote, Padre Joshephat Kasambula
Ucciso il 18 agosto, un sacerdote in Uganda. P. Joshephat Kasambula della diocesi di Kiyinda-Mityana è stato assassinato a sangue freddo nella sera di ieri, da una persona che potrebbe avere problemi di tossicodipendenza.
Nel tardo pomeriggio del 18 agosto p. Joshephat era andato a supervisionare i lavori su un appezzamento di terra dove avrebbe incontrato il suo assassino che soggiornava illegalmente nella masseria. Il sacerdote ha chiesto al presunto killer chi lo aveva autorizzato ad accedere al terreno e alla casa ma è stato colpito alla schiena con un corpo contundete ed è morto sul colpo.
Secondo alcuni testimoni il presunto omicida è un noto tossicodipendente e si ritiene che fosse l’effetto di qualche sostanza stupefacente al momento dell’omicidio. I testimoni riferiscono che da diversi anni il sacerdote non si recava a visitare la casa e il terreno che appartenevano alla sua famiglia. Il presunto omicida aveva approfittato della mancata vigilanza e vi si era installato da qualche tempo.
P. Joshephat Kasambula 68 anni, ha servito la diocesi di Kiyinda-Mityana come parroco di Lwamata. La polizia ha prelevato il suo corpo per l’autopsia mentre le ricerche dell’omicida che si è dato alla fuga, continuano. (L.M.) (Agenzia Fides 19/8/2021)
INDIA - Madhya Pradesh: 11 cristiani aggrediti per la loro fede
Il capo villaggio ha guidato una folla di 250 persone contro dei cristiani che si sono rifiutati di abbandonare la loro fede in Cristo. Durante un incontro di preghiera dei nazionalisti indù hanno fatto irruzione e accusato il pastore pentecostale di fare attività di conversione. Il Global Council of Indian Christians: ‘Siamo cittadini di seconda classe?’
Nei giorni scorsi 11 cristiani sono stati attaccati e picchiati. È successo nel villaggio di Adnadhi, nel Madhya Pradesh, e secondo quanto riferito dall’International Christian Concern una folla di circa 250 persone, guidata dal capo villaggio, ha aggredito il gruppo di cristiani perché questi si sono rifiutati di abbandonare la loro fede in Gesù Cristo. Quattro persone hanno riportato gravi lesioni interne e sono state ricoverate.
In base alle ricostruzioni dei testimoni, il capo villaggio aveva convocato i cristiani in un punto dove la folla che poi si sarebbe scagliata contro di loro si era già radunata. Poi ha dato al gruppo due opzioni: “lasciare Gesù o lasciare il villaggio”. Al rifiuto di abbandonare la loro fede, i cristiani sono stati colpiti anche con delle pietre. Nonostante le successive denunce, la polizia non ha preso provvedimenti contro gli aggressori.
“Il Global Council of Indian Christians condanna fermamente questo attacco anti cristiano avvenuto nel 74mo anniversario dell’indipendenza dell’India”, ha dichiarato il presidente del Gcic, Sajan K. George. “Ci rattrista che i cristiani siano presi di mira per la loro fede. Siamo cittadini di seconda classe? La Costituzione garantisce la libertà religiosa. Come è possibile che una minoranza del 2,5% sia una minaccia?”
Nel villaggio di Adnadhi vivono 15 famiglie che hanno aderito al cristianesimo circa 20 anni fa. Sebbene al tempo ci fosse stata una certa opposizione alla loro conversione, il recente attacco è arrivato del tutto inaspettato e ha lasciato le famiglie distrutte, hanno raccontato i residenti locali ad AsiaNews.
“Siamo molestati, intimiditi e soggetti a minacce e violenza. È una vergogna, una disgrazia e una violazione dei diritti umani dei cristiani”, ha continuato Sajan K. George, che ha poi condiviso un video in cui si vedono dei militanti di estrema destra fare irruzione in una casa cristiana durante un incontro di preghiera. Gli aggressori chiedono ai partecipanti i loro nomi. Siccome sono nomi “indiani”, i nazionalisti indù accusano il pastore pentecostale che sta tenendo l’incontro di fare attività di conversione.
“Questi estremisti usano la legge anti conversione per infastidire soprattutto la comunità pentecostale che da sempre si riunisce in case-chiesa”, ha commentato il presidente del Gcic. “In India si tengono grandi eventi come il Kumbh Mela [pellegrinaggio indù ai fiumi sacri durante il quale si svolgono abluzioni rituali], ma una piccola congregazione di credenti che si riunisce in una casa per la preghiera cristiana viene minacciata e fermata”.
(24/08/2021 di Nirmala Carvalho AsiaNews)
AFGHANISTAN - La piccola comunità cattolica nell’occhio del ciclone: «Pregate per noi»
C’è poi un ultimo volto da non dimenticare, probabilmente il più indifeso: quello dei cristiani nascosti, da sempre in pericolo
«Stiamo vivendo giorni di grande apprensione. Pregate, pregate, pregate per l’Afghanistan». L’unica dichiarazione da Kabul, dove tuttora si trova, il barnabita Giovanni Scalese, responsabile della piccolissima comunità cattolica dell’Afghanistan, l’ha affidata ai microfoni di VaticanNews. Poche parole in una situazione delicatissima per una presenza che aveva il suo cuore nell’ambasciata italiana a Kabul oggi evacuata.
Comunità dalla lunga storia: nel 1919 l’Italia fu la prima nazione occidentale a riconoscere l’indipendenza dell’Afghanistan e come segno di gratitudine ottenne di poter ospitare nella propria rappresentanza diplomatica una cappella per i fedeli cattolici stranieri, l’unica chiesa di Kabul. Ci vollero anni, però, prima che potesse arrivare anche un prete: accadde solo nel 1931, quando Pio XI l’affidò ai barnabiti che da allora si sono alternati a Kabul.
Nel 2002 – nel clima di speranza di quella stagione – Giovanni Paolo II aveva anche elevato questa presenza al rango di “missio sui iuris”, il primo passo canonico per la costituzione di una Chiesa locale. Ma le difficoltà erano rimaste grandi: i governi afghani hanno sempre tollerato solo un punto di riferimento per stranieri, funzionari e militari cattolici, vietando ogni attività di evangelizzazione tra gli afghani.
Un piccolissimo gruppo di sacerdoti e religiose, però, sono potuti entrare come operatori umanitari. Kabul, per esempio, è una delle frontiere impossibili varcate dalle Missionarie della Carità, le suore di Madre Teresa: quattro di loro si trovano tuttora nel Paese. Bloccati in Afghanistan ci sono anche due gesuiti indiani, responsabili delle attività del Jesuit Refugee Service, attivo nel Paese in ambito educativo con scuole in ben quattro diverse province.
La catastrofe di questi giorni ha costretto bruscamente a sospendere questo impegno. «Tutti sono rintanati nelle case e nelle comunità – ha scritto uno dei due gesuiti –. I voli sono cancellati e dipendiamo dagli accordi tra gli organismi dell’Onu e i taleban».
Situazione simile è quella di “Pbk – Pro bambini di Kabul”, associazione fondata dal guanelliano don Giancarlo Pravettoni raccogliendo un appello lanciato da Giovanni Paolo II. Grazie a una rete di congregazioni religiose maschili e femminili, a Kabul, 15 anni fa, è nata una scuola per bambini con disabilità psichica: anche il destino di quest’opera ora è sospeso.
E se i canali diplomatici stanno lavorando per il rimpatrio in sicurezza dei religiosi, la domanda che suscita più angoscia è quella sulla sorte delle persone di cui si sono presi cura: giovani, ragazze, disabili, sfollati interni.
C’è poi un ultimo volto da non dimenticare, probabilmente il più indifeso: quello dei cristiani nascosti. Famiglie afghane che per lunga tradizione o per esperienze particolari hanno incontrato Gesù, ma vivono la propria fede nel segreto perché il pericolo è troppo grande. Su AsiaNews qualche giorno fa raccontava la loro storia Ali Ehsani, esule afghano in Italia, anche lui cristiano, autore del libro “Stanotte guardiamo le stelle”. Ehsani ha denunciato: «Le violenze contro di loro sono già iniziate. Il padre di una famiglia con cui sono in contatto è scomparso». Si sta lavorando per farli entrare tra le persone da accogliere in Italia con i corridoi umanitari. Per non lasciarli soli.
(Giorgio Bernardelli venerdì 20 agosto 2021 Avvenire)
Assolutamente da segnalare il lavoro del giornalista Giulio Meotti https://meotti.substack.com/
segnala costantemente notizie totalmente censurate dai media
“L’Occidente che si vergogna di sé tace sui cristiani perseguitati”
Intervista esclusiva per la newsletter al direttore di Porte Aperte, mentre dall’Afghanistan arrivano resoconti drammatici. “Agli occhi dei relativisti è come se non dovessero neanche esistere”
Di Giulio Meotti
“Vivevo in Afghanistan quando i Talebani erano al potere l’ultima volta. Ecco cosa si aspettano i cristiani”. Si intitola così il racconto di Martin Parsons, operatore umanitario inglese a Jalalabad sotto i Talebani nel 1996. “25 anni fa ho avuto il privilegio di essere uno dei primi occidentali a vivere a Jalalabad. A ogni posto di blocco vedevamo pali avvolti con nastri di video e cassette: musica e fotografie erano vietate e ogni auto veniva perquisita. In un villaggio fuori Jalalabad, i Talebani sono stati informati che c’era un cristiano, hanno perquisito la sua casa, hanno trovato una Bibbia, lo hanno portato fuori e gli hanno ordinato di pentirsi e tornare all’Islam. Quando si è rifiutato, lo hanno impiccato. Alcuni sono stati costretti a camminare attraverso campi minati come dragamine umane”.
“Sì ci sono anche dei cristiani in Afghanistan”, titola Le Figaro, fra i pochi grandi quotidiani europei ad aprire una finestra sulla loro situazione. “I cristiani sono stimati in poche migliaia in Afghanistan dove il cristianesimo, come riportato da Eusebio di Cesarea, è arrivato con gli apostoli Tommaso e Bartolomeo, sei secoli prima della nascita dell’Islam”.
The Hill racconta che “i Talebani stanno già conducendo omicidi mirati di cristiani e altre minoranze, oltre a giustiziare chiunque venga trovato con il software della Bibbia installato sui telefoni”. Andrew Boyd della ong inglese Release International ha rivelato ai giornali britannici che almeno un cristiano sarebbe già stato ucciso dai Talebani. Un Hazara convertito (nove di loro sono stati appena torturati e uccisi dai Talebani, racconta la BBC).
I cristiani afgani temono anche per la sicurezza dei loro figli dopo una dichiarazione della commissione culturale dei Talebani che ha rivelato i piani per “sradicare l’ignoranza dell’irreligione”.
Un’altra ong, Frontier Alliance International, ha pubblicato un dispaccio drammatico dopo aver parlato con alcuni cristiani afghani. “I Talebani hanno una lista di noti cristiani che stanno cercando di perseguire e uccidere. L’ambasciata degli Stati Uniti non esiste più e non c’è più luogo sicuro dove rifugiarsi per i fedeli. La gente fugge in montagna. I Talebani vanno di porta in porta e le persone devono contrassegnare la propria casa con una ‘X’ se hanno una figlia di età superiore ai 12 anni, in modo che i Talebani possano prenderle. Mariti e padri hanno dato le pistole a mogli e figlie e hanno detto loro che quando i Talebani arriveranno, possono scegliere di ucciderli o uccidersi: è una loro scelta”.
Il predicatore islamico più noto della Gran Bretagna esorta intanto i Talebani a imporre la “giustizia islamica”, compresi gli “apostati”, i convertiti al cristianesimo. Anjem Choudary, 54 anni, che ha ispirato una generazione di jihadisti inglesi, rivela il Mail on Sunday, sul social network criptato Telegram ha chiesto ai Talebani di cancellare ogni traccia della cultura occidentale e vietare “attività inutili come la musica, il teatro e la filosofia”. Celebre per aver proposto di ribattezzare Buckingham Palace in Buckingham Masjid (la parola araba per moschea), Choudary ha ispirato alcuni dei più famigerati assassini islamisti del paese, tra cui Khuram Butt, a capo degli attacchi al London Bridge, e chi ha ucciso Lee Rigby a Woolwich. Incarcerato per cinque anni per aver sostenuto l’Isis, Choudary era stato appena rilasciato con il divieto di parlare in pubblico per due anni. “Il codice penale o Hudood è il diritto di Allah”, ha detto Choudary. “Tagliare la mano al ladro, lapidare l’adultero, applicare la pena capitale all’apostata e frustare coloro che bevono alcolici deve essere attuato senza domande ed esitazioni”.
Ma la vittoria dei Talebani costituisce una minaccia non solo diretta per i cristiani. La loro conquista, scrive oggi il Times, sta già galvanizzando il Jihad in Africa, dove ci sono stati 200 morti in soli tre giorni. Paesi dove i cristiani sono le prime vittime dell’islamizzazione forzata.
Per la newsletter ho intervistato Cristian Nani, il direttore di Porte Aperte, il ramo italiano della più prestigiosa e importante organizzazione internazionale che monitora la persecuzione dei cristiani nel mondo.
“In Afghanistan c’è una rete che conta a nostro avviso fra le centinaia e le migliaia di cristiani, sono i ‘credenti nascosti’, come li definiamo. In questa fase subiscono quello che stanno subendo tutti gli altri connessi all’Occidente. La differenza è che sono spesso musulmani convertiti e in Afghanistan non ci si può convertire al cristianesimo. Questi cristiani sono visti dai Talebani come ‘influenza occidentale’, oltre all’apostasia. I cristiani stanno subendo le ricerche porta a porta, come gli attivisti che hanno ‘collaborato’. E’ differente da situazione a situazione, ci sono contesti in cui la persona convertita non è nascosta alla famiglia e dipende molto dalle relazioni umane. Ci sono incontri, il fenomeno delle ‘chiese domestiche’, dove in una casa tre o quattro cristiani presenti nella zona si vedono. Ora non comunicano neanche fra di sé per paura. Sicuramente il cristiano è il più ‘esposto’ agli occhi dei Talebani. E’ quello che ha commesso il ‘peccato’ più grave. La conversione al cristianesimo è la macchia che non si lava via. Sono i più perseguitati, perché non ci sono soltanto i Talebani, ma la famiglia, il clan, i parenti, a vedere la conversione dall’Islam come qualcosa che determina la persecuzione certa”.
In questi quindici giorni di crisi afghana i giornali italiani non hanno mai parlato di loro. “C’è una specie di complesso di superiorità dell’Occidente, per cui qualunque cosa accade là è sempre colpa dell’America, quando in realtà farei due passi indietro e vedrei com’è quella società” mi spiega ancora Cristian Nani. “Prendi il buzkashi, lo sport afghano in cui si trascina e ci si contende la carcassa di un animale. E’ il simbolo della divisione in clan e della guerra tra fratelli molto diffusa. Ma il relativismo multiculturale ci porta a pensare che sia sempre colpa nostra. Siamo noi, sempre noi, che spezziamo un equilibrio. Il cristianesimo è così visto come un elemento estraneo a una cultura che non rispettiamo”.
L’altro aspetto è appunto cosa trasmettiamo: “I ‘valori occidentali’, dall’Lgbt alle donne, sono tutti temi molto caldi qui e li trasportiamo là, accendendo i riflettori soltanto su questo. Chiunque sia stato in Afghanistan sa bene che ci vorranno decenni prima di arrivare a una occidentalizzazione. Essendoci a monte il complesso di superiorità trasmettiamo in quei paesi e mettiamo in evidenza solo ciò che ci interessa. I cristiani sono perseguitati? ‘Non dovevano esserci e comunque ce la siamo cercata’, pensa l’occidentale medio. Noi occidentali ci scristianizziamo, mentre in quei paesi c’è una viva presenza cristiana. Ma sembriamo persino vergognarcene”.
E’ come se questi cristiani fossero l’unica minoranza che per l’Occidente non meriti attenzione o aiuto. Anzi, è come se non dovesse neanche esistere.